Quattro Destini. Powell Michael
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"In realtà non siamo su una linea ferroviaria", replicò piuttosto pedantemente Ernest, il suo luogotenente, "come sto continuando a dirti!"
"Già, ma perché non attacchiamo quei bastardi invece di girare intorno come anatre al tiro a segno? Mostriamo loro che non devono sfidare la marina britannica e schiacciamoli una volta per tutte!"
Questa era la lamentela costante di Arnold e anche se in gran parte erano d'accordo con lui, i suoi compagni non potevano spingersi ad ammetterlo. Giù nella loro zona degli ufficiali non si erano neppure resi conto che la battaglia era già iniziata.
Ernest si era unito alla nave solo recentemente, su distaccamento da un lavoro di ufficio nell'Ammiragliato, e non compariva ancora nell'organigramma dell'equipaggio. Era un esperto di tedesco, parlava fluentemente la lingua ed aveva avuto dei contatti con i marinai della loro flotta durante la visita dell'imperatore Guglielmo a Cowes nel 1913. Quando era scoppiata la guerra, era stato assegnato a un lavoro di intelligence, aiutare a decifrare i messaggi navali tedeschi, e gli era stato chiesto di unirsi a una delle navi da guerra della flotta per vedere come le informazioni di decodifica fossero usate nella pratica.
Suonò l'allarme. "Un'altra maledetta esercitazione" disse, mentre aspettavano che un segnalatore venisse a dare loro gli ordini. Si mise la giacca e si alzò quando un giovane marinaio entrò di corsa. "Ordini del capitano: sul ponte e alla svelta – questa non è un'esercitazione!"
"Cosa? Torna qui Higgins! Cosa vuoi dire? Che sta succedendo lassù?"
"Siamo sotto attacco. Navi da guerra tedesche, un sacco, che stanno venendo contro di noi" urlò, mentre si affrettava verso l'alloggio ufficiali successivo.
Arnold e i suoi compagni si affrettarono verso il ponte, indossando le giacche, sistemandosi le cravatte e mettendosi il cappello mentre correvano. Il ponte, sei piani sopra di loro, era pieno di ufficiali eccitati quando il comandante, all'apparenza calmo come sempre, diede un'occhiata dalla finestra.
Davanti a loro riuscivano solo a vedere il mare. Si vedevano degli occasionali sbuffi di fumo, ma il mare era calmo e immobile fino a quando udirono un ruggito sopra le loro teste. "Il tuo treno?" sussurrò Ernest. "Non è in orario, vero?" La granata atterrò con un grosso schizzo dall'altro lato seguita dal rumore dell'arma che l'aveva lanciata.
"Calmi, ragazzi, per cortesia" disse il capitano. "Signor Talbot, alla sua postazione, Signor Jenkins, per cortesia riferisca al Sottoufficiale capo per quanto riguarda le incombenze per lo spegnimento degli incendi. Signori, fatelo il più velocemente possibile."
Fu l'ultima volta che Ernest vide il suo amico. Quando lasciarono il ponte andarono in direzioni diverse, Arnold verso poppa, Ernest a prua.
Ernest scese i gradini di corsa e andò lungo coperta verso la prua. Dietro e davanti a lui poteva sentire le enormi torrette mitragliatrici della Indefatigable girarsi pesantemente verso le navi nemiche, a malapena visibili all'orizzonte, al sopra delle quali sbuffi di fumo bianco indicavano che le armi stavano sparando. Vide il sottoufficiale capo sul ponte davanti a lui. “Signor Jenkins, indossi il giubbotto di salvataggio per cortesia. Non serve a nulla tenerlo sul braccio, no?”
Infilò le braccia nello scomodo aggeggio, tirando le cinghie attorno a lui mentre raggiungeva il ponte dove c'era il sottufficiale capo. “Bene, signore. Ora, se non le dispiace.” Il sottufficiale smise improvvisamente di parlare, guardando con orrore alle spalle di Ernest.
Ci fu un improvviso rumore fastidioso, come un treno che uscisse da un tunnel a tutta velocità, un forte colpo e un bagliore di fuoco quando i proiettili colpirono la poppa della nave. L' ‘Indefatigable’ sbandò e perse il controllo. Ernest sentì un'ondata di aria calda che lo spinse indietro e lo fece girare. Rimase sconvolto nel vedere l'intera poppa coperta di fumo nero oleoso e di scure fiamme che non presagivano nulla di buono. “Mio Dio – Arnold.”
“Non si preoccupi di questo, ragazzo mio, estragga quella manica antincendio, subito.” Ordinò il sottufficiale al suo gruppo di vigili del fuoco mentre Ernest, scioccato dall'intensità delle fiamme provenienti dal retro cercava di decidere cosa fare. “Bene ragazzi, calmiamoci e usiamo quel manicotto antincendio, va bene?” suggerì il sottufficiale.
“Giusto,” disse Ernest. “Più veloci che potete, srotolate il manicotto.” Un marinaio tirò fuori il manicotto, srotolandolo dalla ruota attorno alla quale era arrotolato, mentre un altro armeggiava con il tappo pesante. “Aspetta – non accenderla fino a quando è pronto il manicotto” disse Ernest. Un altro rumore di proiettili e altri tonfi risuonarono mentre i marinai tiravano il manicotto lungo il ponte verso il fuoco nella parte posteriore. Presto l'intensità del fuoco divenne così forte che non poterono avvicinarsi di più ed Ernest diede l'ordine di aprire il pesante tappo. L'acqua proruppe nel manicotto che divenne rigido per la pressione interna. Ernest aiutò il marinaio che reggeva la parte finale a tenerla ferma e a indirizzare il getto verso le fiamme. Sembrò che non facesse alcuna differenza. L'intensità delle fiamme, alimentata dal carburante e dal legno dei ponti stava crescendo. I proiettili nelle torrette al centro delle fiamme iniziarono a esplodere con colpi sordi e inquietanti, costringendo gli uomini con gli abiti in fiamme e la carne che friggeva per l'intenso calore a correre urlanti verso i vigili del fuoco.
Il fuoco, consumato tutto il combustibile, cominciò ad essere sotto controllo e sembrò che la nave potesse reggere, anche se malridotta. Ma poi un altro proiettile a lungo raggio sparato dall'aggressore tedesco, colpì casualmente la nave nel posto peggiore possibile – la torretta leggermente corazzata nella parte anteriore – e ci fu una forte esplosione che travolse il ponte. Una palla rotolante di fiamme incandescenti andò verso i vigili del fuoco travolgendo il sottufficiale e gli uomini con lui al manicotto. Ernest sentì il manicotto afflosciarsi quando lo scoppio lo colpì e si sentì trasportato in aria, poi colpì il parapetto e finì in mare. Terrorizzato ebbe il pensiero folle "che schifo di modo per morire".
Colpì l'acqua come un sasso, rimbalzò, facendo uscire tutta l'aria dai polmoni, e ricadde di nuovo sotto la superficie. Lottando con i suoi vestiti e l'ingombrante giubbotto di salvataggio, nuotò verso la superficie, scacciando il panico. Uscì dall'acqua e disperatamente prese una boccata d'aria a pieni polmoni. Il giubbotto di salvataggio era attorno al suo mento, ma lo aveva portato a galla e le istruzioni del sottufficiale lo avevano salvato. In qualche modo era riuscito a liberarsi delle scarpe e stava fluttuando libero.
Ernest si rese conto di essere finito parecchio distante dalla nave che ora era completamente avvolta da una infernale palla di fumo e fiamme. Disperatamente cominciò a nuotare per allontanarsi, rendendosi conto che la nave poteva esplodere di nuovo in qualsiasi istante. Ma la nave colpita non esplose. Lentamente, quasi con cautela si mosse in avanti e, come una enorme anatra, mostrò la parte posteriore al cielo e quindi scivolò, con i motori ancora accesi, verso il basso con un orribile suono lacerante di risucchio, lasciando dietro di sé un turbine di acqua fumante che provò a portarlo con sé nel gorgo lasciato dalla nave che affondava. Per due, tre volte fu tirato al di sotto della superficie e, in preda al panico, fu costretto a spingersi fuori e a respirare prima di essere di nuovo tirato sotto. Alla fine – sembravano fossero passate delle ore –la pressione verso il basso si calmò e fu in grado di galleggiare, sentendo ora il dolore intenso dell'acqua salata contro la sua schiena che, senza che se ne fosse reso conto, protetta solo dalla giacca e dalla camicia che stava indossando quando era uscito di corsa dall'alloggio degli ufficiali, era stata bruciata dalla forte palla di fuoco che l'aveva gettato in mare.
Si guardò attorno alla ricerca di segni di vita – qualcuno – qualcosa. Tutto quello che fu in grado vedere, però, furono dei detriti galleggianti e qualche cappello da marinaio. Un'enorme bolla esplose con un orribile suono nel punto in cui la nave era affondata, spruzzandolo d'acqua piena di petrolio, seguita da un'ondata che quasi lo fece andare a fondo di nuovo. Se non avesse notato una grossa tavola di legno galleggiante nelle vicinanze, non avrebbe