Assassino Zero. Джек Марс
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“Aveva bisogno di qualcosa per calmarsi”, continuò Camilla. “Le ho dato l'indirizzo del mio ragazzo. È andata lì. Poi è tornata. E la mattina dopo è uscita di nuovo. Pensavo andasse al lavoro, ma non è più tornata a casa. Non riesco a raggiungerla al telefono. So solo questo”.
Zero quasi perse la pazienza di fronte a quei ragazzini irresponsabili che avevano mandato una ragazza da sola a casa di uno spacciatore. Ma per lei ingoiò tutta la sua rabbia. Doveva trovarla.
Lei ha bisogno di te.
“Questo non è tutto quello che sai”, disse a Camilla. “Voglio il nome e l'indirizzo del tuo ragazzo”.
Venti minuti dopo Zero era in piedi davanti a una villetta a schiera di Jacksonville con un cancello sudicio e una lavatrice rotta sulla veranda. Secondo Camilla, questa era la casa dello spacciatore, un tizio di nome Ike.
Zero non aveva una pistola con sé. Aveva avuto una tale fretta di arrivare all'aeroporto che era corso fuori dalla porta con nient'altro che le chiavi della macchina e il telefono. Ma ora avrebbe voluto tanto averne una.
Cosa dovrei fare? Mi precipito dentro, lo prendo a calci, pretendo delle risposte? Oppure busso e faccio una chiacchierata?
Decise che, per cominciare, avrebbe optato per la seconda opzione.
Dopo che ebbe bussato tre volte, una voce maschile gridò dall'interno della casa. “Aspetta, sto arrivando!” Il ragazzo che comparve sulla porta era più alto di Zero, più muscoloso di Zero e molto più tatuato di Zero (che non aveva alcun tatuaggio). Indossava una canottiera bianca con quella che sembrava una macchia di caffè e jeans troppo grandi per lui, che pendevano bassi sui fianchi.
“Sei Ike?”
Il ragazzo lo guardò dall'alto in basso. “Sei un poliziotto?”
“No. Sto cercando mia figlia. Sara. Ha sedici anni, è bionda, è alta più o meno così…”
“Amico, non ho mai visto tua figlia”. Ike scosse la testa. Aveva uno strano cipiglio sul viso.
Ma Zero notò la lieve, quasi impercettibile contrazione dei suoi occhi. Un tremolio sulle labbra nel tentativo di non lasciar trapelare alcuna emozione. Rabbia. Al nome di Sara, un lampo di rabbia gli aveva attraversato gli occhi.
“Ok. Mi dispiace di averti disturbato”, disse Zero.
“Va bene”, disse il ragazzo in tono inespressivo. Poi fece per chiudere la porta.
Non appena Ike si fu leggermente allontanato, Zero sollevò un piede e diede un forte calcio proprio sotto alla maniglia della porta. Questa si aprì, andando a sbattere forte contro il ragazzo e gettandolo a terra sul tappeto marrone.
Zero lo raggiunse in un secondo e gli bloccò la gola con un avambraccio. “La conosci”, ringhiò. “L'ho visto nei tuoi occhi. Dimmi dove è andata, o io…”
Udì un ringhio e poi un Rottweiler nero e marrone dal collo spesso si gettò verso di lui. Ebbe a malapena il tempo di reagire, e non poté fare a meno di seguire il cane rotolando con lui. Il cane digrignò i denti mordendo l'aria e alla fine trovò il suo braccio e affondò i canini nella sua carne.
Zero strinse forte i denti e continuò a rotolare in modo che l’animale fosse sotto di lui, e lo spinse con il braccio, cercando di reprimere la forza del cane e di liberare il suo avambraccio.
Il ragazzo si alzò in piedi e fuggì dalla stanza mentre Zero cercava intorno a sé qualsiasi cosa potesse afferrare. Il cane si dimenò e si agitò sotto di lui, cercando di liberarsi, ma Zero gli pizzicò le zampe in modo che non riuscisse a rimettersi in posizione di attacco. La sua mano raggiunse una logora coperta appoggiata sul divano di pelle.
Con la mano libera diede un solo colpo al muso del cane, non sufficientemente forte da ferirlo gravemente, ma abbastanza deciso da stordirlo e indurlo a lasciagli il braccio. Nel mezzo secondo prima che le mascelle si serrassero di nuovo, avvolse la coperta intorno alla testa del cane e rilassò le gambe in modo da poter rialzarsi.
Quindi passò l'estremità della coperta sotto il suo corpo e legò le estremità dietro la testa, fino ad avvolgere la parte anteriore del Rottweiler nella coperta. Il cane si agitò e si lasciò andare, cercando di liberarsi, e a momenti ci sarebbe riuscito. Quindi Zero si alzò in piedi e si precipitò all'inseguimento dello spacciatore.
Scivolò in una minuscola cucina appena in tempo per vedere Ike che stava estraendo una piccola e brutta pistola dal cassetto. Cercò di puntarla verso di lui, ma Zero fece un balzo in avanti e lo fermò, poi con una stretta che slogò, o forse spezzò, una delle dita del ragazzo, gliela tolse di mano.
Ike strillò forte e si rannicchiò, tenendosi la mano, mentre Zero gli puntava la pistola alla fronte.
“Non spararmi”, piagnucolò. “Non sparare. Per favore, non sparare”.
“Dimmi quello che voglio sapere. Dov'è Sara? Quando l'hai vista per l'ultima volta?”
“Va bene! Ok. Senti, è venuta da me, ma non poteva pagare, quindi ci siamo accordati, lei mi avrebbe aiutato con delle commissioni in città…”
“Droga”, lo corresse Zero. “Le hai chiesto di consegnare droga. Fai prima a dirlo”.
“Si. Droga. Erano passati solo pochi giorni, e lei stava bene, ma poi le ho dato un grosso lotto di pillole… “
“Di cosa?”
“Pillole da prescrizione. Antidolorifici. Ed è sparita, amico. Non si è mai presentata, non ha mai consegnato. La mia gente era incazzata. Ho perso mille dollari. E ha persino preso una delle mie macchine, perché non ne aveva una sua…”
Zero rise forte. “Le hai dato un migliaio di dollari di droga e lei è scappata?”
“Proprio così”. Alzò lo sguardo su Zero, tenendo le mani in alto, vicino al viso, sulla difensiva. “Se ci pensi, sono io la vittima qui…”
“Sta zitto”. Spinse delicatamente la canna contro la fronte di Ike. “Dove doveva andare, e che tipo di macchina aveva?”
Zero si mise alla guida dell'Escalade nera, che aveva “preso in prestito” da Ike insieme alla sua pistola, e usò il GPS del suo telefono per guidare il più velocemente possibile verso il punto di riconsegna, cercando nel frattempo una berlina Chewy azzurra del 2001 a quattro porte.
Non ne vide nessuna prima di raggiungere il punto di consegna, che con suo grande dispiacere non era altro che un centro ricreativo locale. Ma non poteva preoccuparsene al momento. Invece pensò tra sé: che cosa aveva fatto Sara? Dove era andata?
Prima ancora di porsi la domanda, già aveva la risposta. Insieme a quel pensiero, gli tornò alla memoria il profumo del sale.
Non era un segreto nella loro famiglia che Kate, la madre di Maya e Sara, avesse un posto preferito nel mondo. Aveva portato le ragazze lì in tre diverse occasioni; la prima volta, Maya aveva otto anni e Sara sei e aveva detto loro: “Questo è il mio posto preferito”.
Era una spiaggia del New Jersey, e Zero, in un altro contesto, avrebbe trovato quella frase imbarazzante. La spiaggia era troppo rocciosa e l'acqua, tolti i due mesi più caldi dell'estate, era sempre troppo fredda, ma non era quello