Un Compito Di Valore . Морган Райс

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Un Compito Di Valore  - Морган Райс L’Anello Dello Stregone

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che le spie di Gareth erano ovunque e che lui era venuto quindi a conoscenza del complotto praticamente all’istante.

      Gareth era fuggito giusto in tempo, proprio prima che Kultin gli tendesse l’imboscata e che Andronico invadesse la Corte del Re radendola al suolo. Lord Kultin gli aveva fatto un favore.

      Gareth aveva preso l’antico passaggio segreto per uscire dal castello, fra curve e svolte sotterranee, uscendo in superficie in mezzo alla campagna, in un remoto villaggio a miglia di distanza dalla Corte del Re. Era arrivato vicino a quella grotta ed era collassato appena l’aveva raggiunta, dormendo un giorno intero, rannicchiato e infreddolito dall’implacabile aria invernale. Avrebbe voluto essersi portato più vestiti.

      Una volta sveglio, Gareth si era accucciato spiando, in distanza, il piccolo villaggio di agricoltori: c’erano una manciata di casupole, il fumo si levava dai camini, e ovunque c’erano soldati di Andronico che marciavano attraverso il villaggio e in mezzo alla campagna. Gareth aveva atteso pazientemente fino a che erano scomparsi. Lo stomaco gli faceva male per la fame e sapeva di aver bisogno di raggiungere una di quelle case. Sentiva l’odore del cibo che si stava cucinando anche da lì.

      Partì di corsa dalla grotta, guardando da tutte le parti mentre avanzava, respirando affannosamente, oppresso dalla paura. Erano anni che non correva e ora rantolava per lo sforzo: questo gli faceva capire quanto magro e malaticcio era diventato. La ferita alla testa, dove sua madre lo aveva colpito con il busto di marmo, pulsava. Se fosse sopravvissuto a tutto questo, giurò che l’avrebbe uccisa con le sue mani.

      Gareth corse nella città, sfuggendo fortunatamente gli sguardi dei pochi soldati dell’Impero che gli davano le spalle. Si diresse rapidamente verso la prima casa che vide, una semplice dimora con un’unica stanza, proprio come le altre: un caldo bagliore proveniva dall’interno. Vide una ragazza, forse della sua età, oltrepassare la porta aperta con un pezzo di carne, sorridendo, accompagnata da una bambina, probabilmente la sorellina di forse dieci anni. Decise che quello era il posto giusto.

      Gareth attraversò di scatto l’uscio insieme a loro, seguendole e sbattendo la porta alle loro spalle, afferrando la ragazzina più giovane da dietro e tenendole un braccio attorno alla gola. La bambina gridò e la sorella maggiore lasciò cadere il piatto di cibo mentre Gareth estraeva un pugnale e lo puntava alla gola del suo ostaggio.

      Lei gridò e si mise a piangere.

      “PAPÀ!”

      Gareth si voltò e si guardò attorno nell’accogliente casetta, illuminata da candele e inondata dal profumo di cibo e vide, accanto alla ragazza più grande, madre e padre in piedi vicino a un tavolo, fissi a guardarlo con gli occhi colmi di paura e rabbia.

      “State indietro e non la ucciderò!” gridò Gareth, disperato, allontanandosi da loro e tenendo sempre stretta la bambina.

      “Chi sei?” chiese la ragazza più grande. “Io mi chiamo Sarka. Mia sorella è Larka. Siamo una famiglia pacifica. Cosa vuoi da mia sorella? Lasciala stare!”

      “Io so chi sei,” disse il padre strizzando gli occhi e guardandolo con disapprovazione. “Eri il precedente re. Il figlio di MacGil.”

      “Sono ancora il re,” gridò Gareth. “E voi siete miei sudditi. E farete quello che dico!”

      L’uomo lo guardò con espressione accigliata.

      “Se sei il re, dov’è il tuo esercito?” gli chiese. “E se sei il re, che interesse hai a prendere in ostaggio una bambina piccola e innocente, usando un pugnale di corte? Magari lo stesso pugnale che hai usato per uccidere tuo padre?” disse l’uomo sogghignando. “Ho sentito cosa si racconta.”

      “Hai la lingua lunga,” disse Gareth. “Continua a parlare e ucciderò la tua figlioletta.”

      Il padre deglutì e gli occhi gli si allargarono per la paura. Poi tacque.

      “Cosa vuoi da noi?” chiese la madre piangendo.

      “Cibo,” disse Gareth. “E riparo. Avvisate i soldati della mia presenza e vi prometto che la ucciderò. Niente scherzi, chiaro? Lasciatemi stare e lei vivrà. Voglio trascorrere la notte qui. Tu, Sarka, portami un piatto di carne. E tu, donna, attizza il fuoco e dammi un mantello da buttarmi sulle spalle. Muovetevi lentamente!” li allertò.

      Gareth vide il padre fare un cenno di assenso alla donna. Sarka raccolse della carne mettendola sul piatto, mentre la madre si avvicinava con uno spesso mantello e glielo posava sulla spalle. Gareth, ancora tremante, arretrò lentamente verso il fuoco lasciando che il fuoco scoppiettante gli scaldasse la schiena, e si sedette sul pavimento, tenendo con sicurezza Larka, che stava ancora piangendo. Sarka si avvicinò con il piatto.

      “Mettilo sul pavimento vicino a me!” le ordinò Gareth. “Lentamente!”

      Accigliata, Sarka ubbidì, guardando la sorellina con preoccupazione e sbattendo il piatto a terra.

      Gareth fu sopraffatto dal profumo del cibo. Allungò la mano libera e afferrò un pezzo di carne, sempre tenendo il pugnale puntato contro la gola di Larka. Masticò ripetutamente, chiudendo gli occhi e gustandosi ogni singolo boccone. Masticava e deglutiva con foga e il cibo quasi gli usciva dalla bocca.

      “Vino!” gridò.

      La madre gli portò un otre di vino e Gareth se lo spremette nella bocca piena, svuotandolo completamente. Fece un respiro profondo, masticò e bevve ancora e iniziò a sentirsi finalmente di nuovo in forma.

      “Ora lasciala andare!” disse il padre.

      “Non se ne parla,” rispose Gareth. “Dormirò qui questa notte, così, con lei tra le braccia. Sarà al sicuro, fino a che lo sarò io. Vuoi essere un eroe? O vuoi avere la tua bambina sana e salva?”

      I membri della famiglia si guardarono tra loro, senza parole, esitanti.

      “Posso farti una domanda?” gli chiese Sarka. “Se sei un re tanto bravo, perché mai tratti i tuoi sudditi in questo modo?”

      Gareth la guardò, confuso, poi buttò la testa indietro e rise fragorosamente.

      “Chi ha mai detto che sono un bravo re?”

      CAPITOLO CINQUE

      Gwendolyn aprì gli occhi sentendo il mondo che si muoveva attorno a lei e si sforzò di capire dove si trovava. Vide passarle vicino le enormi arcate dei cancelli di Silesia, vide le migliaia di soldati dell’Impero che la guardavano con meraviglia. Vide Steffen che le camminava accanto e vide il cielo che sobbalzava su e giù. Si rese conto che qualcuno la stava trasportando. Che si trovava tra le braccia di qualcuno.

      Piegò il collo e vide gli scintillanti e intensi occhi di Argon. Capì quindi che era lui a portarla, Steffen era al suo fianco e tutti e tre attraversavano in tutta calma i cancelli di Silesia, passando tra migliaia di soldati dell’Impero che si facevano da parte per lasciar loro libero il passaggio e li fissavano immobili. Erano circondati da un bagliore bianco e Gwendolyn si sentiva immersa in una sorta di scudo protettivo di energia tra le braccia di Argon. Si rese conto che lo stregone stava scagliando un qualche genere di incantesimo per tenere a bada i soldati.

      Si sentiva confortata e protetta. Tutti i muscoli del corpo le facevano male, era esausta e non sapeva se sarebbe stata in grado di camminare. A tratti chiudeva gli occhi mentre avanzavano, quindi vedeva il mondo che le passava accanto in piccoli ritagli. Vide un pezzo di muro abbattuto, un parapetto collassato, una casa bruciata, una catasta di macerie. Attraversarono il cortile, raggiunsero i cancelli dalla

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