Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11. Edward Gibbon

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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11 - Edward Gibbon

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vantare la forza e l'agilità del cavallo di suo padre, e il vigore onde questi si difese contra un cavaliere che con una percossa di lancia aveagli fatto in pezzi il cimiero. Con disperato valore, si aperse varco per mezzo a uno squadrone di Normanni che la fuga impedivagli, e dopo avere errato due giorni e due notti in mezzo alle montagne, potè godere di qualche riposo, non d'animo, ma di corpo, entro le mura di Licnido. Si dolse Roberto delle sue truppe che, troppo mollemente e lentamente inseguendo Alessio, una tanto luminosa preda sfuggirsi lasciassero: ma nel confortarono i trofei e gli stendardi tolti al nemico, la ricchezza e il lusso del campo greco, e la gloria di aver distrutto un esercito cinque volte più numeroso del suo. Molti Italiani rimasero vittima del proprio spavento; pur questa memoranda giornata non costò a Guiscardo più di trenta de' suoi cavalieri. L'esercito imperiale perdè, fra Greci, Turchi ed Inglesi, cinque o seimila uomini all'incirca236, fra i quali si noverano molti nobili e guerrieri di sangue reale; l'impostore Michele trovò nello spianato di Durazzo una morte più onorevole che nol fu la sua vita.

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      Ella è cosa molto probabile che Guiscardo non si affliggesse gran fatto della perdita di questo fantasma d'Imperatore, costatogli molto caro, nè con altro pro che di avventurarlo alla derisione de' Greci. Disfatti questi, la guernigione continuò nel difendersi: l'Imperatore aveva avuta l'imprudenza di richiamare Giorgio Paleologo, intanto che un Veneziano comandava nella città: le tende degli assedianti vennero cambiate in baracche, atte ad offerire riparo contra il rigore del verno; e ad una disfida fattagli dalla Fortezza, Roberto rispose che la sua perseveranza, l'ostinazione degli assediati almen pareggiava237. Già forse ei fondavasi sopra una lega segreta da lui stretta con un nobile Veneziano, che sedotto dalla speranza di un luminoso e ricco maritaggio, ebbe la viltà di tradire i confederati della sua patria. Nel più cupo della notte, furono gettate dall'alto delle muraglie le scale di corda, per le quali saliti tacitamente gli snelli Calabresi, sol dal nome, e dalle trombe del vincitore, i Greci furono desti. Ciò nullameno per tre giorni difesero le strade contra un nemico già padrone de' baluardi; si rendettero finalmente dopo un assedio di sette mesi, calcolati dal momento che la piazza fu circondata. Penetrò indi Roberto nelle parti interne dell'Epiro, o dell'Albania, e attraversate le prime montagne della Tessaglia, trecento Inglesi nella città di Castoria sorprese, a Tessalonica si avvicinò, fece tremare Costantinopoli. Ma un più incalzante dovere, il corso dei suoi ambiziosi disegni interruppegli. Già distrutti due terzi del suo esercito dal naufragio, dai morbi contagiosi e dal ferro nemico, e allorchè aspettavasi dall'Italia nuove reclute, dolorosi messaggi lo ragguagliarono delle sciagure, e de' pericoli ai quali, per la lontananza di lui, la stessa Italia era in preda, della ribellione delle città e de' Baroni della Puglia, dello stremo a cui trovavasi il Papa, dell'avvicinamento, o piuttosto dell'invasione di Enrico Re di Alemagna. Egli osò immaginarsi che la presenza sua basterebbe a rendergli sicuri gli Stati, e sopra un sol brigantino, rivalicò il mare, lasciando l'esercito sotto il comando di suo figlio e dei Conti normanni; e con esortazioni a Boemondo, di rispettare la libertà de' suoi eguali, ai Conti di obbedire l'autorità del lor Generale. Il figlio di Guiscardo sull'orme del padre suo camminò. I Greci paragonano questi due guerrieri al bruco e alla locusta, l'uno de' quali divora tutto quanto non fu sterminato dall'altro238. Dopo avere vinte due battaglie contra l'Imperatore, scese nella pianura della Tessaglia e assediò Larissa, capitale del favoloso regno di Achille239, ove l'erario e i magazzini del greco esercito si racchiudevano. Del rimanente debbonsi encomj alla prudenza e alla fermezza di Alessio, che contro la infelicità de' tempi coraggiosamente lottò. In mezzo alla penuria che disastrava lo Stato, ardì valersi degli arredi superflui delle chiese, provvide alla diffalta dei Manichei, col sostituir loro alcune tribù della Moldavia; settemila Turchi assunsero il luogo degli estinti fratelli e l'incarico di vendicarli; intanto i soldati greci, addestratisi nel cavalcare e nel lanciar frecce, si fecero abili al giornaliero esercizio delle fazioni militari e delle imboscate. Sapendo Alessio per esperienza che i cavalieri franchi, tanto formidabili sui lor corridori, non poteano nè combattere, nè quasi moversi a piedi240, ordinò ai suoi arcieri di far bersaglio de' loro dardi il cavallo anzichè il cavaliere, e seminava di punte di ferro ed altri impacci il terreno d'onde potea paventare un assalto. La guerra venne protratta ne' dintorni di Larissa ove i successi de' due eserciti, dubbiosi rimasero. In tutte le occasioni il coraggio di Boemondo in guisa luminosa, e sovente con fortuna, si dimostrò; ma i Greci immaginarono uno stratagemma per cui il normanno campo fu saccheggiato. Inespugnabile essendo la città, i Conti o disgustati, o corrotti dall'inimico, le bandiere del loro duce abbandonarono, e consegnati ai Greci i lor posti, le parti dell'Imperatore seguirono. Alessio riportò a Costantinopoli il vantaggio, anzichè l'onore della vittoria. Quanto al figlio di Guiscardo, rinunziando ad un territorio che non potea più difendere, veleggiò verso l'Italia ove ben accolselo il padre, che ne conoscea il merito, e ne compiagnea l'infortunio.

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      Di tutti i principi latini confederati di Alessio, e nemici di Roberto, il più poderoso e zelante era Enrico III, o IV Re d'Alemagna, e d'Italia, che divenne in appresso Imperator d'Occidente. La lettera che il Principe greco indirissegli241, abbonda di sentimenti di verace amicizia e del desiderio onde ardea di consolidare la scambievole lega con vincoli di famiglia, e politici. Congratulatosi con Enrico pei buoni successi da esso ottenuti in una giusta e santa guerra, querelasi perchè le audaci imprese de' Normanni, la prosperità del suo impero hanno turbata. La nota de' donativi inviatigli dalla Grecia ai costumi del secolo corrisponde: una corona d'oro guarnita di raggi, una croce da petto adorna di perle, una scatola di reliquie coi nomi e titoli de' Santi cui perteneano, un vaso di cristallo, un vaso di Sardonica, balsamo, probabilmente della Mecca, e cento pezze di porpora; inoltre cenquarantaquattromila bisantini d'oro, con promessa di aggiugnerne altri dugento sedicimila, allorchè Enrico fosse venuto in armi sul territorio pugliese, e confermata, con giuramento, la loro confederazione contro il comune inimico. Il Principe alemanno242 che già trovavasi in Lombardia, Capo di un esercito e di una fazione, accettando tosto queste magnifiche offerte, al mezzogiorno immantinente si volse; e benchè il fermasse in cammino la notizia della giornata di Durazzo, ricompensò abbondantemente il dono avuto dall'Imperatore, poichè lo spavento che coll'armi sue e col suo nome inspirò, costrinse Roberto a ricercar precipitosamente la Puglia. Enrico detestava i Normanni, come confederati e vassalli di Gregorio VII, implacabile suo nemico, orgoglioso sacerdote, che col suo zelo ambizioso riaccese la lunga querela tra il Sacerdozio e l'Impero243: il Re, il Papa, si mandavano anatemi a vicenda, e ognun d'essi avea posto un rivale sul trono del suo antagonista. Dopo la sconfitta e la morte del ribelle della Svevia, Enrico si condusse in Italia per assumervi l'imperiale corona, e scacciare il tiranno della Chiesa dal Vaticano244245: ma la causa di Gregorio i Romani sostennero, e fermi in lor coraggio rendevangli i soccorsi d'uomini e di danaro che ad essi venian dalla Puglia, onde per tre volte l'Imperatore alemanno tentò indarno l'assedio di Roma. Nel quarto anno, Enrico si guadagnò, coll'oro dicesi di Bisanzo, i Nobili romani che i lor dominj e le lor castella a tutti gli orrori della guerra videro in preda. Gli vennero consegnate le porte, i ponti e cinquanta ostaggi: l'antipapa Clemente fu consacrato nel palagio di Laterano, e pieno di gratitudine incoronò in Vaticano il suo protettore. L'Imperatore Enrico, intitolatosi successore d'Augusto e di Carlomagno, chiarì il Campidoglio sua stabile residenza. Il nipote di Gregorio le rovine del Septizonio tuttavia difendea: assediato entro castel S. Angelo il Papa nel solo coraggio e nella fedeltà del suo vassallo normanno ponea la speranza. Ben vero è che ingiurie e reciproche lamentanze aveano interrotto il buon accordo fra questi due personaggi; ma in sì imminente pericolo Guiscardo i suoi giuramenti, il suo interesse più forte ancora dei giuramenti, l'amor della gloria, e l'odio che portava ai due Imperatori, sol calcolò. Dispiegata la santa bandiera, coll'animo deliberato di accorrere in soccorso al principe degli Appostoli, e dopo avere raunati seimila uomini a cavallo, e trentamila fantaccini, il più numeroso di quanti eserciti

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<p>236</p>

Lupo Protospata (t. III, p. 45) dice seimila; Guglielmo Pugliese più di cinquemila (l. IV, p. 275): nel che è lodevole e singolare la lor modestia; era sì facile ad essi con un tratto di penna l'uccidere venti o trentamila scismatici, od infedeli.

<p>237</p>

I Romani riguardando come nome di cattivo augurio il nome Epidamnus, gli sostituirono l'altro Dyrrachium (Plinio, III, 26), di cui il popolo avea fatto Duracium (V. il Malaterra), vocabolo che ha qualche somiglianza coll'altro, durezza. Durando era uno fra i nomi di Roberto, e veramente Roberto potea chiamarsi un Durando; giuoco scipitissimo di parole. (Alberic, Monach. in Chron., V. Muratori, Annali d'Italia, t. IX, p. 137).

<p>238</p>

βρουχους και ακριδας ειπεν αν τις αυτους πατερα και υιον il padre e il figlio erano appellati bruchi e locuste (Anna, lib. I, pag. 35). Mercè tali comparazioni, tanto diverse da quelle di Omero, costei s'immagina inspirar disprezzo ed orrore contra il cattivo animaluzzo che appellasi conquistatore. Fortunatamente il comun raziocinio, ossia la comune irragionevolezza, ai lodevoli disegni della greca Principessa fan guerra.

<p>239</p>

Prodiit hac auctor Trojanae cladis Achilles.

Virgilio nel libro secondo dell'Eneide (Larissaeus Achilles) aggiugne forza alla supposizione del Pugliese (l. I, p. 275), supposizione non giustificata dalle geografiche descrizioni che si trovano in Omero.

<p>240</p>

L'ignoranza ha tradotto των πεδιλων προαλματα, (punte de' talari) Speroni; e questi impacciavano i cavalieri che combattevano a piedi (Anna Comnena, Alexias, lib. V, p. 140). Il Ducange ha dedotto il vero significato di queste parole da una usanza ridicola, ed incomoda, durata dall'undicesimo secolo fino al decimoquinto. I ridetti speroni, configurati a guisa di scorpione, aveano talvolta due piedi e una catenella d'argento che gli attaccava al ginocchio.

<p>241</p>

Tutta questa lettera merita di essere letta (Alexias, l. III, p. 93, 94, 95). Il Ducange non ha intese le seguenti parole αστροπελεκυν δεδεμενον μετα χρυμαφις. Ho procurato di dar loro una interpretazione possibilmente plausibile: χρυμαφιου significa corona d'oro. Simone Porzio (in Lexico graeco-barbar.) dice che ασροπελεκυς equivale a κεραυνος, πρηστηρ, lampo.

<p>242</p>

Intorno a questi principali fatti rimetto i leggitori agli storici Sigonio, Baronio, Muratori, Mosheim, Saint-Marc etc.

<p>243</p>

Le vite di Gregorio VII sono o leggende, o invettive (Saint-Marc, Abrégé; t. III. p. 233; ec.), e i moderni leggitori non crederanno più ai suoi miracoli che ai suoi sortilegi. Nel Leclerc (Vie de Hildebrand, Bibliothèque ancienne et moderne, t. VIII) si trovano diverse nozioni instruttive a tale proposito, e molte dilettevoli nel Bayle (Dictionaire critique, Grégoire VII). Questo pontefice fu, non v'ha dubbio, un uomo sommo, un secondo Atanasio, in un secolo più fortunato per la Chiesa. Mi sarà egli lecito aggiugnere che il ritratto di Atanasio da me offerto nel Capitolo XXI è uno de' tratti della mia storia de' quali mi trovo meno scontento?

<p>244</p>

Ciò che qui dice l'autore di Gregorio VII forse è esagerato; vegga il lettore ciò che abbiamo scritto di questo Papa famoso in una Nota al vol. IX. (Nota di N. N.)

<p>245</p>

Anna, col rancore proprio ad una scismatica greca, chiama Gregorio καταπτυσος ουτς Παπας (lib. I, pag. 32), un Papa e un prete degno che gli sia sputato addosso; lo accusa di aver fatto frustare gli ambasciatori di Enrico, di aver fatto ad essi rader la barba; forse d'averli privati degli organi della virilità (p. 31-33); ma questo crudele oltraggio è poco verisimile, nè ben provato. V. la sensata prefazione del Cousin.