Assassino Zero. Джек Марс
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Sarà più difficile di quanto pensassi. Mentre Maya assomigliava molto di più a loro padre, Sara da sempre ricordava la mamma in tutto, non solo nell'aspetto, ma anche nella personalità e negli interessi. La carnagione di sua sorella era più pallida di quanto Maya ricordasse, forse per effetto della disintossicazione, pensò. I suoi occhi sembravano in qualche modo più opachi e aveva evidenti occhiaie scure che Sara aveva tentato di nascondere con il trucco. Si era tinta i capelli di rosso, almeno due mesi prima, e dalla ricrescita iniziava a far capolino il suo biondo naturale. Li aveva anche tagliati di recente all'altezza del mento, e quel taglio le incorniciava il viso in modo grazioso ma la faceva sembrare più grande di un paio d'anni. In effetti, lei e Maya sembravano avere la stessa età ora.
“Ehi”, disse Sara semplicemente.
“Ciao”. Maya si riprese dalla sorpresa nel vedere sua sorella così diversa e sorrise. Lasciò cadere il borsone verde e fece un passo in avanti per abbracciarla; Sara la abbracciò a sua volta con gratitudine, quasi come se stesse aspettando di vedere come sarebbe stata accolta da sua sorella. “Mi sei mancata. Volevo tornare a casa subito quando papà mi ha raccontato quello che è successo…”
“Sono contenta che tu non l'abbia fatto”, disse candidamente Sara. “Mi sarei sentita orribile se avessi lasciato la scuola per me. Inoltre, non volevo che mi vedessi… così”.
Sara scivolò fuori dalle braccia di sua sorella e afferrò il borsone prima che Maya potesse protestare. “Entra”, le disse con un cenno. “Benvenuta a casa”.
Benvenuta a casa. Maya la seguì nell’appartamento. Era un posto abbastanza carino, moderno, con molta luce naturale ma piuttosto austero. Se non fosse stato per alcuni piatti nel lavandino e il ronzio della televisione nel soggiorno a basso volume, Maya non avrebbe creduto che qualcuno vivesse in quella casa. Non c'erano quadri alle pareti, nessun tipo di decorazione che desse personalità alla casa.
Sembrava una tela bianca. Tra sé e sé, riconobbe che quello era lo scenario più appropriato per la loro situazione.
“È tutto qui”, disse Sara, come se stesse leggendo la mente di Maya. “Almeno per ora. Ci sono solo due camere da letto, quindi dovremo condividere la stanza…”
“Posso dormire sul divano”, propose Maya.
Sara sorrise appena. “Mi fa piacere condividere la stanza. Un po' come quando eravamo piccole. Sarebbe… bello. Averti vicina”. Si schiarì la voce. Nonostante la frequenza con cui avevano parlato al telefono, era dolorosamente evidente quanto fosse strano ritrovarsi nella stessa camera.
“Dov'è papà?” Chiese Maya all'improvviso, cercando di allentare la tensione.
“Dovrebbe tornare a casa a momenti. Ha dovuto fermarsi dopo il lavoro a prendere alcune cose per domani”.
Dopo il lavoro. Sara lo disse con una tale noncuranza che sembrava che stesse tornando da un ufficio e non dal quartier generale della CIA a Langley.
Sara si appollaiò su uno sgabello vicino al bancone che separava la cucina dalla piccola sala da pranzo. “Come va la scuola?”
Maya si appoggiò al tavolo con entrambi i gomiti. “La scuola è…” Esitò. Sebbene avesse solo diciotto anni, era al suo secondo anno a West Point a New York. Aveva sostenuto in anticipo l'esame per il diploma di liceo ed era stata accettata dall'accademia militare grazie a una lettera di raccomandazione dell'ex presidente Eli Pierson, il cui tentativo di assassinio era stato contrastato proprio dall'agente Zero. Ora era la migliore della sua classe, forse tra i migliori dell'intera accademia. Ma un recente litigio con il suo ex fidanzato Greg Calloway si era evoluto in diversi episodi di bullismo. Maya si era rifiutata di arrendersi, ma doveva ammettere che quegli episodi le avevano reso la vita piuttosto difficile. Greg aveva molti amici, tutti ragazzi più grandi dell'Accademia che Maya aveva già dovuto affrontare più di una volta.
“La scuola è fantastica”, disse infine, forzando un sorriso. Sara aveva già molti problemi, non voleva darle altri pensieri. “Ma un po' noiosa. Dimmi piuttosto come stai tu”.
Sara quasi sbuffò, e poi indicò l'appartamento. “Lo vedi. Sono qui tutto il giorno, tutti i giorni. Guardo la TV. Non vado da nessuna parte. Non ho soldi. Papà mi ha procurato un telefono al lavoro in modo che possa tenere d'occhio le mie chiamate e i miei messaggi”. Poi alzò le spalle, e aggiunse “È come una di quelle prigioni per colletti bianchi in cui mandano politici e celebrità”.
Maya sorrise tristemente alla battuta, e poi con cautela chiese: “Ma tu sei…pulita?”
Sara annuì. “Per quanto possibile”.
Maya si accigliò. Sapeva molto di molte cose, ma non conosceva nulla in merito alle droghe. “Che significa?”
Sara fissò il bancone di granito, tracciando un piccolo cerchio sulla superficie liscia con un dito. “Significa che è difficile”, ammise lei piano. “Pensavo che sarebbe stato più facile dopo i primi giorni, dopo che tutto quello schifo fosse uscito dal mio corpo. Ma non lo è stato. È come… è come se il mio cervello si ricordasse di quella sensazione e la desiderasse ancora. La noia non mi aiuta. Papà non vuole che io abbia ancora un lavoro, perché non vuole che io abbia altri soldi a disposizione finché non starò meglio. Poi sorrise, e aggiunse: “Vuole che studi per prendere il diploma”.
E ha ragione, stava per dire Maya, ma si trattenne. Sara aveva abbandonato la scuola superiore dopo aver raggiunto l’età dell’obbligo, ma l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era un rimprovero, specialmente in quel momento in cui si stava aprendo con lei.
Ma una cosa era chiara: il problema di Sara era peggiore di quanto Maya pensasse. Pensava che sua sorella minore avesse solamente provato qualche droga e che l'overdose fosse stata un incidente. Tuttavia, era proprio il contrario. Sara era dipendente. E non c'era niente che Maya potesse fare per aiutarla. Non sapeva nulla della dipendenza.
O forse sì?
Improvvisamente ricordò una notte, circa due settimane prima, quando aveva svegliato il suo compagno di dormitorio ritornando dalla palestra all'una del mattino. Il cadetto, irritato e mezzo addormentato aveva borbottato qualcosa riguardo al fatto che fosse “drogata di allenamenti”. E poi Maya era rimasta sveglia per un'altra ora a studiare, per poi svegliarsi il giorno dopo alle sei per andare a correre.
Più ci pensava, più si rendeva conto di sapere tutto sulla dipendenza. Non era dipendente dal dimostrare di essere la migliore? Non era sempre impegnata a inseguire il successo?
E suo padre, anche dopo tutto il tumulto degli ultimi due anni, era comunque tornato al lavoro. Sara bramava ancora la droga come Maya bramava la realizzazione personale e il suo papà bramava il brivido dell'inseguimento, perché forse non erano altro che una famiglia di tossicodipendenti.
Ma Sara era l'unica a riconoscerlo. Forse è la più intelligente di tutti noi.
“Ehi”. Maya allungò la mano prese quella di Sara. “Puoi farcela. Sei più forte di quanto pensi. Ho fiducia in te”.
Sara fece un mezzo sorriso. “Sono contenta che qualcuno abbia fiducia in me”.
“Parlerò con papà”, disse Maya. “Magari si rilasserà un po', ti darà un po' più di libertà…”
“No”,