Spettri, Ragazze E Fantasmi Vari. Stephen Goldin

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Spettri, Ragazze E Fantasmi Vari - Stephen Goldin

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racconto è apparso per la prima volta in Galaxy nel dicembre 1968.

       E’ nato in modo interessante. Ho venduto la mia prima storia “Le ragazze della USSF 193” (il prossimo racconto di questo volume) nel 1965: mi sentivo molto fiero di me stesso. Ero un professionista, avevo venduto un racconto. Mi ci sono crogiolato per tre anni. Anche un mio amico voleva scrivere ed io avevo gli avevo passato un mio abbozzo di idea che poi lui si era rivenduto. Beh, buon per lui; l’idea, anche se mia, aveva funzionato per il mio protetto. Poi un pomeriggio di primavera mi chiama e mi dice che ha appena venduto il suo secondo racconto. Mi congratulo, un po’ a denti stretti; concludo la telefonata al più presto; poi sposto di lato tutto ciò che c’è sulla scrivania e inizio a lavorare. In ventiquattr’ore scrivo e invio “Sogni d’oro, Melissa!” L’ho venduto al primo destinatario a cui l’ho proposto.

       Ora il mio amico è un medico optometrista di gran successo.

       Probabilmente “Sogni d’oro, Melissa!” è il mio racconto di maggior successo, ristampato e inserito in antologia diverse volte.

      Dal suo buio speciale, Melissa udì la voce del Dottor Paul che parlava con tono sommesso dall’estremità opposta della stanza. “Dottor Paul” gridò lei” “Oh Dottor Paul per favore venga qui.” Ora la sua voce era un piagnucolìo disperato.

      La voce del Dottor Paul tacque, poi mormorò qualcosa. Melissa udì i passi che le si avvicinavano. “Sì Melissa, cosa c’è?” disse lui con toni profondi e pazienti.

      “Ho paura, Dottor Paul.”

      “Ancora incubi?”

      “Sì.”

      “Ma non devi preoccuparti, Melissa. Non possono farti del male.”

      “Ma fanno paura” insistette Melissa. “Li faccia fermare. Li faccia andar via come fa di solito.”

      Nel buio c’era un’altra voce che sussurrava. Sembrava quella del Dottor Ed. Il Dottor Paul ascoltò i sussurri e poi disse sottovoce “No, Ed, non possiamo lasciar correre così. Siamo molto indietro col programma originale.” E poi a voce alta: “Dovrai abituarti ad avere incubi ogni tanto, Melissa. Tutti ne hanno. Non sarò sempre a disposizione per cacciarli via.”

      “Oh, per favore non vada via.”

      “Ancora non me ne vado, Melissa. Non ancora. Ma se non la smetti di preoccuparti di questi incubi dovrò andar via. Dimmi cos’erano”.

      “Beh inizialmente ho pensato che fossero numeri, quindi tutto a posto perché i numeri non hanno niente a che vedere con la gente, sono carini e gentili e non fanno del male a nessuno come invece succede negli incubi. Poi i numeri hanno iniziato a cambiare e sono diventati delle linee – due file di persone, tutti che correvano uno verso l’altro e si sparavano addosso. Fucili, carri armati, palle da cannone. E c’era pure gente che moriva, Dottor Paul, un sacco di gente. Sono morte cinquemiladuecentoottantatré persone. E non è tutto: perché si sparava anche dall’altra parte della valle. E sentivo qualcuno dire che era giusto, perché finché i caduti dei primi scontri restavano sotto il 15,7% si poteva ancora conquistare la posizione strategica, cioè la cima della montagna. Ma il 15,7% di tutte le forze equivaleva a novemilaseicentodue virgola sette, sette, otto, nove altri uomini feriti o uccisi. E’ stato come vedere tutta quella gente a terra, morente.”

      “Te l’avevo detto che con un’età mentale di cinque anni non poteva essere abbastanza matura per la logistica militare” sussurrò il Dottor Ed.

      Il Dottor Paul lo ignorò. “Ma quella era una battaglia, Melissa. In guerra c’è da aspettarselo, che la gente muoia.”

      “Perché? Dottor Paul?”

      “Perché…. Perché la guerra è così, Melissa. E poi non è successo per davvero. E’ stato semplicemente un problema, come con i numeri, però qui invece dei numeri c’erano persone. Era tutto fittizio.”

      “No non è vero, Dottor Paul,” gridò Melissa. “Era tutto vero. Tutta quella gente era reale. So pure i nomi. C’erano Abers, Joseph T. Pfc, Adelli, il Caporale Alonzo, Aikens…”

      “Adesso piantala Melissa,” disse il Dottor Paul, alzando la voce assai più del normale.

      “Mi spiace, Dottor Paul” si scusò Melissa.

      Ma il Dottor Paul non l’aveva udita; era occupato a sussurrare al Dottor Ed: “…ricorso a nient’altro che a un’analisi totale.”

      “Ma distruggerebbe interamente la completezza della personalità, abbiamo faticato tanto per costruirla.” Il Dottor Ed non si preoccupò neppure di sussurrare.

      “Cos’altro si può fare?” chiese cinico il Dottor Paul. “Questi ‘incubi’ che ha ci fanno restare sempre più indietro col programma.”

      “Potremmo tentare di far autoanalizzare Melissa.”

      “E come?”

      “Attento ora.” La voce assunse quei toni dolci che, come Melissa aveva imparato, alcune persone adottavano solo nei suoi riguardi, ma non parlandosi le une alle altre. “Come stai?”

      “Sto bene, Dottor Ed.”

      “Ti piacerebbe se ti raccontassi una storia?”

      “E’ una storia a lieto fine, Dottor Ed?”

      “Ancora non lo so, Melissa. Sai cos’è un computer?”

      “Sì. E’ una macchina da calcolo.”

      “Beh i primi computer sono nati in quel modo Melissa, ma presto sono diventati sempre più complessi e poi in breve sono nati computer che sapevano leggere, scrivere, e persino pensare completamente da soli, senza l’aiuto degli umani.”

      “Ora, una volta un gruppo di persone osservò che se un computer può pensare da sé, può essere in grado di sviluppare una propria personalità: quindi si misero a fabbricarne uno che potesse agire proprio come una persona vera. Lo chiamarono Multi-Logical Systems Analyzer, or MLSA....”

      “Suona come ‘Melissa’…” ridacchiò Melissa.

      “Eh già, vero? Comunque queste persone si resero conto che una personalità non è qualcosa che spunta fuori così, dal nulla, già completamente formata; deve svilupparsi piano piano. Ma allo stesso tempo, quelle persone avevano bisogno delle capacità di calcolo di quel computer, perché era la macchina più costosa e complessa che avessero mai realizzato. Quindi divisero il cervello elettronico in due parti – un lato avrebbe gestito i calcoli normali e l’altro avrebbe messo a punto delle caratteristiche proprie: appena ottenuta una personalità abbastanza sviluppata le due parti sarebbero state ricongiunte.”

      “Perlomeno, secondo loro avrebbe dovuto funzionare così. Poi però scoprirono che il progetto di base del computer non permetteva una scissione completa – cioè una separazione in due parti con funzioni distinte. Sottoponendo un problema al lato che faceva i calcoli, alcuni dei dati inseriti penetravano inevitabilmente nella parte della personalità. E questo era un male, Melissa, perché la parte della personalità non sapeva di essere un computer; pensava di essere una bimba, proprio come te. I dati che le arrivavano la confondevano e la spaventavano. E, spaventata e confusa sempre di più,

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