Uno, nessuno e centomila. Луиджи Пиранделло
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Già subito mi figurai che tutti, avendone fatta mia moglie la scoperta, dovessero accorgersi di quei miei difetti corporali e altro non notare in me.
– Mi guardi il naso? – domandai tutt'a un tratto quel giorno stesso a un amico che mi s'era accostato per parlarmi di non so che affare che forse gli stava a cuore.
– No, perché? – mi disse quello.
E io, sorridendo nervosamente:
– Mi pende verso destra, non vedi?
E glielo imposi a una ferma e attenta osservazione, come quel difetto del mio naso fosse un irreparabile guasto sopravvenuto al congegno dell'universo.
L'amico mi guardò in prima un po' stordito; poi, certo sospettando che avessi cosí all'improvviso e fuor di luogo cacciato fuori il discorso del mio naso perché non stimavo degno né d'attenzione, né di risposta l'affare di cui mi parlava, diede una spallata e si mosse per lasciarmi in asso. Lo acchiappai per un braccio, e:
– No, sai, – gli dissi, – sono disposto a trattare con te codest'affare. Ma in questo momento tu devi scusarmi.
– Pensi al tuo naso?
– Non m'ero mai accorto che mi pendesse verso destra. Me n'ha fatto accorgere, questa mattina, mia moglie.
– Ah, davvero? – mi domandò allora l'amico; e gli occhi gli risero d'una incredulità ch'era anche derisione.
Restai a guardarlo come già mia moglie la mattina, cioè con un misto d'avvilimento, di stizza e di maraviglia. Anche lui dunque da un pezzo se n'era accorto? E chi sa quant'altri con lui! E io non lo sapevo e, non sapendolo, credevo d'essere per tutti un Moscarda col naso dritto, mentr'ero invece per tutti un Moscarda col naso storto; e chi sa quante volte m'era avvenuto di parlare, senz'alcun sospetto, del naso difettoso di Tizio o di Caio e quante volte perciò non avevo fatto ridere di me e pensare:
– Ma guarda un po' questo pover'uomo che parla dei difetti del naso altrui!
Avrei potuto, è vero, consolarmi con la riflessione che, alla fin fine, era ovvio e comune il mio caso, il quale provava ancora una volta un fatto risaputissimo, cioè che notiamo facilmente i difetti altrui e non ci accorgiamo dei nostri. Ma il primo germe del male aveva cominciato a metter radice nel mio spirito e non potei consolarmi con questa riflessione.
Mi si fissò invece il pensiero ch'io non ero per gli altri quel che finora, dentro di me, m'ero figurato d'essere.
Per il momento pensai al corpo soltanto e, siccome quel mio amico seguitava a starmi davanti con quell'aria d'incredulità derisoria, per vendicarmi gli domandai se egli, dal canto suo, sapesse d'aver nel mento una fossetta che glielo divideva in due parti non del tutto eguali: una piú rilevata di qua, una piú scempia di là.
– Io? Ma che! – esclamò l'amico. – Ci ho la fossetta, lo so, ma non come tu dici.
– Entriamo là da quel barbiere, e vedrai, – gli proposi subito.
Quando l'amico, entrato dal barbiere, s'accorse con maraviglia del difetto e riconobbe ch'era vero, non volle mostrarne stizza; disse che, in fin dei conti, era una piccolezza.
Eh sí, senza dubbio, una piccolezza; vidi però, seguendolo da lontano, che si fermò una prima volta a una vetrina di bottega, e poi una seconda volta, piú là, davanti a un'altra; e piú là ancora e piú a lungo, una terza volta, allo specchio d'uno sporto per osservarsi il mento; e son sicuro che, appena rincasato, sarà corso all'armadio per far con piú agio a quell'altro specchio la nuova conoscenza di sé con quel difetto. E non ho il minimo dubbio che, per vendicarsi a sua volta, o per seguitare uno scherzo che gli parve meritasse una larga diffusione in paese, dopo aver domandato a qualche suo amico (come già io a lui) se mai avesse notato quel suo difetto al mento, qualche altro difetto avrà scoperto lui o nella fronte o nella bocca di questo suo amico, il quale, a sua volta... – ma sí! ma sí! – potrei giurare che per parecchi giorni di fila nella nobile città di Richieri io vidi (se non fu proprio tutta mia immaginazione) un numero considerevolissimo di miei concittadini passare da una vetrina di bottega all'altra e fermarsi davanti a ciascuna a osservarsi nella faccia chi uno zigomo e chi la coda d'un occhio, chi un lobo d'orecchio e chi una pinna di naso. E ancora dopo una settimana un certo tale mi s'accostò con aria smarrita per domandarmi se era vero che, ogni qual volta si metteva a parlare, contraeva inavvertitamente la pàlpebra dell'occhio sinistro.
– Sí, caro, – gli dissi a precipizio. – E io, vedi? il naso mi pende verso destra; ma lo so da me; non c'è bisogno che me lo dica tu; e le sopracciglia? ad accento circonflesso! le orecchie, qua, guarda, una piú sporgente dell'altra; e qua, le mani: piatte, eh? e la giuntura storpia di questo mignolo; e le gambe? qua, questa qua, ti pare che sia come quest'altra? no, eh? Ma lo so da me e non c'è bisogno che me lo dica tu. Statti bene.
Lo piantai lì, e via. Fatti pochi passi, mi sentii richiamare.
– Ps!
Placido placido, col dito, colui m'attirava a sé per domandarmi:
– Scusa, dopo di te, tua madre non partorí altri figliuoli?
– No: né prima né dopo, – gli risposi. – Figlio unico. Perché?
– Perché, – mi disse, – se tua madre avesse partorito un'altra volta, avrebbe avuto di certo un altro maschio.
– Ah sí? Come lo sai?
– Ecco: dicono le donne del popolo che quando a un nato i capelli terminano sulla nuca in un codiniccio come codesto che tu hai costí, sarà maschio il nato appresso.
Mi portai una mano alla nuca e con un sogghignetto frigido gli domandai:
– Ah, ci ho un... com'hai detto?
E lui:
– Codiniccio, caro, lo chiamano a Richieri.
– Oh, ma quest'è niente! – esclamai. – Me lo posso far tagliare.
Negò prima col dito, poi disse:
– Ti resta sempre il segno, caro, anche se te lo fai radere.
E questa volta mi piantò lui.
III. Bel modo di essere soli.
Desiderai da quel giorno ardentissimamente d'esser solo, almeno per un'ora. Ma veramente, piú che desiderio, era bisogno: bisogno acuto urgente smanioso, che la presenza o la vicinanza di mia moglie esasperavano fino alla rabbia.
– Hai sentito, Gengè(nota 1), che ha detto jeri Michelina? Quantorzo ha da parlarti d'urgenza.
– Guarda, Gengè , se a tenermi cosí la veste mi pajono le gambe.
– S'è fermata la pèndola, Gengè.
– Gengè, e la cagnolina non la porti piú fuori? Poi ti sporca i tappeti e la sgridi. Ma dovrà pure, povera bestiolina... dico... non pretenderai che... Non esce da jersera.
– Non temi, Gengè, che Anna Rosa possa esser malata? Non si fa piú vedere da tre giorni, e l'ultima