Morrigan. Laura Merlin

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Morrigan - Laura Merlin

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dorate attorno alle pupille.

      Avrebbe potuto manovrare le mie azioni come un burattinaio. Infatti non mi accorsi neanche quando avvicinò il mio corpo al suo.

      Con una mano mi sorreggeva la schiena e con l’altra mi accarezzava i capelli.

      â€¹â€¹Tu appartieni a me, e a nessun altro››.

      Poi bisbigliò parole a me sconosciute e incomprensibili e le sue pupille si dilatarono. Il lampo rosso ricomparve e un brivido mi passò su per la schiena.

      Ero in pericolo, lo percepivo in ogni singola particella del mio corpo, ma non potevo muovermi né urlare.

      Ero sua!

      Ero stata rapita da quel serafino immortale e non avrei potuto fare nient’altro se non arrendermi al suo volere.

      Chinò la testa su di me e mi baciò.

      Non fu un bacio appassionato, bensì un flusso di potere dalle sue labbra alle mie.

      Il cuore non pulsava più solamente sangue, ma anche qualcosa di magico che faticai a riconoscere.

      Fu proprio in quel preciso istante che capii due cose.

      Ero sicura di essere Morrigan, la somma Dea della guerra e del cambiamento.

      Ed ero riuscita a dare un nome alla figura sfocata dei ricordi che mi erano venuti in mente pochi istanti prima.

      Sapevo chi mi voleva fare del male.

      Da quel momento in poi avrei studiato ogni sua mossa.

      6

      VECCHI RICORDI

Senzanome

      La mia stanza era enorme!

      Le pareti sembravano d’oro, tutte con delle decorazioni floreali molto semplici. Sul soffitto invece era dipinto un enorme cielo azzurro con delle soffici nuvole bianche e, perfettamente al centro, un elegante lampadario in oro ricadeva giù a forma di piramide a base rotonda in cui era inserita una quantità immensa di candeline.

      Ero troppo stanca per mettermi a contarle.

      La mia attenzione fu attirata da un enorme letto a baldacchino in legno d’acero con le tende bianche scostate.

      Sopra il copriletto ambrato trovai una vestaglia di seta rosa, ricamata attorno al seno. La indossai e andai verso l’enorme finestra che si trovava esattamente di fronte alla porta. Chiusi la pesante tenda e, con mia grande gioia, mi accorsi che non entrava nemmeno un singolo raggio di sole.

      Feci spegnere le candele e mi infilai sotto le lenzuola.

      Inizialmente non sognai nulla di particolare, poi mi ritrovai in una foresta in mezzo a dei pini enormi, talmente grandi che sembravano bucare il cielo. Ero seduta a terra, sopra un letto di aghi secchi e foglie morte.

      Faceva freddo e una sottile nebbiolina inumidiva tutto il corpo, entrando sotto la pelle e raggiungendo le ossa.

      Tremavo.

      Il cuore pulsava all’impazzata.

      Ero terrorizzata!

      Volevo piangere, urlare… volevo la mamma.

      Poteva essere un ricordo di quand’ero bambina?

      Un ricordo che ho voluto cancellare?

      Probabilmente sì.

      Avevo rivisto quella stessa scena poco prima, nella mia mente, mentre parlavamo con Ares.

      Coincidenza o fatalità che fosse risalita a galla proprio ora?

      A un certo punto, nel sogno, sentii dei passi leggeri.

      Foglie calpestate, rami spezzati.

      Qualcuno si stava avvicinando.

      Potevo sentire qualcuno respirare affannosamente, come se avesse fatto una gran corsa per arrivare fin lì.

      Lo sentii ridere. ‹‹Piccola Sofia, non avere paura. Le altre bambine non hanno mai urlato, non si sono accorte di nulla. Vuoi essere la meno coraggiosa?››.

      Quel qualcuno uscì dall’oscurità e si avvicinò a me.

      Era un’ombra, una sagoma di un uomo con delle ali oscure, talmente nere che sembravano confondersi con la notte.

      Mi misi a piangere più forte che potevo, dimenticandomi del tutto di quello che aveva detto delle altre bambine.

      Non mi importava essere la più coraggiosa, volevo solo che qualcuno mi portasse a casa.

      L’uomo si mise a farfugliare qualcosa in una lingua sconosciuta.

      Alla fine urlò: ‹‹Retan ni stequo pocor. Entra in questo corpo, Somma Dea››.

      Una luce verdognola sembrò bucare il cielo e aprirsi sempre di più.

      Il raggio verde creò un cerchio perfetto attorno a me, e quella che l’ingenuità di una bambina avrebbe potuto descrivere come la polvere magica di Trilli si alzò verso l’alto creando degli splendidi riflessi arcobaleno ogni volta che entravano in contatto con il fascio di luce.

      Allungai le piccole mani per toccarla e smisi di piangere.

      Mi sentivo tranquilla, come se fossi stata nel lettone con la mamma e non fuori, in una foresta buia.

      Il raggio verde a poco a poco svanì.

      L’angelo nero disse: ‹‹E ora che sei entrata nel suo corpo, Dea, ti ucciderò con le mie stesse mani››. Avanzò verso di me. ‹‹Giustizia sarà fatta››.

      Qualcosa rimandò il riflesso di un debole raggio di luce lunare e scattò in avanti, verso la mia testa.

      Doveva essere una spada o un pugnale. Lo capii dallo swissh che fece tagliando l’aria attorno a me.

      Mi svegliai di soprassalto, tutta imperlata di sudore.

      Staccai i capelli dalla fronte e dal collo, li tirai indietro e cercai qualcosa per raccoglierli.

      Era troppo buio e non era la mia stanza.

      La stanza che avevo quand’ero viva.

      Fui colpita da una sensazione di smarrimento e vuoto.

      Ero sola e sentii un groppo salirmi in gola.

      Deglutii due o tre volte per scioglierlo e cercai di scendere dall’enorme letto per aprire un po’ i tendoni. Incespicando e avanzando con le mani

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