Attacco Agli Dei. Stephen Goldin

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Attacco Agli Dei - Stephen Goldin

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lista delle alternative. Sarebbe stato un suo diritto – come capitano di questa nave – aprire immediatamente il fuoco sull’intruso, ma questa linea d’azione sarebbe stata insensata nelle attuali circostanze. I proiettili della sua pistola laser potevano danneggiare parte della merce che era impilata e stipata tutto intorno a lei, e comunque, i nativi non sembravano essere pesantemente armati, dato che il livello della loro tecnologia non andava molto più in là del coltello e della lancia.

      Le attraversò la mente il pensiero che questo potesse non essere un nativo ordinario, e che la sua apparizione qui potesse avere dei collegamenti con gli eventi della sera precedente. Forse era una spia degli dei, venuta a verificarli personalmente. Ma lei aveva appena ipotizzato che gli dei fossero esseri con una competenza tecnica molto alta; mandare un nativo a spiarli per conto loro non sarebbe stato per niente in linea con la loro indole. Dev escludeva quella possibilità al momento, sebbene tenesse la pistola in mano. Era la sua politica personale, quando trattava con altri esseri pensanti, quella di usare la coercizione fisica solo come ultima spiaggia.

      “Dunnis,” chiamò a bassa voce il tecnico che stava ancora in piedi nel corridoio sopra di lei, guardando preoccupato giù nella stiva. “Sveglia Larramac e Bakori. Dì loro che abbiamo un clandestino nella stiva e falli scendere qui. Potrei avere bisogno del loro aiuto.”

      L’omone esitava a lasciarla. “Sei sicura che starai bene da sola? Una donna sola con un intruso sconosciuto—”

      Avere pazienza con i benintenzionati, si disse severamente. Spesso non riescono a farne a meno. “Vai adesso. È un ordine.”

      Dunnis andò.

      Dev tornò a rivolgere la sua piena attenzione al nativo. Non si era mosso dalla sua posizione iniziale dietro una pila di casse. Dato che doveva essersi accorto che lei si era calata nella stiva con lui, probabilmente non era sicuro che lei lo avesse visto e non voleva tradirsi con ulteriori movimenti. Inoltre, avrebbe usato il silenzio per ascoltare qualsiasi suono da parte di Dev che indicasse che si muoveva nella sua direzione.

      Tenendo pronta la pistola, Dev accese le cuffie di traduzione che stava ancora indossando. “Chiunque tu sia, so che sei qui,” disse con un tono calmo e tranquillo. “Mi chiamo Ardeva Korrell, e sono il capitano di questa nave. Come ti chiami?”

      L’altro continuava a non muoversi. Forse pensava che lei stesse bleffando, o forse era troppo spaventato. Doveva placare qualsiasi paura che potesse avere.

      “Non sono assolutamente ostile,” continuò lei. “Voglio solo sapere perché hai scelto di nasconderti a bordo della mia nave. So esattamente dove sei, ma ti prometto di non avvicinarmi fino a che parliamo. Se non vuoi fare del male né a me, né al mio equipaggio, né alla mia nave, ti garantisco che non succederà niente di male nemmeno a te.”

      La zazzera di pelliccia che aveva originariamente adocchiato, sparì dalla sua vista mentre il nativo si accovacciava ancora più in basso dietro alle scatole.

      “Ti prego, non cercare di nasconderti; non ti farà bene. Questa è una piccola nave, e ci sono solo pochi posti dove puoi nasconderti prima che ti troviamo. Mi rendo conto che questo è uno strano posto, spaventoso per te, e io sono una creatura sconosciuta e odiosa venuta dalle stelle. Però ho trattato in modo corretto e giusto con la tua gente per i due giorni che sono stata qui nel tuo villaggio. Tutto quello che chiedo è sapere perché sei venuto.”

      La voce di Dev echeggiava in tutta la grande stiva, ma il silenzio ritornò mentre le tracce delle sue ultime parole svanirono. Guardò lo stanzone da un punto di vista tattico, chiedendosi esattamente cosa fare se si rivelasse necessaria un’azione. La stiva non era riscaldata; le fredde pareti di metallo sembravano riflettere il freddo clima umido esterno e causarono un brivido che la fece tremare anche se il tessuto della sua divisa spaziale teneva il suo corpo alla temperatura giusta.

      Scatole e casse di varie dimensioni erano impilate strettamente insieme per la necessità di sistemare un grande numero in un piccolo spazio; le corsie fra le pile di contenitori erano necessariamente strette, e non favorivano una caccia frenetica. Sperava che non sarebbe stato necessario.

      Il nativo continuava a non muoversi e a non mostrarsi. Pensa, si disse lei. Cerca di ragionare in base alla psicologia di questa gente. Sai abbastanza di loro per indovinare in modo ragionato. “La mia pazienza è grande, ma non infinita,” disse finalmente. “Sto iniziando ad essere un po’ stanca di fare un monologo. Se non mi rispondi alla svelta, dovrò agire in modo molto più diretto.”

      Poi ebbe un’ispirazione. “E dopo che ti avremo preso, ti butteremo fuori dalla nave alla mercé degli dei.”

      Quest’ultima minaccia colpì nel segno. Lei udì un suono che il computer non riuscì a tradurre; sembrava più un piagnucolio involontario che non un discorso. Ma almeno era una reazione. Dev era sulla strada giusta.

      “Non voglio farlo,” continuò. “Non obbligarmi a farlo. Parlami, adesso.”

      Una voce bassa ed esitante ringhiò da dietro le scatole. “Mi … mi prometti che non mi manderai fuori?” tradussero le cuffie.

      “Non posso promettere niente, non fino a che non saprò perché sei qui e che intenzioni hai. Raccontami la tua storia e lasciami decidere da sola.”

      “Non posso dirtela. Gli dei mi ucciderebbero.”

      Un fuggitivo. Più che essere una spia per conto degli dei, questo nativo stava scappando da loro. Non sembrava ostile o belligerante, però. Dev indovinò che il suo crimine fosse più di natura eretica che altro.

      “Qui sei al sicuro. Gli dei non possono sentirti mentre sei dentro alla nave.” Prese abbastanza coraggio da muovere un passo verso il nativo, e lui non si allontanò. “Dimmi perché sei qui e vedrò cosa posso fare per aiutarti.”

      Il nativo si alzò lentamente e la guardò. L’espressione sulla sua faccia ursina era impossibile da decifrare, ma Dev si concesse di immaginare che fosse dispiaciuta e supplicante.

      Proprio in quel momento una voce tuonò dall’alto del portello sopra di lei. “Non ti preoccupare, Dev, stiamo arrivando. Lo prenderemo per te.” Ci fu un leggero sferragliamento ed un pesante tonfo mentre l’alta figura di Roscil Larramac piombò al suolo di fianco a lei. “Dov’è?” chiese. Le sue parole rimbombavano forte in tutta la stiva.

      Il nativo, che aveva iniziato a fidarsi dei toni calmi e ragionevoli di Dev, andò nel panico. Girandosi come meglio poteva nello stretto passaggio fra le due corsie di scatole, il clandestino corse nella direzione opposta, verso la parete più lontana della stiva. Dev presunse che il clandestino si fosse sentito tradito.

      Dev si girò verso il suo datore di lavoro, senza neanche cercare di trattenersi. “Dannazione, perché l’hai dovuto fare? Era quasi pronto ad arrendersi. Ho sputato sangue per cercare di ragionare con lui, e stava iniziando a fidarsi di me, quando ti sei fiondato giù dal soffitto come un intero branco di quadrupedi in calore. Adesso è di nuovo terrorizzato, doppiamente terrorizzato, e dovremo darci da fare tutti quanto per tirarlo fuori di qui.”

      Larramac rimase inchiodato al suolo. Come uomo d’affari, aveva al suo attivo anni di esperienza nelle trattative di argomentazione. La sua tecnica di trattativa in caso di confronto era quella di urlare di rimando. “Pensavo di essere in procinto di salvarti. Pensavo che fossi nei casini. Avrei dovuto sapere che una Eoana sarebbe stata troppo orgogliosa per ammettere di avere bisogno di aiuto.”

      Quell’esplosione di rabbia aveva liberato la frustrazione dal corpo di Dev. Si sentiva colpevole per la manifestazione, ma solo un pochino.

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