Il Dono Della Battaglia . Морган Райс

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Il Dono Della Battaglia  - Морган Райс L’Anello Dello Stregone

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Thor e Guwayne prima che fosse troppo tardi per loro. Se solo avesse avuto un drago al suo fianco come un tempo. Se solo Ralibar potesse tornare da lei e portarla dall’altra parte del mondo, lontano da lì, lontano dai problemi dell’Impero e di nuovo insieme a Thorgrin e Guwayne. Se solo avessero tutti potuto fare ritorno nell’Anello e vivere la loro vita di un tempo.

      Ma sapeva che erano sogni infantili. L’Anello era stato distrutto e il Crinale era tutto ciò che le era rimasto. Doveva affrontare la vera realtà dei fatti e fare ciò che era in suo potere per aiutare a salvare quel luogo.

      “Mia signora, posso accompagnarti all’interno della torre?”

      Gwen si voltò udendo quella voce, risvegliata di colpo dai suoi pensieri, e fu sollevata di vedere il vecchio amico Steffen al suo fianco, mano alla spada, protettivo vicino a lei, felice come sempre di sorvegliarla. Era il consigliere più leale che aveva, lo sapeva, e rifletté su quanto tempo fosse passato da quando era al suo fianco, provando un’ondata di gratitudine.

      Fermandosi dinnanzi al ponte levatoio che si trovava davanti a loro e che portava alla torre, Steffen lo guardò con espressione sospettosa.

      “Non mi fido di questo posto,” disse.

      Lei gli pose una mano rassicurante sul polso.

      “Sei un amico sincero e leale, Steffen,” rispose. “Ritengo di valore la tua amicizia e la tua lealtà, ma questo è un passo che devo fare da sola. Devo trovare ciò che posso e la tua presenza con me li metterebbe in guardia. Inoltre,” aggiunse mentre Krohn piagnucolava, “avrò Krohn.”

      Gwen abbassò lo sguardo e vide Krohn che la guardava pieno di aspettativa.

      Steffen annuì.

      “Ti aspetterò qui,” le disse, “e se ci fosse qualsiasi problema all’interno, accorrerò subito.”

      “Se non trovo quello che mi serve all’interno di quella torre,” rispose, “temo che sopraggiungeranno problemi molto più grossi per noi tutti.”

      *

      Gwen attraversò lentamente il ponte levatoio con Krohn al suo fianco, i suoi passi che riecheggiavano sul legno e le acque che sciabordavano dolcemente sotto di lei. Lungo tutto il ponte si trovavano dei monaci, perfettamente sull’attenti, in silenzio, con addosso tuniche rosse che coprivano anche le mani, gli occhi chiusi. Erano delle guardie piuttosto strane, prive di armi, incredibilmente obbedienti, in piedi lì da chissà quanto tempo. Gwen si meravigliò della loro intensa lealtà e devozione per il loro capo e si rese conto che era proprio come il re aveva detto: lo riverivano tutti come un dio. Si chiese in cosa si stesse invischiando.

      Mentre si avvicinava sollevò lo sguardo sul grande portone ad arco che si trovava davanti a lei, fatto di antica quercia e ricoperto di simboli che non capiva. Guardò con meraviglia mentre numerosi monaci si facevano avanti e lo aprivano. I cardini cigolarono e fecero luce su un buio antro illuminato solo da torce. Una fresca ventata la accolse, con un lieve odore di incenso. Krohn si irrigidì dietro di lei, ringhiando, e Gwen entrò udendo le porte chiudersi di schianto alle sue spalle.

      Il suono riecheggiò all’interno e le ci volle un momento per orientarsi. Era buio là dentro, le pareti erano illuminate solo da torce e dalla luce del sole che filtrava da alcune vetrate colorate in alto. L’aria sembrava sacra, silenziosa, e Gwen ebbe la sensazione di essere entrata in una chiesa.

      Sollevò lo sguardo e vide la torre che si alzava disegnando una spirale con rampe circolari che gradualmente conducevano ai diversi piani. Non c’erano finestre e le pareti riecheggiavano con il flebile suono di un canto. L’odore di incenso era pesante lì e i monaci apparivano e scomparivano, camminando come in trance, entrando e uscendo dalle stanze. Alcuni disperdevano incenso ed altri cantavano, mentre altri ancora stavano in silenzio, persi nella riflessione. Gwen iniziò a porsi molte domande sulla natura di quel culto.

      “Ti ha mandata mio padre?” riecheggiò una voce.

      Gwen, sorpresa, si voltò e vide un uomo in piedi a pochi metri da lei. Indossava una lunga tunica scarlatta e le sorrideva con atteggiamento benevolo. Non poteva credere a quanto assomigliasse a suo padre, il re.

      “Sapevo che avrebbe mandato qualcuno prima o poi,” disse Kristof. “I suoi sforzi per riportarmi dalla sua parte sono infiniti. Prego, vieni avanti,” le fece cenno con una mano, quindi si voltò e fece strada.

      Gwen lo seguì mentre percorrevano un corridoio di pietra dal soffitto arcuato che portava gradualmente lungo le rampe che salivano circolarmente ai livelli superiori della torre. Gwen si trovò presa alla sprovvista: si era aspettata un monaco folle, un fanatico religioso, e fu invece sorpresa di trovare una persona affabile e buona, chiaramente in sé con la testa. Kristof non sembrava il folle e perduto di cui suo padre le aveva fornito una descrizione.

      “Tuo padre chiede di te,” disse infine Gwen rompendo il silenzio dopo che ebbero passato un monaco che stava scendendo la rampa avanzando nella direzione opposta senza mai sollevare gli occhi da terra. “Vuole che ti porti a casa.”

      Kristof scosse la testa.

      “È questa la cosa di mio padre,” disse. “Pensa di aver trovato l’unica vera casa al mondo. Ma io ho imparato qualcosa.” Aggiunse guardandola. “Ci sono molte vere case in questo mondo.”

      Sospirò mentre continuavano a camminare. Gwen decise di lasciargli spazio, di non insistere troppo.

      “Mio padre non accetterebbe mai ciò che sono,” aggiunse alla fine. “Non imparerà mai. Rimane incastrato nelle sue credenze vecchie e limitate e vuole imporle anche a me. Ma io non sono lui e lui questo non lo accetterà mai.”

      “Non ti manca la tua famiglia?” chiese Gwen, sorpresa che volesse dedicare la propria vita a quella torre.

      “Sì,” rispose con franchezza, sorprendendola. “Molto. La mia famiglia significa ogni cosa per me, ma la mia chiamata spirituale ha più importanza. La mia casa è qui adesso,” disse svoltando in un corridoio mentre Gwen lo seguiva. “Servo Eldof adesso. Lui è il mio sole. E lo conoscessi,” disse voltandosi verso di lei e fissandola con un’intensità che la spaventò, “sarebbe anche il tuo.”

      Gwen distolse lo sguardo non apprezzando il fanatismo che scorse nei suoi occhi.

      “Io non servo nessun altro che me stessa,” rispose.

      Lui le sorrise.

      “Magari questa è proprio la fonte di tutte le tue preoccupazioni terrene,” le rispose. “Nessuno può vivere in un mondo dove non si stia a servizio di qualcun altro. Proprio ora tu stessa stai servendo qualcun altro.”

      Gwen lo guardò con espressione sospettosa.

      “Come sarebbe?” gli chiese.

      “Anche se pensi di servire te stessa,” le rispose, “sei tratta in inganno. La persona che stai servendo non sei tu, ma piuttosto la persona che i tuoi genitori hanno plasmato. Sono i tuoi genitori che servi, insieme a tutte le loro antiche credenze, passate loro a sua volta dai loro genitori. Quando sarai abbastanza coraggiosa da cacciare le loro credenze e servire te stessa?”

      Gwen si accigliò, non accettando la sua filosofia.

      “E accettare invece le credenze di chi?” gli chiese. “Di Eldof?”

      Lui

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