Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 9 - Edward Gibbon

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de' miracoli183, e mai non venne lor fatto d'ottenere un sussidio di soldatesche europee. Dopo quarant'anni di pazienza e di destrezza furono da tanto che trovarono chi prestò più facile orecchia, e valsero a persuadere a due Imperatori d'Abissinia che Roma poteva fare in questo Mondo e nell'altro la felicità de' suoi aderenti. Il primo di que' re neofiti perdè la corona e la vita, e fu santificato l'esercito ribelle dall'Abuna, il quale fulminò d'anatemi l'apostata, e sciolse i sudditi dal giuramento di fedeltà. Zadengher fu vendicato dal coraggio e dalla fortuna di Susneo, che salì al trono col nome di Segued, e che proseguì più vigorosamente la devota impresa del suo congiunto. L'Imperatore dopo essersi divertito in una lotta d'argomentazioni fra i gesuiti e i suoi sacerdoti inesperti, si dichiarò proselita del Concilio di Calcedonia; credendo che il suo clero, e il suo popolo avrebbero immediatamente abbracciata la religione del principe. Ordinò poco dopo sotto pena di morte che si credesse alle due Nature di Cristo: ingiunse agli Abissinii di passare la giornata del Sabato o in lavori, o in divertimenti; e Segued, al cospetto dell'Europa e dell'Affrica, rinunciò ad ogni vincolo che aveva colla Chiesa d'Alessandria. Un gesuita, Alfonso Mendez, Patriarca cattolico dell'Etiopia, ricevette in nome d'Urbano VIII l'omaggio e l'abiura del suo penitente. «Io confesso, disse l'Imperator ginocchione, confesso che il Papa è il vicario di Gesù Cristo, il successore di San Pietro, il sovrano del Mondo; gli giuro verace obbedienza, e pongo a' suoi piedi la mia persona e il mio regno». Suo figlio, suo fratello, il clero, i nobili, ed anche le donne della Corte, ripeterono lo stesso giuramento; vennero profusi al Patriarca latino onori e ricchezze, e i suoi missionari piantarono le loro chiese, o piuttosto cittadelle, nelle migliori situazioni dell'Impero. Da que' gesuiti medesimi si deplora la funesta imprudenza del loro Capo, il quale non curando la mansuetudine Evangelica, e la politica del suo Ordine, con troppa violenza osò introdurre colà la liturgia di Roma, e l'inquisizione del Portogallo. Condannò egli la vecchia pratica della Circoncisione, instituita per motivi di salute piuttosto che di superstizione nel clima d'Etiopia184. Obbligò i nativi del paese ad un nuovo Battesimo ed a una nuova Ordinazione: inorridirono questi vedendo un prete estero che levava dalle tombe i più santi de' loro morti, e scomunicava i più rispettabili de' lor viventi. Diedero di piglio alle armi per difendere la propria religione e la libertà, e si segnalarono con un valore da disperati, ma senza pro. Cinque ribellioni furono soffocate nel sangue de' ribelli; due Abuna caddero morti in battaglia; intere legioni furono trucidate nel campo, o sepolte nelle loro caverne, e il merito, la dignità, il sesso non poterono sottrarre i nemici di Roma da una morte ignominiosa; ma finalmente il monarca vincitore si lasciò vincere dalla costanza della sua nazione, di sua madre, del figlio, degli amici più fedeli. Ascoltò Segued la voce della pietà, della ragione, e forse del timore, e l'editto che concedeva la libertà di coscienza svelò la tirannide a un'ora e la debolezza de' Gesuiti. Basilide, morto che fu suo padre, cacciò il Patriarca latino, e ridonò al voto della nazione la Fede e la disciplina dell'Egitto. Le chiese monofisite ripeterono trionfando, «che la greggia d'Etiopia era finalmente ritolta alle iene dell'Occidente»; e da quel giorno le porte di quel Regno romito furono per sempre chiuse alle arti, alle scienza, e al fanatismo dell'Europa185.

      CAPITOLO XLVIII

      Disegno del rimanente dell'Opera. Successione e carattere degl'Imperatori greci di Costantinopoli, dal tempo d'Eraclio a quello della conquista de' Latini.

      Ho già data a conoscere la successione di tutti gl'Imperatori romani da Trajano a Costantino, da Costantino ad Eraclio, e fedelmente ho esposto le avventure o i disastri del lor governo. Son passato a traverso i cinque primi secoli del decadimento dell'Impero romano, ma più d'otto secoli mi restano ancora da trascorrere prima ch'io giunga al termine delle mie fatiche, cioè alla presa di Costantinopoli fatta dai Turchi. S'io tenessi la stessa regola, e l'andamento medesimo, non farei che distendere prolissamente in un gran, numero di volumi una materia di poca importanza, la quale non darebbe ai lettori un compenso con un'istruzione ed una ricreazione, che pareggiasse la pazienza ch'esigerebbe da loro. Più che procedessi avanti, nel raccontare il degradamento e il tracollo dell'Impero d'Oriente, più ingrata e noiosa sarebbe la mia opera, in segnare gli annali di ogni regno. L'ultimo periodo dei quali mostrerebbe per tutto la medesima debolezza, la medesima miseria; transizioni rapide e frequenti interromperebbero il legame naturale delle cagioni e degli avvenimenti, e una massa di minute particolarità leverebbe la chiarezza e l'effetto a quelle grandi dipinture che danno gloria e pregio all'istoria d'un tempo remoto. Da Eraclio in poi la scena di Bizanzio si fa più angusta ed oscura; il nostr'occhio da tutti i lati vede sparire i confini dell'Impero, fissati dalle leggi di Giustiniano, e dalle armi di Belisario; il nome romano, vero fine delle nostre ricerche, è ristretto in un picciolo cantone dell'Europa, nei solinghi contorni di Costantinopoli. Fu paragonato l'Impero greco al fiume del Reno, che si disperde fra le sabbie, prima di mescere le sue acque con quelle dell'Oceano. La lontananza dei tempi e dei luoghi scema al nostro occhio la pompa della dominazione, nè il difetto di esterior maestà viene coperto da fregi più nobili, quelli del senno o della virtù. Negli ultimi giorni dell'Impero senza dubbio vantava Costantinopoli più ricchezze e più popolazione che Atene ai tempi più floridi de' suoi annali, quando una modica somma di seimila talenti, o sia di un milione e dugentomila lire sterline, formava la totalità degli averi divisi fra ventunmila cittadini adulti; ma ognuno di que' cittadini era un uom libero, e osava far uso della sua libertà ne' suoi pensieri, nelle parole, nelle azioni; leggi imparziali difendeano la sua persona, le sue proprietà, ed egli avea un voto independente nell'amministrazione della Repubblica. Le varietà molte e assai appariscenti dei naturali, parea che aumentassero il numero degl'individui; coperti dall'egida della libertà, portati sull'ali dell'emulazione e della vanagloria, tutti voleano elevarsi alla cima della dignità nazionale: da quell'altezza sapeano alcuni spiriti illustri sopra tutti gli altri slanciarsi oltre i limiti cui può giungere l'occhio del volgo, di modo che, stando al calcolo delle sorti d'un gran merito, quali sono indicate dall'esperienza per un vasto popolatissimo regno, si andrebbe a credere, osservando il numero de' suoi grand'uomini, che la Repubblica d'Atene contasse più milioni d'abitanti. E pure il suo territorio, con quello di Sparta e dei loro alleati, non eccede la grandezza d'una provincia di Francia o d'Inghilterra, quantunque di mediocre estensione; ma dopo le vittorie di Salamina e Platea quelle picciole Repubbliche prendono nella nostra fantasia l'ampiezza gigantesca dell'Asia conculcata dai Greci con piede vittorioso. Per converso i sudditi dell'Impero bizantino, che prendeano e disonoravano i nomi di Greci e di Romani, offrono una tetra uniformità di vizi abbietti, spogli della scusa che meritano le dolci passioni dell'umanità, e senza il vigore e la pompa dei delitti memorandi. Poteano gli uomini liberi dell'antichità ripetere con generoso entusiasmo la sentenza d'Omero, che «uno schiavo nel primo giorno di schiavitù perde la metà delle virtù umane». E sì che il poeta non conosceva altra schiavitù che la civile e domestica, nè poteva prevedere, che l'altra metà dei pregi del genere umano verrebbe un giorno annichilita da quel despotismo spirituale che inceppa le azioni, ed anche i pensieri del devoto prostrato nella polvere. I successori d'Eraclio fiaccarono i Greci con questo doppio giogo; i vizi dei sudditi, secondo una legge dell'eterna Giustizia, digradarono il tiranno, e a gran pena colle più esatte indagini sul trono, nei campi, e nelle scuole si giunge a dissotterrar qualche nome degno d'esser tolto all'obblìo. Alla povertà del subbietto non ripara l'abilità o la varietà delle tinte, impiegata dai pittori storici. I quattro primi secoli d'un intervallo di ottocento anni sono rimasti per noi nelle tenebre di rado interrotte da deboli barlumi di luce storica: da Maurizio ad Alessio, Basilio il Macedone è l'unico principe che colla sua vita abbia somministrato argomento d'un'opera separata, nè giova l'autorità mal certa di compilatori più moderni per supplire al difetto, alla perdita, o all'imperfezione degli autori contemporanei. Non possiamo lagnarci di penuria nei quattro ultimi secoli; la musa dell'istoria rivisse a Costantinopoli nella famiglia dei Comneni; ma si presenta coperta di belletti, e cammina senza garbo e senza disinvoltura. La folla di preti e di cortigiani ci trascinano gli uni dietro agli altri per la via segnata dalla servitù e dalla superstizione: sono di vista corta, di scarso o depravato giudizio, e si finisce un libro pieno d'un'abbondanza sterile senza conoscere le cagioni dei fatti, il carattere degli attori, o i costumi del secolo, che da loro è lodato, o accusato. Si osservò che la penna d'un guerriero pigliava vigore dalla sua spada, e

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<p>183</p>

Religio Romana… nec precibus patrum, nec miraculis ab ipsis editis sufficiebatur, è l'asserzione non contraddetta dal devoto Imperatore Susneo a Mendez suo Patriarca (Ludolfo, Comment. n. 126; p. 529), e queste asserzioni debbono conservarsi come preziosi antidoti a tutte le leggende maravigliose.

<p>184</p>

So quanto cautela sia necessaria nel trattare l'articolo della Circoncisione: affermerò tuttavolta, 1. che gli Etiopi aveano una ragione fisica per circoncidere i maschi ed anche le femmine (Recherches philosophiques sur les Americains, t. II); 2. che la Circoncisione era usitata in Etiopia gran tempo prima della introduzione del giudaismo o del cristianesimo (Erodoto; l. II, c. 104; Marsham, Canon. chron., pag. 72, 73), «Infantes circumcidunt ob consuetudinem, non ob judaismum,» dice Gregorio, prete abissinio (apud Fabric. lux christiana, p. 720). Nonostante, nel calor della disputa, si dà talvolta a' Portoghesi il nome ingiurioso d'incirconcisi, (La Croze, pag. 80; Ludolfo, Hist. ad Comment., l. III, c. 1).

<p>185</p>

I tre storici protestanti, Ludolfo (Hist. Aethiop. Francfort, 1681; Commentarius, 1691; Relatio nova, etc. 1693 in fol.), Geddes (Church History of Aetiopia, Londra, 1698, in 8º), e la Croze (Hist. du Christian. d'Ethiopie et d'Arménie, Aia, 1739, in 12), hanno ricavato le principali notizie da' gesuiti, e specialmente dall'istoria generale di Tellez, pubblicata in portoghese a Coimbra, 1660. Può far maraviglia la lor franchezza, ma il peggiore de' lor vizi, lo spirito di persecuzione, era per essi una virtù meritoria. Ludolfo ha tratto qualche vantaggio ma scarso assai dalla lingua etiopica, ch'egli intendeva, oppure dalle sue conversazioni con Gregorio, prete abissinio, uomo d'animo coraggioso, ch'egli chiamò da Roma, ove si trovava, alla Corte, di Saxe-Gotha. Vedi la Theologia Aetiopica di Gregorio, in Fabricio, lux Evangelii, p. 716-734.