Il Terrore Privato Il Terrore Politico. Guido Pagliarino

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Il Terrore Privato Il Terrore Politico - Guido Pagliarino

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nel soprannaturale. Tale demonismo adulto è d’élite pure quanto al numero dei membri, in Italia si compone infatti, secondo il CASOC, di appena dieci gruppi con poche decine d’aderenti ciascuno: alcune centinaia di persone in tutto. È sicuro che esiste nella nostra città una di tali conventicole, fra le più antiche, sempre a detta del CASOC.

      Per quanto riguarda infine la terza tipologia dei gruppi satanici, quella delle psicosette, tanto per la Questura che per il CASOC esse comprendono il maggior numero d’aderenti, qualche centinaio di migliaia nel nostro Paese, e rappresentano un satanismo di fatto che s’esercita nella soggezione psicologica ed economica dei membri ai propri capi, fino alla schiavitù, cominciando dalla sistematica donazione obbligatoria del patrimonio personale al gruppo, cioè in sostanza ai suoi dirigenti. Le psicosette però non presentano forme esterne d’adorazione demoniaca, per cui, al pari dei satanisti adulti, nemmeno queste persone possono essere verosimilmente sospettate dei delitti del Mostro dell’Orecchio: sempre, ovviamente, che si tratti davvero d’omicidi rituali come sospetta il vice questore.

      Peraltro, se da una parte confidiamo che la nuova pista indicata dal dottor Pumpo conduca a un rapido epilogo della scellerata vicenda, non va trascurato il fatto che le precedenti vittime erano state assalite in casa propria.

       [email protected]

      La salma della quinta vittima, nuovamente di sesso femminile, era stata trovata dalla Polizia alcuni giorni dopo il decesso, grazie alla denuncia di un’amica e collega, insospettita dal fatto che la donna non si fosse presentata al lavoro e non avesse risposto alle sue chiamate telefoniche. Le forze dell'ordine, ottenuta l’autorizzazione del giudice ad accedere in casa, avevano potuto entrare sfondando la porta, chiusa col solo mezzo giro come nei primi tre omicidi. La vittima si chiamava Mosca Scrofagnocca, cinquantottenne commessa in un maxi negozio di cucine e articoli per bagno. Nubile senza parenti, abitava da sola, inquilina d’un vecchio bilocale di via Stampatori. Il delitto, secondo il medico legale, doveva essere avvenuto il giorno successivo a quello dell’omicidio Cipolla. Anche questo cadavere mostrava i segni d’un forte colpo in testa preventivo alla perforazione del cerebro con un punteruolo.

      Vittorio aveva saputo da Evaristo, il dì successivo a quello del ritrovamento della salma, che pure la Scrofagnocca era stata sotto l’occhio dell’antiterrorismo negli anni ’70 e ’80: ce n’erano annotazioni presso la DIGOS della Questura, dalle quali risultava che le idee rivoluzionarie della Scrofagnocca erano di famiglia, essendo stati i suoi genitori sfegatati stalinisti nel Partito Comunista di Togliatti anni ’40 e ’50, noti alla Questura come agitatori abituali e occasionali bastonatori di attacchini della Democrazia Cristiana durante le prime campagne elettorali. Il nome completo che i due avevano sciaguratamente appioppato alla figlia era Mosca Stalina, pur s’ella usava da un pezzo, dopo ch’era svenuta negli anni ‘80 la buriana rivoltosa iniziata nel ’68, solo più il nome Mosca, che non richiamava immediatamente l’ormai defunta Unione Sovietica. Era inoltre emerso dall’archivio un particolare intrigante che poteva rivelarsi utile alle indagini sul Mostro: in passato la donna aveva lavorato come magazziniera nella stessa fabbrichetta di porte per docce dove anche la seconda vittima aveva prestato servizio e, suppergiù, negli stessi anni. Ciò poteva indurre a considerare con più attenzione la pista politica, pur senza trascurare quelle del gruppetto demoniaco e del serial killer psicopatico.

      Nel caso che l’assassino fosse stato un serial killer, presentava interesse, secondo criminologi e psicologi sociali consiglieri della Questura, il fatto ch’egli non avesse mai contattato né i media né la Polizia, a differenza di quegli assassini seriali che amavano mettersi in mostra con messaggi, sfidando la società, come l’archetipo di tutti i serial killer, il famigerato autore londinese di almeno cinque delitti, attuati dal 31 agosto all’8 novembre 1888, che aveva spedito alla stampa tre lettere, presunte autentiche, nella prima delle quali s’era firmato Jack lo squartatore, come sarebbe stato poi chiamato dai giornali e come sarebbe rimasto negli annali della criminologia, e che in tutte e tre le missive aveva fornito presunti indizi deridendo Scotland Yard. Nel caso del Mostro dell’Orecchio, l’assenza di messaggi, postali, telefonici o per posta elettronica, aveva portato i periti psichiatrici ad abbozzare, sia pure con riserva, alcuni lineamenti del suo carattere: egli, o ella se si trattava d’una donna, verosimilmente soffriva nel profondo d’un complesso d’inferiorità; inoltre, doveva provare un piacere, insieme sadico e autolesionista, rispettivamente nell’incombere occultamente su Torino impaurendola con crudeltà e, nello stesso tempo, negandosi l’intima soddisfazione di svelarsi, almeno un poco, al mondo.

      Per il vice questore Pumpo, diversamente, il silenzio del Mostro avvalorava l’idea del gruppuscolo demoniaco assassino per ragioni rituali e che aveva pieno interesse, come tutte le comunità sataniche, a restarsene in ombra.

      Per il commissario Sordi, l’ipotesi d’un uccisore collettivo era contemplabile, perché il fatto d’essere più d’uno avrebbe favorito l’esecuzione degli omicidi, ma non doveva trattarsi obbligatoriamente di molte persone e non necessariamente d’un ambiente demoniaco; secondo lui avrebbe potuto trattarsi, diversamente, d’uno dei casi profani che i criminologi chiamavano di magister-alumnus, vale a dire d’una coppia di serial killer composta da una persona ideatrice degli omicidi e delle loro modalità di messa in opera e da un allievo apprendista ed esecutore o coesecutore.

      Vittorio al momento considerava importanti tutte le congetture e, non privilegiandone nessuna, se ne restava in attesa di più rilevanti dati.

      Due giorni dopo l’omicidio di Mosca Stalina Scrofagnocca, verso le 20 l’amico e io eravamo a cena assieme, come quasi tutte le settimane nel corso della nostra ormai lunga frequentazione. Si mangiava sempre nello stesso locale, un ristorante di corso Palestro non lontano dai nostri appartamenti.

      Vittorio, scavalcati gli antipasti “ammazza appetito” com’egli li definiva d’accordo con me e terminato il primo piatto, ch’era quasi un fisso per lui napoletano, spaghetti ai frutti di scoglio, era venuto sul discorso del Mostro dell’Orecchio: “Evaristo mi ha detto che, a quanto sembra, nessuna vittima aveva mai lamentato, con parenti o amici, e men che mai aveva denunciato d’aver avuto minacce, in genere o, pensando alle due morte ficcate in passato nella sinistra estrema, minacce politiche in particolare. Considerando poi che le quattro uccise in casa propria, o almeno così parrebbe, avevano lasciato entrare l’omicida: potrebbe pensarsi ch’esse fossero state in preventivi rapporti con l’assassino o gli assassini”.

      â€œGuarda che, Vittorio, per la prima vittima il Mostro si sarebbe introdotto dal giardino attraverso una finestra”.

      â€œLo so che c’è codesta ipotesi, ma essa non può farci escludere affatto che l’omicida sia stato invece ammesso in casa dalla vittima. È certo soltanto che nessuna porta d’ingresso è risultata forzata in alcun caso”.

      â€œIl Mostro potrebbe aver avuto le chiavi delle abitazioni?” avevo suggerito.

      â€œDalle stesse vittime?”

      â€œMah, no, io penserei a copie false realizzate

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