Giostra Di Cavalieri . Морган Райс
Чтение книги онлайн.
Читать онлайн книгу Giostra Di Cavalieri - Морган Райс страница 8
“ORA!” gridò a Strom proprio mentre lui, l’ultimo della flotta, entrava nella strettoia.
Strom, guardando e aspettando, sollevò la spada e tagliò a metà le funi che tenevano la sua nave ancorata a quella di Erec. Nello stesso istante saltò sull’altra imbarcazione, al fianco del fratello. Tagliò le corde proprio mentre la nave abbandonata entrava nella strozzatura del fiume e si arenava senza più alcuna guida.
“FATELA GIRARE DI FIANCO!” ordinò Erec ai suoi uomini.
Tutti afferrarono le funi che restavano da una parte della nave e tirarono con tutte le loro forze fino a che la nave, scricchiolando, si girò lentamente di lato contro corrente. Alla fine, trasportata dall’acqua, si incastrò con decisione tra le rocce, fissata tra le due sponde del fiume mentre il legno scricchiolava e iniziava a spezzarsi.
“TIRATE PIÙ FORTE!” gridò Erec.
Gli uomini continuarono a tirare ed Erec accorse ad aiutarli. Tutti sbuffavano mentre tiravano con tutta la loro forza. Lentamente riuscirono a far girare la barca tenendola stretta mentre si incastonava sempre più a fondo tra gli scogli.
Quando la nave smise di muoversi, ben incastrata, Erec fu finalmente soddisfatto.
“TAGLIATE LE FUNI!” gridò sapendo che doveva essere ora o mai più e sentendo che la sua stessa nave iniziava ad arrancare.
Gli uomini di Erec tagliarono le funi restanti sbrogliando la nave al momento giusto.
L’imbarcazione abbandonata iniziò a collassare rompendosi e il relitto bloccò completamente il fiume. Un attimo dopo il cielo si fece nero mentre una raffica di frecce infuocate dell’Impero scendeva verso la flotta di Erec.
Erec aveva guidato i suoi uomini fuori tiro giusto in tempo: le frecce atterrarono tutte sulla nave abbandonata cadendo qualche metro prima della flotta di Erec. Non fecero che incendiare il relitto creando un ulteriore ostacolo tra loro e l’Impero: ora il fiume era diventato impossibile da attraversare.
“Avanti a piene vele!” gridò Erec.
La sua flotta continuò a navigare a tutta velocità, prendendo il vento e allontanandosi dalla loro barricata. Proseguivano verso nord, ora salvi e fuori dalla portata delle frecce dell’Impero. Sopraggiunse un’altra raffica di frecce che questa volta atterrarono in acqua sibilando tutt’attorno alla nave mentre si immergevano.
Mentre continuavano a navigare Erec stava a prua e guardava con soddisfazione la flotta dell’Impero che si fermava davanti alla nave in fiamme. Una delle navi nemiche tentò temerariamente di andarvi a sbattere contro, ma i suoi sforzi non valsero che a ritrovarsi incendiata a sua volta. Centinaia di soldati dell’Impero gridarono, avvolti dalle fiamme, e saltarono fuori bordo mentre la loro nave infuocata creava una barriera ancora più insormontabile. Guardando la situazione Erec si figurò che l’Impero non sarebbe stato capace di passare oltre per diversi giorni.
Sentì una mano forte che gli stringeva la spalla e voltandosi vide Strom al suo fianco, sorridente.
“Una della tue strategie più ispirate,” disse.
Erec gli sorrise.
“Ben fatto,” rispose.
Erec si voltò e guardò il fiume davanti a sé, le acque che serpeggiavano in ogni direzione. Questo non gli diede conforto: avevano vinto quella battaglia, ma chissà quali altri ostacoli si trovavano innanzi?
CAPITOLO CINQUE
Volusia, con indosso i suoi paramenti dorati, si trovava in cima alla pedana e guardava i cento gradini d’oro che aveva fatto erigere come inno a se stessa. Allungò le braccia in fuori e si godette quel momento. A perdita d’occhio poteva vedere le strade della città gremite di gente, cittadini dell’Impero, i suoi soldati, tutti i suoi nuovi fedeli inchinati davanti a lei, con le teste che toccavano terra alla luce del primo sole. Cantavano tutti insieme, un suono leggero e continuo, partecipando al servizio mattutino che lei aveva creato come i suoi ministri e comandanti avevano loro insegnato: adorarla o affrontare la morte. Sapeva che ora la veneravano perché dovevano, ma molto presto lo avrebbero fatto perché ci avrebbero creduto.
“Volusia, Volusia, Volusia,” cantavano. “Dea del sole e dea delle stelle. Madre degli oceani e messaggera del sole.”
Volusia ammirava la sua nuova città. Erette ovunque si trovavano le statue d’oro che la rappresentavano come lei aveva ordinato di fare. In ogni angolo della capitale c’era una sua statua di oro splendente; ovunque si guardasse non si poteva che vederla e venerarla.
Finalmente era soddisfatta. Finalmente era la dea che sapeva sarebbe diventata.
Il canto riempiva l’aria come anche l’incenso che veniva bruciato su ogni altare. Uomini, donne e bambini riempivano le strade, spalla a spalla, inchinandosi, e lei sentiva di meritarselo. Era stato una marcia lunga e dura arrivare fino a lì, ma aveva fatto tutta la strada fino alla capitale, era riuscita a conquistarla, a distruggere gli eserciti dell’Impero che le si erano opposti. Ora finalmente la capitale era sua.
L’Impero era suo.
Ovviamente i suoi consiglieri la pensavano diversamente, ma a Volusia non interessava poi tanto cosa pensassero. Sapeva di essere invincibile, in qualche posto tra cielo e terra, e nessun potere di questo mondo poteva distruggerla. Non solo non si ritirava per la paura, ma piuttosto sapeva che questo era solo l’inizio. Voleva ancora più potere. Aveva in programma di visitare ogni Corno e Punta dell’Impero e distruggere tutti coloro che si fossero opposti a lei e che non avessero accettato il suo potere unilaterale. Avrebbe messo insieme un esercito sempre più grande fino a che ogni angolo dell’Impero fosse stato sottomesso a lei.
Pronta ad iniziare la giornata, Volusia scese lentamente dalla pedana, facendo un gradino dorato alla volta. Allungò le mani e mentre tutti le correvano incontro li toccò con i palmi. Erano una moltitudine di fedeli che la abbracciavano e lei era una dea tra loro. Alcuni, piangendo, si buttarono a terra mentre lei avanzava formando un ponte umano, felici che lei gli camminasse sopra.
Alla fine aveva ottenuto il suo gregge. Ora era il momento di andare in guerra.
*
Volusia si trovava in cima ai bastioni che circondavano la capitale dell’Impero e scrutava il cielo sul deserto con un crescente senso di fatalità. Non si vedevano altro che cadaveri decapitati, tutti gli uomini che aveva ucciso, e un nugolo di avvoltoi che volavano e scendevano a piluccare le loro carni. Fuori dalle mura c’era una leggera brezza e lei poteva sentire già il puzzo di carne rancida portato dal vento. Sorrise di fronte a quella carneficina. Quegli uomini avevano osato opporsi a lei e ne avevano pagato il prezzo.
“Non dovremmo bruciare i morti, mia dea?” chiese una voce.
Volusia si voltò e vide il comandante delle sue forze armate, Rory, un umano alto e robusto, con bei lineamenti e un aspetto decisamente gradevole. Lo aveva scelto, lo aveva elevato al di sopra degli altri generali, perché era un piacere per gli occhi, ma anche perché era un comandante brillante