Il Fascino Di Medusa Tra Arte, Mito E Leggenda. Andrea Piancastelli
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Tante e diverse sono le definizioni del mito secondo gli innumerevoli studiosi che lo hanno trattato: seguiamo in questa sede l’analisi di R. Otto (1). In greco, mythos ha il senso fondamentale di “elocuzione”, cosa detta. Il primo autore a usare il termine mythologia è Platone, e per il filosofo significava “raccontare storie o parlare di esse”. In questo modo la parola mythos viene a significare una cosa detta in forma di racconto, una storia. Ma naturalmente non tutte le storie sono miti: per miti si intende comunemente “storie tradizionali”, così come gli antichi Greci con la parola mythoi alludevano alle storie tradizionali degli dei e degli eroi.
Nascono allora gli dei greci: la tradizione mitologica narra i racconti delle loro gesta attribuendo loro un nome e le relative funzioni, un’apparenza fisica e un insieme di atteggiamenti ordinati intorno al loro aspetto umano. E i poeti, con i loro inni e le loro teogonie, canti che celebrano la generazione degli dei, allestiscono un pantheon destinato a diventare “tradizionale” quanto il mito.
Tenendo in considerazione lo studio di K.O. Müller (2), la creazione del pensiero e la realtà, l’ideale e il reale, appaiono spesso strettamente connessi in una narrazione mitica, e quanto più antico è il mito, tanto più intimamente in esso l’elemento reale è fuso con la creazione del pensiero. Questo è dimostrato anche dal fatto che notizie del tutto storiche parlano spesso delle stesse circostanze che vengono menzionate nei miti. Il mito, secondo K.O. Müller, dunque, deriverebbe dalla storia; ma sarebbe anche l’espressione della fede negli dei della Grecia, della religione, dal momento che in questi racconti l’influsso esercitato dalle divinità è costante. Alla storia e alla religione poi, fin dai tempi antichi, si sarebbero aggiunte idee “etiche”, che costituiscono il fondamento del costume e del diritto e che si trovano espresse nei miti. Avendo origine dalla realtà e dalla religiosità, il mito assume valore anche per ogni attività poetica e di pensiero, come mezzo per comunicare in modo efficace.
Il mito nasce dalla realtà, ma dal punto di vista dell’uomo: per questo i miti non sono né uniformi, né logici, né internamente coerenti; sono multiformi e mutevoli come l’animo umano che li produce. Ed è vero anche il contrario: seguendo lo sviluppo dell’uomo greco, il mito si misura con il processo di razionalizzazione della realtà e del mondo; simboleggiando concetti, fa emergere un mondo che esso stesso crea e fa essere attraverso il suo stesso racconto, attraverso la parola. Si configura così un universo ordinato, fatto di dei dalle competenze e sfere d’azione ben delineate e delimitate, parallelo a quello umano ordinario; una sorta di livello sovrumano del reale, un mondo che, creato dall’uomo, serve come mezzo per “autocertificare” il proprio statuto di persona razionale e reale.
Tuttavia resta all’uomo la coscienza, soffocata, dell’irrazionalità e della mutevolezza del proprio animo. Questa cosa spaventa, terrorizza, perché non c’è mai la certezza di averla dominata del tutto. Così attorno alla grande famiglia olimpica continuano a esistere costellazioni di figure minori difficilmente classificabili come divinità. Esse coprono spazi marginali e talvolta traducono l’incubo inquietante e incombente del disordine nella forma di una frastagliata serie di collettività mitiche, come i Giganti e i Ciclopi; figure collocate al margine del pantheon e comunque escluse dal culto.
Tra queste si colloca Medusa. Un daimon ambivalente che provoca uno sconvolgimento, un sussulto interiore nel momento in cui lo si guarda. E laddove la parola non può descrivere questo mostro, l’arte può raggiungerlo con più efficacia, dal momento che ciò che provoca tale scossa può essere sì il suo nome, ma associato inestricabilmente al suo aspetto. Medusa è da vedere, Medusa ci guarda. Un percorso iconografico sulla paura dell’affermazione di qualcosa di incontrollabile, di indescrivibile; è l’arte del “doppio”, dell’ambivalente.
[1] R. OTTO, Das Heilige. Über das Irrazionale in der Idee des Göttlichen und sein Verältnis zum Rationalen, München 1936 (trad. it. Il sacro. L’irrazionale nella idea del divino e la sua relazione al razionale, Milano 1976).
[2] K.O. MÜLLER, Prolegomeni zu einer wissenschaftlichen Mythologie, Göttingen 1825 (trad. it. Prolegomeni ad una mitologia scientifica, Napoli 1991).
I. GORGONI ARCAICHE
Tav. 1 Medusa, rilievo di anfora cicladica da Tebe, 670 a.C., Parigi, Museo del Louvre.
1. Maschera terrifica
Tav.2 Maschera in terracotta della Gorgone Medusa, VI–V secolo a.C., dal tempio di Palaikastro di Zeus Diktaian, Creta, Museo Archeologico di Heraklion.
Le fonti figurative documentano in un primo momento la sola testa delle Gorgoni ( gorgoneion). L’iconografia del mostro non presenta sin dall’inizio uno schema iconografico preciso, ma tipi diversi, genericamente mostruosi, caratterizzati dalla visione frontale e dai grandi occhi. Alla fine dell’VIII secolo a.C. deve essere datato un tipo di maschera fittile da Tirinto, identificato come quello di una Gorgone, che presenta grandi orecchie aperte, occhi a globo, bocca fornita di zanne ferine. La maschera è stata trovata insieme ad altre in un pozzo sacrificale associato al santuario di Hera e si trova al Museo Archeologico di Napoli (1).
Valutando queste prime raffigurazioni della Gorgone si deduce facilmente che Medusa nasce come maschera. Ma chiariamo ora il concetto di maschera. Se usiamo la definizione di H. Pernet, maschera è “nel senso stretto e usuale del termine, una falsa faccia dietro la quale ci si nasconde allo scopo di travestirsi” (2). E’ cioè un mezzo per cessare di essere se stessi: indossando una maschera, si incarna la potenza di cui si prendono le sembianze per giungere alla possessione. Una possessione che sovrappone la divinità all’uomo, fa sì che questa si impadronisca del celebrante rendendolo irriconoscibile e producendo un’alienazione in rapporto alla sua identità. In questo modo si stabilisce tra l’uomo e il dio uno scambio, un’identificazione che allontana l’uomo dalla sua natura