Il Terrore Privato Il Terrore Politico. Guido Pagliarino

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Il Terrore Privato Il Terrore Politico - Guido Pagliarino

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bene, a differenza che con certi spocchiosi del nostro giornale.

      C’era stato mio tramite, come già per casi passati, uno scambio di notizie fra Vittorio e Carla e viceversa, con vantaggio di lei, tutto sommato, perché l’amico godeva, di solito, d’informazioni di prima mano in quanto sovente visitava in Questura il Sordi. Questi aveva già avuto, in casi precedenti, suggerimenti decisivi dal pensionato questore, per cui non era solo per deferente simpatia che soleva accoglierlo nel suo ufficio e, a volte, sui luoghi stessi dei delitti e ascoltarne i pareri. Anche nel caso del Mostro dell'Orecchio, ben volentieri, s’era tenuto Vittorio vicino.

      L'amico, a volte, passava pure a trovare un altro suo ex dipendente, il vice questore Giandomenico Pumpo il quale, dopo un periodo da commissario capo alla direzione d’uno speciale reparto che s’occupava di gruppi magici, esoterici, pseudo-religiosi e satanici, la SAS, Squadra Anti Sette, sedeva allo stesso posto ch’era stato del D’Aiazzo. Pur se meno suo amico del Sordi, anche il Pumpo si lasciava strappare talora dal vecchio poliziotto qualche notizia utile alle proprie parallele indagini.

      Il secondo delitto era occorso cinque giorni dopo l’uccisione della Capuò Tron, ormai ottobre: vittima Giovanna Peritti vedova Verdani, pensionata sessantenne che viveva sola in un alloggio in corso Agnelli ereditato dal marito. Aveva una figlia, ma sposata e residente ad Asti. Proprio questa ne aveva scoperto il cadavere, poco dopo le 22 dello stesso giorno dell’omicidio: ella usava telefonare ogni sera alla mamma, e quella volta non aveva avuto risposta, sebbene il telefono avesse trillato molte e molte volte dalle 19 e 30 in poi; e poco dopo le 21, la figlia, preoccupata assai ben sapendo che la madre mai usciva di casa col buio, era saltata in macchina ed era venuta a Torino. Giunta circa un’ora dopo dinanzi al palazzo della mamma e avendo sonato inutilmente al citofono, grazie alle chiavi di riserva che aveva con sé era entrata, era salita e aveva aperto l’appartamento materno, chiuso col solo mezzo giro come avrebbe poi detto alla Polizia, e accesa la luce, aveva fatto la raccapricciante scoperta della genitrice a terra cadavere nell’ingresso, con la bocca spalancata in una smorfia di dolore, gli occhi sbarrati, sangue e materia cerebrale fuoriusciti da un orecchio e un largo ematoma sulla testa.

      Si sarebbe stabilito che l’ecchimosi era stata causata da un pesante vaso domestico calato sulla testa, sul quale l’anatomopatologo avrebbe trovato tracce del cuoio capelluto della vittima. Il medico avrebbe stabilito inoltre che, sicuramente, la morte era stata dovuta a un punteruolo passato per l’orecchio fin a bucare l’encefalo.

      La figlia della morta, che a stento aveva fatto in tempo a lasciarsi cadere sopra una sedia, vi era venuta meno. Ripresa conoscenza, verso le 22 e 10 com’ella aveva appurato all’orologio da polso, benché ancora sotto shock era riuscita a telefonare al 113.

      Verso le 23 avevo avvertito per cellulare Vittorio del nuovo omicidio, esaudendo la sua richiesta d'informarlo di possibili sviluppi dei quali fosse giunta notizia al giornale. Del nuovo delitto m’aveva detto Carla Garibaldi poco prima, dalla sua postazione-computer, quando le ero passato accanto diretto alla mia scrivania. Ne aveva appena avuto notizia telefonica da un collaboratore che, di regola, alla sera e nelle prime ore della notte stazionava nell’atrio della Questura assieme a colleghi dell’altro quotidiano cittadino e delle televisioni, per ricevere notizie di nera. Di seguito il vice di Carla era accorso cogli altri sul luogo del delitto, per riferire novità alla sua principale.

      Vittorio aveva il numero del cellulare di Evaristo Sordi, da lui aveva saputo che il funzionario si trovava sul luogo del delitto e che la salma non era stata ancora rimossa, in attesa dell’imminente arrivo e dell’autorizzazione del pubblico ministero Trentinotti al trasferimento in obitorio per la necroscopia. L’amico aveva ottenuto dal Sordi d’essere ammesso nell’alloggio della morta confondendosi coi giornalisti.

      Non aveva mai avuto patente e viaggiava per la città in tram, parsimoniosamente; ma data l’ora e l’urgenza, quella volta aveva preso un taxi. Era stata tuttavia una perdita di tempo e denaro, infatti era giunto sul pianerottolo innanzi all’alloggio della defunta quand’ormai s’erano mossi tanto i giornalisti, compreso il vice di Carla, che il medico legale, il giudice e il commissario; questi aveva preso con sé, sull’auto di servizio, la figlia della morta, per raccoglierne ufficialmente e verbalizzare in Questura la testimonianza. Il cadavere era di già in viaggio verso l’obitorio. Rimanevano solo due agenti che stavano mettendo i sigilli alla porta e la vice sovrintendente che li comandava e che, conoscendo il D’Aiazzo, l’aveva salutato con cordialità; forse non l’avrebbe potuto, ma gli aveva anche offerto un passaggio sulla propria pantera fin alla Questura, ch’egli s’era ben guardato dal rifiutare, considerando la prossimità della stessa alla sua abitazione e l’ora ormai tarda.

      Il giorno dopo Vittorio, durante la sua solita passeggiata sotto i portici di via Cernaia, corso Vinzaglio, corso Vittorio Emanuele e viceversa, sul ritorno aveva avuto idea di fare una sosta in Questura. Aveva chiesto del commissario Sordi, sperando che fosse in sede.

      C’era e l’aveva ricevuto.

      Senza preamboli, Evaristo gli aveva detto: “Ieri sera avevo dovuto andar via prima del tuo arrivo… eri venuto, no?”

      â€œSissignore”.

      â€œMi spiace, Vittorio, ma prima che tu giungessi il giudice ci aveva dato l’ordine di sgombrare e sigillare. Non avevo potuto aspettarti, dovendo andar via cogli altri e portarmi al seguito la testimone del ritrovamento, la figlia della morta, per mettere subito nero su bianco la sua deposizione”.

      â€œNessun problema. Se vuoi, dimmi qualcosa di ’sta figlia”.

      â€œNessun sospetto su di lei, anzi pare proprio, dalle testimonianze di vicini di casa della madre e, inoltre, di vicini della figlia interrogati poco fa dai nostri di Asti, dov’ella vive con marito e due bambini, che le due andassero d’amore e d’accordo; anzi, figlia e genero invitavano sovente la mamma a casa loro, venendo lei o lui a prenderla in auto qui a Torino, per non farla andare su e giù in treno, e poi riportandola a fine giornata”.

      â€œCapito. Deve aver sofferto molto quella povera signora”.

      â€œSì, era affranta. A parte questo, se ieri notte non ti ho potuto attendere, in paga ti dico adesso tutto quanto so. Anzitutto che, diversamente dal caso Capuò Tron, l’omicida è entrato dalla porta e non da una finestra, dato che, come sai, l’alloggio è al terzo piano. Inoltre, che stavolta non è stato sottratto nulla, almeno secondo la figlia della morta: forse l’assassino è stato disturbato da qualcosa prima di frugare e rubare e si è eclissato in fretta tirandosi la porta dietro, che è rimasta chiusa col solo scatto; ma la notizia forse più importante riguarda il profilo della vittima: ho controllato nei nostri archivi se la Peritti Verdani fosse incasellata e ho trovato registrazioni su di lei… nell’ufficio DIGOS”.

      â€œAh, però! Hm… mentre la prima vittima…?”

      â€œNo, niente, la Capuò Tron era un angioletto, povera donna, mai avuto a che fare con noi a nessun titolo. Invece la Peritti era di ben diversa pasta, almeno per il passato, ché poi doveva essersi data una calmata. Nei primi anni ’70, non ancora coniugata Verdani, era stata operaia alla FIAT che l’aveva minacciata di licenziamento più volte a causa di gravi intemperanze sindacali verso colleghi non comunisti e contro il caporeparto, anzi, più che di intemperanze, parliamo pure di eccessi filo

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