Il Fascino Di Medusa Tra Arte, Mito E Leggenda. Andrea Piancastelli
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2. Il terrore della morte
Tav. 7 Antefissa con testa di Grogone, VI secolo a.C., da Murlo, Murlo, Antiquarium di Poggio Civitale.
Ora torniamo alle prime rappresentazioni del demone. Come le fonti figurative così quelle letterarie descrivono inizialmente il solo capo della Gorgone: Omero ci presenta Medusa come immagine terrificante (1) o come ornamento dello scudo di Agamennone (2). .
Ulisse si trova nell’Ade e teme che Persefone possa porlo di fronte alla testa orribile di Medusa. L’ Odissea ci presenta dunque una Gorgone infernale, costituita da una testa-fantasma, la maschera di cui si serve Persefone per presiedere al mondo sotterraneo.
Nel canto XI Ulisse racconta:
[…] E verde orrore mi prese
Che il capo della Gorgone,
Il mostro tremendo, dall’Ade
Mandasse la lucente Persefone (3).
(Trad. M. Giammarco).
Una Gorgone mostruosa, caratterizzata dalla sola testa fluttuante nel mondo degli Inferi, sotto l’autorità di Persefone. Ulisse qui retrocede. Medusa è a casa propria nel paese dei morti, di cui vieta l’entrata a ogni essere vivente. Questa Gorgone è presentata come un’ombra, un’ombra rappresentabile ma mai presentabile; sotto la maschera ambigua, Medusa conserva il suo segreto. Ella vive tra i morti, descritti da Omero come teste vuote, senza forza, incappucciate di tenebre, che non hanno nulla da ricordare perché abitano uno spazio fuori dal tempo. La sua testa, il cui sguardo tramuta in pietra, segna il limite tra i morti e i vivi, e vieta di superare la soglia a chi appartiene ancora al mondo della luce e del ricordo (4). In questo senso è la guardiana dell’Ade, il luogo dell’oblio. Il suo ruolo è simmetrico a quello di Cerbero: lei impedisce al vivo di penetrare nel regno dei morti, Cerbero impedisce al morto di ritornare nel mondo dei vivi (5). Una maschera, quindi, che esprime e conserva l’alterità radicale del mondo dei morti, cui nessun essere vivente può avvicinarsi. Per valicarne la soglia bisognerebbe aver affrontato la faccia di terrore ed essersi trasformati in quello che sono i morti: teste, teste vuote prive di forza e di ardore (6). Questo terrore orribile che la maschera della Gorgone ispira, Ulisse l’aveva già provato all’inizio del racconto, e l’aveva espresso con gli stessi termini: “verde orrore mi prese” (7). Ciò che allora lo sconvolgeva d’orrore non era la maschera di Medusa, ma la mostruosa alterità che si manifesta attraverso di essa. Questo “verde orrore” che il volto di Medusa provoca nell’uomo è dato dalla sua mostruosità, che rimanda direttamente all’alterità che esso incarna: guardare i suoi occhi significa affrontare la morte, essere strappati dalla vita per essere proiettati verso il basso, nella confusione e nell’orrore del caos e dell’inafferrabile. Vernant (8) definisce la morte greca come una morte a due facce: in un senso appare come il colmo dell’orrore, il male umano irrimediabile; ma d’altra parte pone le basi per una morte eroica che tenta di sconfiggere la morte stessa e che in parte vi riesce nel momento in cui l’eroe, morendo, rimane vivo in eterno nel ricordo degli uomini. Ma una cosa è certa: orribile o gloriosa, reale o ideale, la morte riguarda sempre esclusivamente coloro che sono in vita. E’ questa impossibilità di pensare la morte dal punto di vista dei morti che la rende così spaventosa: quando ci siamo noi non c’è la morte, e quando c’è la morte non ci siamo noi (9). Nella morte il mutamento è così profondo e completo che colui che lo ha compiuto non è più quello che era prima. Essere morto significa essere del tutto diverso. La direzione della morte è la direzione che conduce al “completamente altro”. All’uomo vivente resta il turbamento di fronte a questo stato di non-essere, che può essere riconosciuto solo nella morte altrui. La mancanza di essere insita nella morte provoca una naturale paura per essa (10). Così, nella sua funzione di memoria collettiva, l’epopea non è fatta per i morti; quando parla di loro o della morte, è sempre ai vivi che si rivolge. Della morte in se stessa, dei morti tra i morti, non c’è niente da dire. Essi sono al di là di una soglia che nessuno può varcare senza sparire, che nessuna parola può raggiungere senza perdere significato. E in questo l’idealità della morte eroica greca dimostra il tentativo di rigettare il più lontano possibile, al di là della soglia invalicabile, l’orrore del caos e affermare la continuità sociale di questa individualità umana che, per natura, deve necessariamente corrompersi e sparire (11).
Tav. 8 Coppia di sarcofagi in bronzo, testa di Gorgone in rilievo sulle ginocchia, ca. 550-500 a.C., da Ruvo, Puglia.
[1] OMERO, Odissea, XI 634.
[2] OMERO, Iliade, V 741; XI 36.
[3] OMERO, Odissea, XI 633-35.
[4] J.P. VERNANT, La mort dans les yeux, Paris 1985 (trad. it. La morte negli occhi, Bologna 1987).
[5] ESIODO, Teogonia, 770-73.
[6] OMERO, Odissea, X 521 e 536; XI 29 e 49.
[7] OMERO, Odissea, XI 43.