Il Look Perfetto. Блейк Пирс
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Poi, però, tenerlo all’oscuro le sembrava una sorta di tradimento. Si voltò a guardare Ryan Hernandez, un paio d’anni più di lei, e si chiese tacitamente se glielo dovesse. Dopotutto, anche se lui era un detective e lei era una profiler, lavoravano insieme alla maggior parte dei casi e si frequentavano informalmente, anche se la cosa non era ufficiale.
Oltre a questo, nel corso degli ultimi due anni, la loro relazione era evoluta da puramente professionale a professionalmente amichevole, diventando sincera amicizia e ora qualcos’altro. La moglie di Ryan aveva richiesto il divorzio qualche mese prima, dopo sei anni di matrimonio, e dopo qualche piroetta verbale, Ryan aveva recentemente confessato a Jessie di essere interessato a lei in un senso che andava oltre la collaborazione lavorativa.
Lei provava gli stessi sentimenti da un po’ di tempo, ma non aveva mai preso l’iniziativa. Lo trovava attraente da quanto l’aveva visto la prima volta, quando aveva fatto da insegnante per una lezione che lei aveva frequentato. Questo era successo ancor prima che lei venisse a sapere del suo impressionante curriculum in qualità di detective con un’unità di élite della divisione omicidi con scasso del LAPD, che si chiamava Sezione Speciale Omicidi, o HSS. L’HSS si occupava di casi di omicidio con alti profili o intenso scrutinio mediatico, dove erano spesso coinvolte diverse vittime o serial killer.
Tutto questo non faceva che migliorare ancora di più la figura che già presentava. Ryan era alto un metro e ottantacinque per novanta chili di muscoli ben delineati. Eppure, sotto i capelli neri corti, i suoi occhi castani emanavano un inaspettato calore.
Ora, da soli con le loro montagne di bagaglio personale a impedire loro di fare il passo successivo, si stavano lentamente conoscendo ed esplorando a vicenda. C’era stato un bacio, ma niente di più. A essere onesti, Jessie non era sicura che nessuno di loro due fosse pronto per qualcosa di più.
“Dimmi del caso,” gli disse, decidendo di trattenersi e non raccontargli del suo incontro con Garland, almeno per ora.
“Non so ancora molto,” le rispose Ryan. “Il corpo è stato trovato da una cameriera al piano da circa un’ora: un uomo sulla quarantina. Nudo. Portafoglio vuoto, nessuna identificazione, né carte di credito o contanti. L’iniziale causa della morte sembra essere lo strangolamento.”
“Non possono identificarlo controllando chi ha prenotato la camera?”
“Anche questo è un po’ strano. A quanto pare la carta che è stata usata per fissare la camera è registrata a nome di una società di facciata. E il nome nel registro è John Smith. Sono sicuro che risulterà inesistente, ma per il momento ci stiamo occupando di un John Doe qualsiasi.”
Arrivarono all’enorme Hotel Bonaventure, con le sue numerose torri e i famosi ascensori esterni, quelli resi famosi dal film Nel centro del mirino. Ryan mostrò il suo badge per oltrepassare il blocco della polizia e accostò accanto alla zona di scarico merci.
Un agente li accolse e li accompagnò all’ascensore, quindi da lì all’ampia lobby. Mentre la attraversavano per andare al blocco di ascensori principale, Jessie non poté fare a meno di sentirsi sopraffatta dalle dimensioni e dal numero di atri e intricati corridoi e scale. Era come se quel posto fosse stato progettato apposta per creare confusione.
Jessie seguiva Ryan e l’agente, prendendosi il suo tempo, permettendo alle implicazioni della mattina di dissiparsi dalla sua mente mentre si concentrava sul compito che aveva ora per mano. Il suo lavoro era di dare un profilo del crimine, di determinare potenziali colpevoli. E questo significava avere piena consapevolezza dell’ambiente in cui il crimine aveva avuto luogo, non solo della camera da letto, ma anche dell’hotel nel suo complesso. Non poteva ignorare nulla.
Passarono accanto a un gruppo di turisti che si stavano dirigendo verso una delle uscite, vestiti in modo da suggerire che la loro destinazione fosse un parco divertimenti. Subito dietro di loro, all’interno di una zona bar circolare chiamata Lobby Court, diversi uomini eleganti stavano già iniziando a bere. Qualcun altro girovagava qua e là. Alcuni portavano degli auricolari, evidentemente personale addetto alla sicurezza. Jessie non riusciva a decidersi se stessero intenzionalmente tentando di essere discreti o se volessero solo dare quell’idea di facciata.
Quando furono davanti agli ascensori, uno di loro li raggiunse e aspettò in silenzio l’apertura delle porte.
“Come va la mattinata?” chiese Jessie con voce cinguettante, incapace di trattare l’uomo con la solennità che chiaramente avrebbe richiesto.
Lui annuì ma non disse nulla.
“Stai finendo il turno o lo inizia ora?” insistette lei facendosi più severa, scocciata dalla mancanza di risposta.
Lui la guardò, poi spostò lo sguardo su Ryan che lo fissava con freddezza. Poi rispose con riluttanza: “Ho iniziato alle sei. Siamo stati chiamati dal servizio in camera alle sette.”
“Come mai le cameriere sono entrate in camera così presto?” chiese Jessie. “C’era una richiesta di pulizia appesa alla porta?”
“La donna ha detto che dalla stanza veniva uno strano odore.”
Jessie guardò verso Ryan, che aveva un’espressione rassegnata.
“Mi pare un modo divertente di cominciare la mattinata,” disse, leggendogli nel pensiero.
L’ascensore arrivò e loro vi entrarono. La guardia li accompagnò al quattordicesimo piano. Quando le porte si aprirono, Jessie non poté evitare di meravigliarsi della veduta. L’ascensore si affacciava sulle Hollywood Hills, e in questa mattinata piuttosto limpida, l’insegna bianca di Hollywood luccicava ammiccando verso di loro. Sembrava tanto vicina da poterla toccare. Accanto ad essa era arroccato l’Osservatorio di Griffith Park, in cima a una collina del parco. La zona circostante era cosparsa di numerosi studi cinematografici, come anche migliaia di veicoli che scorrevano lungo le strade già intasate dal traffico.
Un leggero tintinnio la riportò al momento presente e Jessie uscì dall’ascensore, seguendo la guardia e Ryan fino alla fine del corridoio. Erano a metà strada quando Jessie percepì una folata di quello che doveva aver colto l’attenzione della cameriera.
Era l’odore dei gas batterici putridi emanati dal corpo della vittima e che fuoriuscivano, spesso accompagnati da liquidi altrettanto maleodoranti. Anche se era sempre spiacevole, Jessie ci si era in qualche modo abituata. Dubitava che una cameriera potesse sentirsi altrettanto a proprio agio.
Un agente che aspettava fuori dalla stanza riconobbe Ryan e porse a lui e Jessie dei copri-scarpe di plastica alzando poi il nastro di delimitazione per farli entrare. Con soddisfazione di Jessie, l’agente non permise l’accesso alla guardia dell’hotel.
Una volta all’interno, Jessie si fermò sulla porta e osservò la scena. C’erano diversi tecnici della scena del crimine che scattavano foto e raccoglievano impronte digitali. Diversi segni sulla moquette erano stati notati e contrassegnati con dei numeri.
Il corpo giaceva sul letto, nudo, gonfio e scoperto. La prima descrizione della vittima appariva accurata. Sembrava un uomo sulla quarantina. Quando Jessie si avvicinò, capì che era stato effettivamente strangolato. Sul collo aveva segni violacei lasciati dalle dita, anche se non si notavano evidenti tagli o graffi che indicassero delle unghie conficcate.
L’uomo era in buona forma fisica se si ignorava il gonfiore. Era chiaramente ben curato, con unghie recentemente tagliate, un trapianto di capelli che era stato eseguito in maniera impeccabile