Comando Primario: Le Origini di Luke Stone—Libro #2. Джек Марс
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Non appena Smith ebbe sigillato il portello, il Nereus si attivò. Gli addetti fuori lo avevano agganciato al cavo, e la gru lo stava sollevando sopra l’acqua. Lui si guardò alle spalle. Uno degli uomini in tuta arancione era salito sullo stretto ponte esterno del sommergibile. Si stava tenendo al cavo con una mano guantata.
Per un momento rimasero sospesi nel vuoto, sei metri sopra l’acqua. La gru li abbassò sul mare e si ritrovarono all’ombra del grande peschereccio verde. Uno Zodiac apparve rapidamente, guidato da un sol uomo. Dopo aver sganciato il loro cavo, l’addetto in tuta arancione sul ponte esterno vi salì sopra.
Dalla radio emerse una voce. “Nereus, qui è il comando dell’Aegean Explorer. Iniziate i test.”
“Ricevuto,” disse il pilota. “Iniziamo subito.” Davanti a sé aveva un assortimento di comandi. Premette il pulsante in cima al joystick che stringeva tra le dita. Poi prese ad attivare interruttori, spostando la grossa mano sinistra da uno all’altro in rapida successione. Quella destra non lasciò mai il joystick. Fresca aria ricca d’ossigeno iniziò a riempire il minuscolo modulo. Smith inalò a fondo. Era piacevole sul suo volto sudato. Per un attimo aveva iniziato a surriscaldarsi.
Il pilota e la voce alla radio si scambiarono informazioni, continuando a parlare mentre il sommergibile ondeggiava piano avanti e indietro. L’acqua gorgogliò e si alzò tutto attorno a loro. Qualche secondo più tardi la superficie del Mar Nero fu sopra le loro teste. Smith e l’uomo nel sedile posteriore rimasero in silenzio, lasciando che il pilota facesse il suo lavoro. Erano dei veri professionisti.
“Iniziate l’avanzamento silenzioso,” disse la voce.
“Avanzamento silenzioso,” ripeté l’uomo. “Ci vediamo stanotte.”
“Buona fortuna, Nereus.”
Fu a quel punto che il pilota fece ciò che di norma nessuno alla guida di un sommergibile civile alla ricerca di relitti sottomarini avrebbe mai fatto. Spense la radio. Poi fece lo stesso con il localizzatore. Aveva interrotto ogni collegamento con la superficie.
L’Aegean Explorer poteva ancora vedere il Nereus sul sonar? Certo. Ma l’Explorer sapeva dove era il sommergibile. Di lì a poco, sarebbero spariti anche per la nave. Il Nereus era solo un minuscolo puntino in un vasto mare.
A tutti gli effetti il sommergibile era invisibile.
Reed Smith inspirò di nuovo a fondo. Quella doveva essere la trentesima volta che scendeva sotto la superficie marina in uno di quegli aggeggi, sia durante l’addestramento che nella vita reale, ma ancora non riusciva a farsene una ragione. Erano sprofondati di appena cinque metri e il mare era già diventato di un color blu brillante perché la luce del sole sopra la superficie si rifrangeva e veniva assorbita dall’acqua. Tra lo spettro dei colori il rosso veniva assorbito per primo, lasciando tutto il mondo subacqueo avvolto in un alone blu.
Diventava sempre più blu e più scuro man mano che il veicolo affondava nell’acqua.
“È bellissimo,” commentò Eric Davis alle sue spalle.
“Sì, lo è,” replicò il pilota. “Non me ne stanco mai.”
Si immersero nel blu fino a raggiungere un’oscurità profonda e buia. Tuttavia non era completa. Smith sapeva che una minuscola quantità di luce dalla superficie riusciva ancora a raggiungerli. Era il crepuscolo. Al di sotto, ancora più a fondo, c’era la mezzanotte.
L’oscurità li avvolse. Il pilota non accese le luci, preferendo navigare solo con gli strumenti. In quel momento non c’era niente da vedere.
Smith si permise di sonnecchiare. Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro. Poi un altro. E un altro ancora. Si lasciò prendere dal suo doposbronza. Aveva un lavoro da fare, ma non era ancora il momento. Il pilota, Bolger, gli avrebbe detto quando avrebbe dovuto darsi da fare. Per un po’ poteva perdersi nei propri pensieri. Era una sensazione piacevole, poter ascoltare il brusio dei motori e l’occasionale mormorio dei due uomini nella capsula insieme a lui che facevano due chiacchiere su un argomento o un altro.
Il tempo passò. Forse molto tempo.
“Smith!” sibilò Bolger. “Smith! Sveglia.”
Lui rispose senza aprire gli occhi. “Non sto dormendo. Siamo già arrivati?”
“No. Abbiamo un problema.”
L’uomo aprì di colpo gli occhi. Fu sorpreso di vedere l’oscurità quasi totale che li circondava. Le uniche luci venivano dal chiarore rosso e verde del pannello della strumentazione. Problema non era una parola che voleva sentire centinaia di metri sotto la superficie del Mar Nero.
“Che cosa c’è?”
Il dito grassottello di Bolger indicò lo schermo del sonar. C’era qualcosa di grosso, forse a tre chilometri a nord-ovest da loro. Se non era una balenottera azzurra, e quasi di certo non lo era, allora era un’imbarcazione di qualche tipo, probabilmente un sottomarino. E che Smith sapesse c’era solo un paese che avesse degli autentici sottomarini in quelle acque.
“Ah, cazzo, perché hai acceso il sonar?”
“Avevo una brutta sensazione,” disse Bolger. “Volevo assicurarmi che fossimo da soli.”
“Beh, è chiaro che non lo siamo,” replicò lui. “E tu stai sbandierando la nostra presenza.”
Bolger scosse il capo. “Sapevano che eravamo qui.” Puntò il dito verso due puntini più piccoli, dietro di loro verso sud. Poi ne indicò uno simile davanti a est, a meno di un chilometro di distanza. “Li vedi questi? Non è affatto buono. Stanno convergendo sulla nostra posizione.”
Smith si passò una mano sulla testa. “Davis?”
“Non è di mia competenza,” replicò l’uomo sul sedile posteriore. “Sono qui per salvare i vostri culi e affondare il sommergibile in caso di malfunzionamento del sistema o di errore del pilota. Non sono nella posizione per affrontare un nemico da qui. E a queste profondità non potrei aprire il portello neanche se volessi. Troppa pressione.”
Smith annuì. “Già.” Si voltò verso il pilota. “Quanto manca all’obiettivo?”
Bolger fece segno di no con la testa. “Troppo lontano.”
“Al punto di incontro?”
“Lasciamo perdere.”
“Possiamo eluderli?”
Il pilota scrollò le spalle. “Dentro questo coso? Suppongo che possiamo provare.”
“Esegui una manovra evasiva,” stava per ordinargli Smith, ma non ne ebbe modo. All’improvviso, una luce brillante si accese di fronte a loro. L’effetto nella minuscola capsula fu accecante.
“Gira il mezzo,” disse allora, coprendosi gli occhi. “Nemici.”
Il pilota fece roteare di colpo il Nereus di trecentosessanta gradi. Prima di poter finire la manovra, un’altra luce accecante si accese alle loro spalle. Erano circondati, davanti e dietro, da sottomarini come il primo. Simili al loro, a parte che Smith riconosceva lo stile dei nemici. Erano stati progettati e costruiti negli anni ’60, durante