Il Fascino Di Medusa Tra Arte, Mito E Leggenda. Andrea Piancastelli
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Ma se osserviamo attentamente la maschera recuperata a Tirinto, una delle prime produzioni artistiche della Gorgone, potremo notare che sono assenti i fori degli occhi: infatti la faccia di Medusa è una maschera, ma non la si porta su di sé per mimare la divinità; non si conoscono culti legati a Medusa.
Approfondendo la nostra analisi noteremo un’altra funzione della maschera: quella di spaventare. Pindaro ci descrive la Gorgone come una figura terrificante, con un potere mortifero che da essa si irradierebbe (3). Con ciò, però, la funzione particolare della Gorgone non è più semplicemente di spaventare: è la morte per irrigidimento davanti alla vista terribile. La rigidità è propria di tutte le maschere; nel mitologema di Medusa tale funzione, intensificata, appare come effetto di un essere sovrumano, di un volto che esercita questo effetto anche dopo essere staccato dal corpo. Maschera e Gorgone non vanno separate, esse sono identiche. Medusa è la maschera, essa inizialmente poteva esistere per se stessa, senza portatori umani. Attribuire una figura alla paura è un modo di darle corpo, di oggettivarla e di conseguenza di renderla sopportabile. Si può forse dire che le prime opere d’arte, quindi, non sono nate dal bisogno di venerare divinità o ingraziarsi potenze invisibili, bensì dalla necessità di scongiurare la potenza dei morti. La religione e l’arte avrebbero quindi un’origine comune: l’esigenza di assicurarsi la protezione dell’aldilà (4).
Tav.3 Maschera in terracotta della Gorgone Medusa, VI–V secolo a.C., dal tempio di Palaikastro di Zeus Diktaian, Creta, Museo Archeologico di Heraklion.
La maschera nasconde, la maschera spaventa, soprattutto, però, essa crea una relazione tra l’uomo che la porta e l’essere che essa rappresenta. Così la maschera, per la sua stessa rigidità, viene messa in connessione anzitutto con i morti nella sua applicazione arcaica. Essa crea un rapporto tra i vivi e i morti: gli uni si trasformano negli altri; è lo strumento di una trasformazione unificatrice: lo è in senso negativo, in quanto essa elimina i limiti divisori, in questo caso quelli tra vivi e morti, facendo apparire ciò che era nascosto; in senso positivo, in quanto tale liberazione del nascosto, dimenticato o trascurato, comporta, da parte del portatore della maschera, una identificazione con esso; nel caso di Medusa, però, la trasformazione unificatrice si fa unificazione trasformatrice. Si tratta di una identificazione che, invece di sovrapporsi, si cristallizza nell’attimo in cui gli sguardi si incrociano, e avviene come nel riflesso di uno specchio (5). Lo sguardo gorgonico ha la stessa funzione che la maschera ha nei riti religiosi; nel contatto che avviene guardandola si realizza la possessione.
La maschera di Medusa presenta due caratteristiche costanti: innanzitutto la frontalità. Contrariamente alle convenzioni figurative che regolano lo spazio pittorico in epoca arcaica, la Gorgone è sempre rappresentata di faccia, frontale rispetto all’osservatore. Medusa guarda dritto negli occhi di chi la guarda, coinvolgendolo così in una sorta di contagio mimetico, immergendolo nel proprio sguardo.
Tav.4 Applique, gorgoneion. lastra di bronzo con decorazione repoussé, fine VII secolo a.C., dalla Kabeirion di Tebe.
In secondo luogo la mostruosità. Se prendiamo in esame le maschere gorgoniche di età arcaica noteremo che nel corso del tempo, pur subendo mutazioni, l’aspetto di Medusa rimane, nella distorsione espressiva, una commistione sistematica di interferenze tra l’umano e il bestiale, tale da farla sconfinare nella categoria del “diverso”, dell’ “altro”. La distorsione espressiva prevede una testa allargata e arrotondata, che ricorda un muso leonino; gli occhi sono sbarrati, con uno sguardo fisso e penetrante; i capelli diventano serpenti o sono trattati come una criniera animalesca. Le orecchie ingrandite e deformate si collocano in un cranio che talvolta presenta corna; la bocca, ghignante, si allarga fino a occupare tutta l’ampiezza del volto, scoprendo zanne ferine o di cinghiale. La lingua fuoriesce, protesa in avanti; il mento è peloso o barbuto e la pelle solcata talvolta da rughe profonde (6). La dimensione antropomorfa e la dimensione teriomorfa sono in Medusa costantemente mescolate e la pongono in bilico tra umano e ferino collocandola in una zona di confine. La sua stessa natura sembra ricacciarla nel mondo dell’inerte e dell’inanimato, tanto che, sull’anfora protoattica del Museo di Eleusi, attribuita al pittore detto di Polifemo, le sorelle Gorgoni offrono allo sguardo una faccia a forma di terracotta primitiva (7).
Tav.5 Una delle sorelle di Medusa, anfora protoattica da Eleusi, Pittore di Polifemo, 670-650 a.C., Eleusi, Museo di Eleusi.
Non è un volto: è un’ hydria, un paiolo mostruoso e ridicolo al tempo stesso. Siamo nel registro dell’arguzia popolare, che ricorre alla burla per esorcizzare il terrore. La testa si presenta così come un vaso derisorio e bonario sui cui fianchi sono dipinti gli attributi della ferocia: gli occhi a mandorla, ingranditi e confinati ai lati del viso, le zanne diligentemente allineate. Si allontana la paura negando ciò che di umano queste creature potrebbero avere. Il volto della Gorgone è orribile, ma anche grottesco: suscita paura, ma poiché si è a sua volta obiettivato, pietrificato in una maschera, è ostentazione di sé: è il ridicolo.
Tav.6 Kotyle con Gorgone, Pittore del Lupo Cattivo, ca. 600-585 a.C., Pontecagnano.
[1] S.R. WILK, Medusa, Solving the Mystery of the Gorgon, Oxford 2000, pp. 35-36.
[2] H. PERNET, Masks, Theoretical Perspectives, in M. ELIADE (cur.), The Encyclopedia of Religion, I-XVI, IX, New York 1987 (trad. it. Maschere rituali. Prospettive Teoretiche, in Enciclopedia delle religioni, II, pp. 342-46, Milano 1994).
[3] PINDARO, Pitica, X 47; XII 12.
[4] J. CLAIR, Méduse. Contribution à une anthropologie des arts du visuel, Paris 1992 (trad. it. Medusa : l’orrido e il sublime nell’arte, Milano 1992).
[5] Si ricordi che lo specchio dei Greci permetteva di vedere solo la faccia, la testa.
[6] J.P. VERNANT, La mort dans les yeux, Paris 1985 (trad. it. La morte negli occhi, Bologna 1987).