Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9 - Edward Gibbon

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dieci secoli da che l'Egitto non era più un regno, e i vincitori dell'Asia e dell'Europa avevano assoggettato al giogo un popolo, la sapienza e la potenza del quale sono anteriori ai monumenti della Storia. La lotta del fanatismo e della persecuzione vi ridestò qualche scintilla d'intrepidezza nazionale. Nell'abiurare un'eresia straniera repudiarono gli Egiziani i costumi e la favella dei Greci; ogni Mulchita è riguardato come un forestiero, ogni Giacobita come un cittadino. Dichiaravano peccato mortale le alleanze di matrimonio coi lor nemici, e l'esercizio dei doveri dell'umanità verso i medesimi; spezzarono i vincoli della fedeltà giurata all'Imperatore, il quale non potea, lontano da Alessandria, fare colà eseguire i suoi ordini in altro modo che col braccio militare. Con uno sforzo generoso si sarebbe restaurata la religione e la libertà dell'Egitto, e i suoi seicento monasteri avrebbero mandate migliaia di santi guerrieri che tanto meno temevano la morte, quanto che non avea la vita per essi nè consolazioni, nè piaceri; ma l'esperienza ha provato la distinzione che passa tra il coraggio attivo, e il coraggio passivo; il fanatico che senza mandar un sospiro, sostiene le più crudeli torture, sarebbe tutto tremante, o si darebbe alla fuga in faccia a un nemico armato. Gli Egiziani pusillanimi, siccome essi erano, restrignean le speranze a quella di cangiar padrone; l'armi di Cosroe disertarono il paese, ma sotto il suo regno godettero i Giacobiti una tregua precaria e che durò poco. Colla vittoria d'Eraclio si rinnovellò e crebbe la persecuzione e il Patriarca abbandonò di bel nuovo Alessandria per riparare nel deserto. Mentre egli se ne fuggiva credette Beniamino udir una voce, che gli comandava d'attendere dopo dieci anni il soccorso d'una nazion forestiera, soggetta come gli Egiziani, all'antica legge della Circoncisione. Si vedrà in processo di tempo chi fossero questi liberatori, e quale la liberazione, e qui trapasso l'intervallo d'undici secoli per dare un'occhiata alla miseria presente dei Giacobiti dell'Egitto. La popolosa città del Cairo è la sede o piuttosto l'asilo del loro indigente Patriarca, e dei dieci Vescovi che hanno conservati: quaranta monasteri hanno sopravvissuto alle scorribande degli Arabi; e la sempre crescente schiavitù, non che l'apostasia ha ridotto i Cofti al meschino numero di venticinque o trentamila famiglie172, genìa di paltoni ignoranti, che non hanno altra consolazione che la vista della miseria anche maggiore del Patriarca greco, e del suo picciolo ovile173.

      VI. Il Patriarca cofto, ribelle ai Cesari, o schiavo dei Califfi, poteva sempre insuperbirsi dell'ubbidienza figliale dei Re della Nubia e dell'Etiopia; ne esagerava egli la grandezza per pagarne l'omaggio; osavano i suoi partigiani asserire che quei principi poteano mettere in armi centomila cavalieri, e altrettanti camelli174; ch'eran padroni di spandere, o di fermare le acque del Nilo175, e che dalla mediazione del Patriarca dependevano la pace e l'abbondanza dell'Egitto, anche trattandosi di perorare presso un sovrano del Mondo. Mentre stava in esilio a Costantinopoli raccomandò Teodosio alla sua protettrice, la conversione del popolo nero della Nubia176. Dal tropico del Cancro fino alle frontiere d'Abissinia, potè l'Imperatore indovinare l'intenzion di sua moglie, e più zelante di lei per la Fede ortodossa volle partecipare a questa gloria. Due missionari rivali, un Melchita e un Giacobita, partirono ad un tempo; ma, fosse amore o timore, Teodora fu meglio obbedita, e il presidente della Tebaide ritenne presso di sè il sacerdote cattolico, mentre in gran fretta furono battezzati nella comunion di Dioscoro il Re di Nubia, e la sua Corte. Giunto troppo tardi l'Inviato di Giustiniano, venne accolto e rimandato onorevolmente; ma quando denunciò l'eresia, e il tradimento degli Egiziani, il Neofito negro era già stato ammaestrato a rispondere, che mai non abbandonerebbe i suoi fratelli, i veri credenti, ai ministri persecutori del Concilio di Calcedonia177. Pel corso di vari secoli nominò il Patriarca d'Alessandria, ed ordinò i Vescovi della Nubia; vi dominò il cristianesimo fino al secolo duodecimo, e si scorgono ancora cerimonie ed avanzi di questa religione nelle borgate di Sennaar e di Dongola178. Ma i Nubii alla lunga mandarono ad effetto le lor minacce di ritornare al culto degli idoli; voleva il clima una religione che permettesse la poligamia, e quindi preferirono il trionfo del Korano all'umiliazion della Croce. Forse una religion metafisica supera l'intendimento d'un Popolo nero; si può per altro avvezzare un Nero non altrimenti che un papagallo a ripetere le parole del Simbolo di Calcedonia o di quello dei Monofisiti.

      A. D. 550 ec.

      Erasi già più profondamente radicato il cristianesimo nell'Impero d'Abissinia, e quantunque sia stata interrotta la corrispondenza per più di settanta o di cento anni, quella Chiesa sta sempre sotto la tutela della metropoli d'Alessandria. Di sette vescovi era composto per l'addietro il Sinodo etiopico; se fossero stati dieci costantemente, avrebbero potuto eleggersi un primato independente; venne in capo ad uno dei loro re di dare ad un suo fratello questo primato, ma si previde la cosa, e fu ricusata la fondazione di tre nuovi vescovadi; a poco le incumbenze episcopali si sono concentrate nell'Abuna179 o Capo de' sacerdoti dell'Abissinia ordinati da lui: vacando questo posto, il Patriarca d'Alessandria nomina ad occuparlo un monaco egiziano, avvegnacchè un forestiero investito di quella dignità sembra agli occhi del volgo più rispettabile, e meno pericoloso a quei del monarca. Quando nel sesto secolo si palesò apertamente lo scisma d'Egitto, i Capi rivali, coll'assistenza de' lor protettori Giustiniano e Teodora, fecero ogni potere per rapire l'uno all'altro il conquisto di quella provincia remota ed independente. Anche questa volta la scaltrezza dell'Imperatrice vinse la pruova, e la pia Teodora stabilì in quella Chiesa lontana la fede e la disciplina de' Giacobiti180. Circondati per ogni lato da' nemici della loro religione, sonnecchiarono gli Etiopi quasi per dieci secoli, senza pensare al rimanente del Mondo, che non pensava a loro. Furono svegliati da' Portoghesi, che dopo avere superato il promontorio meridionale dell'Affrica comparvero nell'India, e sul mar Rosso come se discesi fossero da un pianeta lontano. A prima giunta i sudditi di Roma, e que' d'Alessandria rimasero sorpresi più dalla conformità che dalle differenze della lor fede, e ognuna delle due nazioni sperò grandissimi vantaggi da un'alleanza con genti cristiane. Gli Etiopi disgiunti dagli altri popoli della terra erano quasi tornati alla vita selvaggia. I loro navili che un tempo approdavano a Ceilan, appena osavano tentare le riviere dell'Affrica: non più vedevansi abitatori in Axum già rovinata, la nazione era dispersa ne' villaggi, e il gran personaggio, pomposamente decorato del titolo d'Imperatore, stava in pace ed in guerra contento d'un campo renduto immobile. Sentendo la lor miseria, avevano saggiamente avvisato gli Abissinii d'introdurre le arti, e l'industria europea181, e ordinarono a' loro ambasciatori in Roma e in Lisbona di spedire colà una colonia, di fabbri ferrai, di carpentieri, di fornaciai, di muratori, di stampatori, di chirurghi, di medici; ma dal pericolo pubblico furono sollecitati a cercare un pronto soccorso d'armi e soldati per difesa d'un popolo pacifico contro i Barbari che portavano il guasto nel cuor del paese, e contro i Turchi o gli Arabi, che con formidabile apparecchio s'avanzavano dalle rive del mare. Fu salva l'Etiopia mercè dell'aiuto di quattrocento cinquanta Portoghesi i quali dimostrarono combattendo quel valore che è proprio degli Europei, e la potenza dell'archibugio e del cannone. In un accesso di spavento avea promesso l'Imperatore di riunirsi co' sudditi alla Fede cattolica; un Patriarca latino rappresentò il Primato del Papa182: credevasi che quell'Impero supposto dieci volte più grande di quello che fosse, racchiudesse più oro che non le miniere d'America, e la cupidigia non che lo zelo religioso fondarono speranze stravaganti sopra la spontanea sommessione de' Cristiani dell'Affrica.

      A. D. 1557

      Ma riavutosi dal timore, non si sovvenne più dei giuramenti fatti coll'animo addolorato. Vietarono gli Abissinii con una costanza invitta la dottrina de' Monofisiti: coll'esercizio della disputa si riscaldò la lor Fede alquanto intiepidita; infamarono co' nomi d'Ariani, e di Nestoriani i Latini; e rimproverarono come adoratori di quattro Iddii coloro, che separavano le due Nature di Gesù Cristo. Fu assegnata a missionari gesuiti la borgata di Fremona per gli ufficii del loro culto, o piuttosto per un luogo d'esilio, nulla giovando a farli stimabili l'abilità che avevano nell'arti liberali e meccaniche, la loro

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<p>172</p>

Io ricavo questa notizia dalle Recherches sur les Egyptiens et les Chinois (t. II, p. 192, 193), più verisimile di quella che ne dà Gemelli Carreri, di seicentomila Cofti antichi, e di quindicimila moderni. Cirillo Lucar, Patriarca protestante di Costantinopoli si dolse perchè questi eretici erano dieci volte più numerosi dei Greci ortodossi, adattando loro ingegnosamente il verso πολλαι κεν δεκαδες δευοιατο οινοχοιο, a molte decine mancherebbe per avventura il coppiere, (Iliade II, 128), parole di gran disprezzo. (Fabric. lux Evangelii 740).

<p>173</p>

Le cose relative all'istoria, alla religione, ai costumi ec. dei Cofti, si raccolgono dall'opera bizzarra dell'abate Renaudot, che non è nè traduzione, nè originale, dalla Chronicon orientale di Pietro il Giacobita dalle due versioni d'Abramo Ecchellense, Parigi 1651, e da Gian Simone Assemani, Venezia 1729. Questi annali non giungono che al decimoterzo secolo. Convien cercare notizie più recenti negli autori che hanno scritto i loro viaggi in Egitto, e nelle nuove Memorie delle missioni del Levante. Nel secolo passato (1600) Giuseppe Abudneno, nato al Cairo, pubblicò in Oxford una breve Historia Jacobitarum, in trenta pagine.

<p>174</p>

Verso l'anno 737. Vedi Renaudot, Hist. patriarch. Alex., p. 221, 222; Elmacin Hist. Saracen. p. 99.

<p>175</p>

Ludolfo Hist. Aetiop. et Comment., l. I, c. 8; Renaudot, Hist. patriarch. Alex., p. 480 etc. Quest'opinione introdotta in Egitto e in Europa dall'artifizio dei Cofti, dall'orgoglio degli Abissinii, dal timore, e dall'ignoranza dei Turchi e degli Arabi, non ha la menoma sembianza di verità. Sicuramente le piogge dell'Etiopia non consultano la volontà del monarca per ingrossar le acque del Nilo. Se il fiume s'accosta a Napata, distante tre giornate dal Mar Rosso (vedi le carte di D'Danville) la bocca d'un canale, capace a svolgerne il corso, esigerebbe tutta la potenza dei Cesari, e forse questa non sarebbe bastevole.

<p>176</p>

Gli Abissinii che conservano ancora i delineamenti e il color olivastro degli Arabi, provano troppo che non bastan venti secoli a cangiare le tinte della razza umana. I Nubii, che son d'origine affricana non sono che veri Negri, e tanto neri quanto quelli del Senegal o del Congo; hanno egualmente il naso schiacciato, labbra grosse, e testa lanuta (Buff. Hist. Naturelle, t. V, p. 117, 143, 144, 166, 219, edit. in 12, Parigi 1769). Guardavano gli antichi con poca attenzione questo fenomeno straordinario, che ha tanto occupato i filosofi e teologi moderni.

<p>177</p>

Assemani, Bibl. orient. t. I, p. 329.

<p>178</p>

Il cristianesimo dei popoli della Nubia, (A. D. 1153), è attestato dal sceriffo Al-Edrisi, ed è stato in maniera falsa esposto sotto il nome del geografo di Nubia (p. 18), che li rappresenta come un popolo di Giacobiti. La luce istorica, che s'incontra nell'opera di Renaudot (p. 178, 220-224, 281-286, 405, 434, 451, 464), proviene da nozioni di fatti anteriori a quell'epoca. Vedi lo stato moderno di quel paese nelle Lettres Edifiantes (Raccolta IV), e in Busching (t. IX, p. 152-159, del Berenger).

<p>179</p>

I Latini danno impropriamente all'Abuna, il titolo di patriarca: non riconoscono gli Abissinii che i quattro Patriarchi, e il lor Capo non è che un metropolitano, o un primato nazionale (Ludolfo, Hist. Aeth. et Comment. l. III, c. 7). Questo Storico non sapea nulla de' sette vescovi di Renaudot (p. 511) esistenti A. D. 1131.

<p>180</p>

Non capisco il perchè l'Assemani revochi in dubbio (Bibl. orient. t. II, p. 384) queste spedizioni tanto probabili fatte da Teodora alla Nubia e all'Etiopia. Renaudot (p. 336-341, 381, 382, 405-443, ec. 452, 456, 463, 475-480, 511-525, 559-564), attinse dagli scrittori cofti quel poco che potè sapere su l'Abissinia sino al 1500. Ludolfo è assolutamente ignaro di quel paese.

<p>181</p>

Ludolfo, Hist. Aetiop., lib. IV, c. 5. Presentemente i Giudei vi esercitano le arti di prima necessità, e gli Armeni fanno il traffico esterno. L'industria europea (artes et opificia) era per Gregorio la cosa ch'egli ammirava ed invidiava più d'ogni altra.

<p>182</p>

Giovanni Bermudez; la sua relazione stampata a Lisbona nel 1569 è stata tradotta in Inglese dal Purchas (Pilgrims, l. VII, c. 7, pag. 1149 ec.), e d'inglese in francese da La Croze (Christian. d'Etiop. p. 92-265); questo scritto è curioso, ma si può sospettare che l'autore abbia abbindolate l'Abissinia, Roma, e il Portogallo. È molto oscuro ed incerto il suo diritto al grado di patriarca (Ludolfo, Comment. n. 101, p. 473).