Quattro Destini. Powell Michael

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Quattro Destini - Powell Michael

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era nato sull'isola. La sera precedente, aveva ritrovato il suo amico d'infanzia, Yiannis, che non vedeva da molti anni. Stava proprio pensando a quell'episodio quando risuonò l'allarme e si rese conto che l'isola era sotto attacco.

      Una forte esplosione fu seguita da un'enorme nuvola di fumo nero oleoso che si innalzò sopra la cresta davanti a lui, accompagnata dal rumore degli spari frenetici provenienti dalle navi nella baia. Comparve un grande aereo bimotore, che volava incredibilmente basso poco al di sopra del terreno che si innalzava, con un motore balbettante e del fumo che usciva da un'ala. Marco, unico tra I suoi compagni indolenti, cercò di puntare la sua arma verso l'aereo colpito mentre passava sopra di loro, sparando con la sua mitragliatrice e perdendo quota mentre si dirigeva con difficoltà verso la baia successiva.

      Capitolo 1

Lero 1912

      Il sole luccicava sul blu del mare Egeo mentre l'incrociatore italiano San Marco navigava lungo la costa orientale dell'isola di Calimno nel Dodecaneso, superando lo stretto passaggio tra di essa e l’isola di Lero, in una luminosa mattina del maggio 1912. Un giovane guardiamarina, Giuseppe Malpaiso, da poco assegnato a quella grande imbarcazione, guardava dal ponte mentre la nave superava due isolette ed entrava nell'ampia baia di Agia Marina. Sulla riva, vide un gruppo di case neoclassiche dall'aspetto ricco, che correvano lungo la costa e riempivano una valle poco profonda che percorreva l'isola. Al di sopra c'era una ripida collina dove una fila di torri rotonde, da ognuna delle quali partiva una serie di vele di tela, stava al di sotto di un maestoso castello veneziano.

      “Mio Dio, guardate lì!” disse Giuseppe, “che posto fantastico!”

      La nave da guerra entrò nella baia e si diresse verso gli edifici appena al di là dell'ingresso. Il capitano si rivolse a Giuseppe e ai suoi compagni.

      “Preparate le scialuppe. Ogni ufficiale sarà accompagnato da un gruppo di marinai. Non appena getteremo l'ancora voglio che le barche partano.”

      Uno degli ufficiali chiese, “Ci aspettiamo dei problemi?”

      “Sinceramente spero di no. Ci è stato detto che qui c'è solo una piccola unità amministrativa, ma possono esserci dei soldati. Stiamo occupando tutte le Sporadi del Sud e apparentemente non ci sono state grosse difficoltà se non a Rodi. I Turchi hanno abbandonato senza opporre resistenza. A meno che non incontriamo problemi, voglio che li trattiate come ospiti non benvenuti e li incoraggiate ad andarsene!”

      L'incrociatore gettò l'ancora nella baia. Giuseppe e i suoi compagni erano pronti e in attesa e quando le scialuppe furono messe in acqua vi salirono velocemente. I marinai afferrarono i remi e remarono rapidamente verso la banchina.

      Giuseppe, che non era mai stato in missione in precedenza, sentì stringersi lo stomaco per il nervosismo quando abbandonarono la sicurezza della nave. Anche se teoricamente era al comando del tender, sapeva che i marinai ai remi stavano in realtà prendendo gli ordini dall'esperto nostromo seduto al suo fianco. Quando si avvicinarono alla costa vide un piccolo gruppo di uomini assembrato sul molo. Gli uomini seduti sulla barca presero le armi nel caso di un possibile scontro a fuoco.

      “Tranquilli, ragazzi, state calmi. Non voglio nessun errore. Non sparate a meno che non ve lo ordini” Gramatika, il loro comandante, gridò da un'altra barca.

      Quando la barca di Giuseppe arrivò sulla banchina, la prima della piccola flotta a raggiungere terra, i marinai misero i remi nella barca e lui saltò giù di lato insieme a un agile marinaio che prese abilmente la cima da ormeggio. I soldati scesero disordinatamente, le armi in pugno quando un piccolo uomo dalla pelle scura, che indossava un vecchio e piuttosto malridotto costume turco uscì da un gruppetto con le braccia alzate. “Non vi creeremo problemi – sappiamo di essere in un numero inferiore” disse in inglese – una lingua che Giuseppe aveva studiato a scuola. “Per cortesia venite con me nella casa dell'Amministratore.”

      Le altre barche stavano attraccando e facendo sbarcare le guarnigioni di soldati che si stavano allineando sulla riva. C'erano solo cinque turchi, un gruppo raffazzonato, vestiti con vivaci ma rovinati costumi ottomani. Dietro di loro c'era un gruppo più numeroso di greci che stavano salutando i marinai italiani e stavano sventolando la bandiera nazionale greca. “Sembrano in uno stato pietoso,” disse uno dei soldati italiani. “Dove sono i loro soldati?”

      “Non sottovalutate i turchi,” disse il comandante vicino a lui, richiamando l'attenzione dei suoi uomini. “Possono sembrare in rovina ma sanno anche essere dei guerrieri molto fieri come abbiamo scoperto in Africa del Nord. Mostriamo loro come sono dei veri soldati.”

      Giuseppe fu orgoglioso dei suoi compatrioti quando si misero in riga con le loro armi moderne e si posero sull'attenti pronti a marciare – o a combattere. Il piccolo gruppo di turchi, però, si fece da parte per farli passare, e seguirono il primo uomo verso il piccolo ufficio sul molo.

      “Combattiamo contro di loro dall'anno scorso in Libia,” disse Giuseppe “Mi chiedo come diavolo siano riusciti a bloccarci.”

      “Sono stato uno dei primi a sbarcare a Tripoli” disse il soldato. “Non sembravano per nulla pronti a lottare e prendemmo subito il controllo. Proprio quando pensavamo che sarebbero caduti, arrivò un gruppo di arabi – la cavalleria. Dio, avevano dei cavalli meravigliosi! Ma sono anche estremamente sanguinari, glielo assicuro. Non fanno prigionieri e son sicuro che non vorrebbe vedere cosa fanno a chi cerca di arrendersi, “l’uomo tremò al ricordo. “Comunque, quasi ci batterono. Ci assediarono. Cominciammo con 20000 uomini ma ne rimasero solo circa 1000 quando riuscimmo a venirne fuori.

      “Per nostra fortuna, noi” disse indicando la San Marco, “la Marina, siamo troppo forti per loro. Non hanno nessuna nave moderna per combatterci.”

      Gramatika, accompagnato da un piccolo gruppo di soldati, seguì l'ufficiale turco all'interno dell'edificio per incontrare l'amministratore dell'isola. Dopo pochi minuti, uscì accompagnato da un turco dall'aria trasandata che parlò al suo piccolo triste gruppo. Il comandante italiano aspettò fino a quando ebbe finito. Poi si rivolse alla folla, le sue parole furono tradotte in greco da un interprete che era venuto a riva con loro dalla San Marco.

      “Rivendichiamo quest'isola in nome del governo italiano. L'amministrazione turca se ne andrà. Dovranno essere trattati con rispetto e dovranno ricevere tutta l'assistenza necessaria per la loro partenza. Istituiremo subito una nuova amministrazione e l'ordine sarà mantenuto.”

      I greci, sentendo questo, acclamarono gli italiani e fischiarono gli ottomani abbattuti mentre scendevano verso una barca che li stava aspettando per portarli verso la terraferma turca poco più a est.

      Gramatika ritornò nell'edificio e chiamò all'interno gli ufficiali. “C'è un sacco di lavoro da fare qui e voglio che rispettiate la gente del posto che stiamo liberando dagli Ottomani. Lasceremo qui un gruppo per prendersi in carico l'amministrazione e mantenere la pace. La nostra priorità, una volta che ci saremo assicurati che gli ottomani se ne siano andati, sarà quella di mantenere l'ordine. Nel frattempo, voglio che troviate degli alloggi per gli uomini.”

      Giuseppe tornò fuori con Gramatika e l'interprete. La sua piccola compagnia era ancora allineata e in attesa di ordini. L'interprete tornò alla nave per riferire al loro capitano. “Qualcuno qui parla greco?” chiese Gramatika ai suoi uomini. Nessuno si fece avanti.

      “Come troveremo degli alloggi se non siamo in grado di parlare alle persone?” chiese al suo amico.

      Proprio allora, un vecchio greco si fece avanti. “Mi scusi signore” disse in inglese.

      Giuseppe si girò, “sì?”

      “Lei parla inglese,” l'uomo sembrò sollevato. “Sono un insegnante. I miei amici vogliono sapere cosa sta

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