Il Dono Della Battaglia . Морган Райс

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Il Dono Della Battaglia  - Морган Райс L’Anello Dello Stregone

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mi sorprende che si sia avventurato troppo a fondo, che sia stato il primo in pattuglia ad essere stato preso. Non si tira indietro davanti a niente, soprattutto se si tratta di sorvegliare gli altri.”

      Ludvig si intromise.

      “Se chiunque di noi fosse stato preso,” disse, “il nostro fratellino sarebbe stato il primo ad offrirsi volontario. È il più giovane tra noi, e rappresenta ciò che di meglio c’è in noi.”

      Kendrick aveva dato per scontato tutto ciò da quello che aveva visto parlando con Kaden. Aveva riconosciuto in lui lo spirito del guerriero, anche nella sua giovane età. Kendrick sapeva, come sempre, che l’età non aveva nulla a che vedere con l’essere guerriero: lo spirito guerriero risiedeva in una persona, oppure no. Lo spirito non poteva mentire.

      Continuarono a marciare a lungo, tornando nel loro costante silenzio mentre i soli salivano più in alto, fino a che Brandt si schiarì la gola.

      “E cosa mi dici di questi Camminasabbia?” chiese a Koldo.

      Koldo si voltò verso di lui mentre marciavano.

      “Un feroce gruppo di nomadi,” rispose. “Più bestie che umani. Sono conosciuti per stare a guardia della periferia del Muro di Sabbia.”

      “Spazzini,” si intromise Ludvig. “Sono famigerati per trascinare le loro vittime nel mezzo del deserto.”

      “Dove?” chiese Atme.

      Koldo e Ludvig si scambiarono uno sguardo misterioso.

      “Dove si riuniscono, dove svolgono un rituale e fanno a pezzi le loro prede.”

      Kendrick rabbrividì pensando a Kaden e al destino che lo aspettava.

      “Quindi c’è poco tempo da perdere,” disse Kendrick. “Corriamo, che dite?”

      Tutti si guardarono, conoscendo la vastità di quel luogo e capendo che avevano dinnanzi una lunga corsa, soprattutto dato il crescente calore e con le loro armature addosso. Sapevano tutti quanto rischioso sarebbe stato non misurarsi in quell’ambiente che non perdonava nessuno.

      Ma non esitarono: tutti insieme si misero a correre. Correvano nel nulla, con il sudore che presto iniziò a scorrere lungo i loro volti, sapendo che se non avessero presto trovato Kaden il deserto li avrebbe uccisi tutti.

      *

      Kendrick ansimava mentre correva, il secondo sole ora alto sopra la sua testa, la sua luce accecante, il suo calore soffocante. Eppure lui e gli altri continuavano a correre, tutti ansimando, con le placche delle armature che sbattevano tra loro. Il sudore colava dal volto di Kendrick e gli bruciava negli occhi tanto da impedirgli di vedere. Mentre i polmoni quasi gli scoppiavano, non aveva mai saputo di poter desiderare così tanto dell’ossigeno. Kendrick non aveva mai provato niente di simile al calore di quei due soli, così intenso, come se stesse per bruciargli la pelle scorticandola dal corpo.

      Non sarebbero andati tanto lontano con quel caldo, a quel passo: Kendrick lo sapeva. Presto sarebbero tutti morti lì, collassati, diventati nient’altro che cibo per gli insetti. Invece, mentre correvano, Kendrick udì uno stridio lontano e sollevando lo sguardo vide degli avvoltoi che volavano in cerchio, come facevano ormai da ore, abbassandosi sempre più. Erano sempre i più furbi: sapevano quando era imminente una morte fresca fresca.

      Mentre Kendrick fissava le impronte dei Camminasabbia che ancora si allungavano all’orizzonte, non si capacitava di come avesse potuto coprire così tanta strada così rapidamente. Pregava solo che Kaden fosse ancora vivo e che non stessero facendo tutto questo per niente. Ma nonostante tutto non poteva fare a meno di chiedersi se mai l’avrebbero davvero raggiunto. Era come seguire delle impronte in un oceano che si stava ritirando.

      Kendrick si guardò attorno e vide gli altri pure chini, tutti impegnati ad arrancare più che a correre, capaci appena di reggersi in piedi ma determinati come lui a non fermarsi. Kendrick sapeva – lo sapevano tutti – che non appena avessero smesso di muoversi sarebbero morti.

      Kendrick voleva interrompere la monotonia del silenzio, ma era troppo stanco per parlare agli altri adesso e sforzò le gambe di andare avanti, sentendole pesanti tonnellate. Non osò neppure usare la sua energia per sollevare lo sguardo e scrutare l’orizzonte, sapendo che non avrebbe visto nulla, sapendo che dopotutto era destinato a morire lì. Continuò invece a guardare a terra, a seguire le tracce, conservando qualsiasi minima energia gli fosse rimasta.

      Udì un rumore e inizialmente pensò fosse stato prodotto dalla sua immaginazione. Ma il rumore si ripeté: era un suono lontano, come un ronzio di api e questa volta si sforzò di sollevare lo sguardo, pur sapendo che era una cosa stupida, che non poteva esserci nulla e temendo di provare della speranza per niente.

      Ma questa volta la vista davanti ai suoi occhi gli fece balzare il cuore per l’emozione. Lì, di fronte a loro, a forse cento metri di distanza, si trovava un gruppo di Camminasabbia.

      Kendrick diede un colpo agli altri e anche loro sollevarono lo sguardo, risvegliati dai loro pensieri rimanendo tutti scioccati. La battaglia era arrivata.

      Kendrick afferrò la sua arma e così fecero anche gli altri, sentendo la familiare ondata di adrenalina.

      I Camminasabbia, decine di quelle creature, si voltarono e li scorsero. Anch’essi si prepararono ad affrontarli. Gridarono e scattarono iniziando a correre.

      Kendrick sollevò in alto la spada e lanciò un forte grido di battaglia, pronto almeno ad uccidere quegli avversari o a morire provandoci.

      CAPITOLO QUATTRO

      Gwendolyn camminava solennemente nel mezzo della capitale del Crinale, Krohn al suo fianco e Steffen dietro di lei. Nella mente le vorticavano mille pensieri mentre considerava le parole di Argon. Da una parte era felice che si fosse ripreso, che fosse tornato in sé, ma la sua fatidica profezia le risuonava nella testa come una maledizione, come una campana che suonava annunciando la sua morte. Dalle sue affermazioni criptiche e tragiche sembrava che non sarebbe mai più stata insieme a Thor.

      Gwen cacciò indietro le lacrime camminando rapidamente, con intenzione, diretta verso la torre. Cercò di bloccare quelle parole, rifiutandosi di permettere che le profezie conducessero la sua vita. Era sempre stata così ed era così che aveva bisogno di restare: forte. Il futuro poteva anche essere scritto, eppure sentiva che poteva essere cambiato. Sentiva che il destino era malleabile. Uno doveva solo volerlo tremendamente, non doveva cedere, a qualsiasi costo.

      Questo era uno di quei momenti. Gwen si rifiutava assolutamente di permettere che Thorgrin e Guwayne scivolassero via da lei e sentiva nascere dentro di sé un crescente senso di determinazione. Avrebbe sfidato il suo destino, non importava cosa le sarebbe costato, avrebbe sacrificato qualsiasi cosa l’universo le avesse chiesto. Sotto nessuna circostanza avrebbe attraversato la vita senza più rivedere Thor e Guwayne.

      Come se avesse sentito i suoi pensieri, Krohn piagnucolò vicino alla sua gamba, strofinandovisi contro mentre lei percorreva le strade. Risvegliata dai suoi pensieri Gwen sollevò lo sguardo e vide la torre che incombeva davanti a lei, rossa e a pianta circolare: si ergeva nel centro della capitale. Ricordò. Il culto. Aveva giurato al re che sarebbe entrata nella torre e avrebbe tentato di salvare suo figlio e sua figlia dalle grinfie di quel culto, avrebbe discusso con il capo sui libri antichi, sul segreto che loro nascondevano e che poteva salvare il Crinale dalla distruzione.

      Il

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