.

Чтение книги онлайн.

Читать онлайн книгу - страница 4

Автор:
Жанр:
Серия:
Издательство:
 -

Скачать книгу

stato meglio se fosse rimasto a Lero con il suo amico Gramatika.

****

      Dopo il termine della guerra italo-turca, Giuseppe si iscrisse all'Università per studiare ingegneria e passò la maggior parte degli anni della prima guerra mondiale a studiare a Pisa, vicino alla base navale di La Spezia. Non era più in Marina ma mantenne i contatti con alcuni dei suoi colleghi della San Marco.

      L'università di Pisa era nota per i suoi corsi di lingua. A causa della sua esperienza nel mar Egeo, Giuseppe aveva cominciato a interessarsi alla cultura greca e decise di frequentare anche un corso di greco, oltre ai suoi corsi principali Questo significava studiare il greco antico ma il suo tutor parlava greco e insistette affinché i suoi studenti imparassero a conversare nella versione moderna della lingua.

      Il suo alloggio nella parte più povera di Pisa, dava su una strada trafficata, e, mentre studiava, osservava le persone che andavano e venivano dalla fermata dell'autobus. Una ragazza in particolare lo colpì- I suoi capelli biondi e la sua figura slanciata la faceva spiccare rispetto alle comuni ragazze italiane dai capelli scuri. Ogni giorno la vedeva andare alla fermata, aspettare l'autobus e, di sera, cominciò ad aspettare che tornasse. Era alta e magra e camminava con una certa grazia.

      Una sera, quando la ragazza scese dall'autobus, Giuseppe vide un gruppo di giovani andare verso di lei. La finestra era aperta e sentì loro dirle “ciao, cara, come sta?” Lei li ignorò e continuò a camminare, ma loro le si misero davanti. Quando cercò di superarli, le bloccarono la strada e uno di loro le prese il braccio, “su ragazza, cosa c'è che non va?”

      Lei non rispose, cercando di liberarsi dalla stretta, ma il giovane non la lasciò andare. “Lasciatemi in pace.”

      “No, non faccia così. Vogliamo solo parlare, tutto qui” disse il suo tormentatore. Un altro giovane sogghignò.

      “Lasciatemi andare” disse lei cercando di sfuggire alla presa.

      “Ma se ci siamo appena conosciuti” disse lui spingendola contro un edificio. Gli altri la circondarono mentre lui cercava di baciarla. Lei ora stava lottando, cercando con tutte le sue forze di liberarsi del muro di giovani.

      Giuseppe non poteva permettere che questo succedesse. Uscì di corsa dal suo appartamento, scese le scale e arrivò in strada. “Ehi, lasciatela stare!” urlò.

      “Non rompere il cazzo” disse uno di loro. “Questa è la nostra ragazza, non è vero, cara?”

      La ragazza stava ancora lottando per liberarsi quando Giuseppe camminò verso di loro “lasciatela andare” disse.

      “Altrimenti, sgorbietto? Non rompere il cazzo.”

      Erano tutti girati dalla sua parte e la ragazza riuscì a liberarsi e a fuggire. Corse via, senza guardarsi indietro.

      “Guarda cosa hai fatto, piccola merda” disse uno di quelli che la stavano tenendo. “Non potevi pensare agli affari tuoi, eh? Perché vuoi difendere una puttana tedesca?” Spinse Giuseppe e lo colpì con forza sul petto. “Stavo solo scaldandola” disse. Giuseppe cercò di indietreggiare quando gli altri cominciarono a spingerlo. Uno dopo l'altro cominciarono a colpirlo, sempre più forte, obbligandolo contro il muro.

      “Smettetela” disse disperatamente.

      “O altrimenti? Cosa farai?”

      Colpì con forza Giuseppe sul mento e la sua testa andò a sbattere contro la parete alle sue spalle, lasciandolo sotto shock. Cercò di parare i colpi che seguirono, tendo alti i gomiti sui lati e i pugni davanti al suo volto per difendersi. Poteva vedere le persone venire verso di loro e, vedendo quello che stava succedendo, andare dall'altra parte della strada per evitare di essere coinvolti. Fu colpito con forza allo stomaco e si piegò, cadendo sulle ginocchia. Continuarono senza sosta a picchiarlo e calciarlo mentre era a terra. Finalmente uno di loro disse “andiamo, lasciamo perdere il piccolo bastardo” e, con un ultimo calcio, se ne andarono, ridendo, a cercare un'altra vittima.

      Giuseppe rimase lì. Il sangue gli scendeva dal naso ed era piegato per il dolore. Quando cercò di muoversi, tutto il suo corpo protestò. Riuscì a mettersi sulle ginocchia. Le persone girarono al largo, pensando fosse ubriaco o peggio.

      Tuttavia, una persona non andò dall'altra parte. “Sta bene?” disse una voce femminile. Si accucciò vicino a lui. “Riesce ad alzarsi? Ecco, lasci che la aiuti. Vive qui vicino?”

      Lui indicò la porta aperta del suo condominio. “OK, andiamoci. Su, la aiuterò.”

      Riuscì a farcela mentre lei lo aiutava a superare incespicando i gradini verso il suo appartamento, dove lei lo condusse attraverso la porta ancora aperta e lo aiutò a sedersi sul divano. Lui si distese e si lasciò andare. Il tocco di un panno freddo sulla sua fronte lo svegliò e si lamentò quando ritornò tutto il dolore. “Ssh” disse una voce. “Cerchi di stare fermo.”

      Non era in grado di aprire completamente gli occhi, la pelle attorno era gonfia dove i mascalzoni lo avevano colpito. Anche quando si sforzò di aprirli, trovò difficile vedere e le lacrime cominciarono a scorrere lungo le sue guance. Alla fine, vide un volto davanti a lui e dei capelli chiari sopra di esso. La sua bocca era ammaccata e le sue labbra tagliate perciò riuscì a malapena a biascicare “Cosa? Come?”

      “Mi dispiace, spero non la disturbi, l'ho aiutata a salire – ha lasciato la porta aperta. Ricorda?”

      Stava ritornando in sé e si rese conto che il volto apparteneva alla ragazza bionda. “É tornata?” riuscì a dire.

      “Mi sono nascosta dietro l'angolo fino a quando quei farabutti non se ne sono andati. Lo sa, è stato molto stupido affrontare quei tizi ma grazie comunque. Non so veramente come sarei stata in grado di fuggire da loro senza il suo aiuto. Spero non le dispiaccia che io sia entrata in questo modo.”

      Riconobbe il suo accento come straniero – poi si ricordò che il giovinastro aveva parlato di una “puttana tedesca”. “É tedesca?”

      Lei sembrò quasi vergognarsi. “Sì, è un problema?”

      “No, certo che no.”

      “Ma noi siamo ancora il nemico, no – gli Unni?” disse alzandosi e preparandosi ad andarsene.

      “No, per favore – no. Lei non è mia nemica. La guerra è comunque finita, per favore non se ne vada.”

      Lei si girò, raccogliendo il telo macchiato di sangue con cui gli aveva pulito il volto. Andò verso il piccolo lavello in cucina e lo risciacquò con l'acqua fredda. Lui cercò di alzarsi e si lamentò per l''improvviso ritorno del dolore allo stomaco e alla testa. Provò a toccarsi con attenzione il volto e le sue dita tornarono appiccicose per il sangue. “Stia fermo, ha un brutto taglio sopra l'occhio,” disse lei.

      Sussultò quando lei gli risciacquò con attenzione il volto e levò il sangue. “Credo che dovrà riposare per uno o due giorni. Dovrebbe andare da un medico e fare un controllo.”

      “Non posso, non posso permettermelo.”

      “Beh, allora credo che dovrò prendermi cura io di lei” disse. “Dopo tutto mi ha salvato la vita.”

      Lui rise, pieno di dolore. “Non credo sia necessario. Starò bene.”

      “Fra qualche giorno forse, ma nel frattempo, temo che dovrà avermi come infermiera.”

      “Grazie.” Riaffondò sul divano. “Bene, io sono Giuseppe Malpaiso, sono uno studente – povero,

Скачать книгу