Assassino Zero. Джек Марс

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Assassino Zero - Джек Марс Ein Agent Null Spionage-Thriller

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dollari in tasca e potessi andare dove voglio, dovrebbe venire a cercarmi di nuovo. E la prossima volta potrebbe non arrivare abbastanza velocemente”.

      Il cuore di Maya si spezzò per l'ovvio tormento riflesso negli occhi di sua sorella, e poi di nuovo alla consapevolezza che non c'era nulla che potesse fare per aiutarla. Tutto ciò che aveva erano parole vuote di incoraggiamento, che non l'avrebbero aiutata a risolvere i suoi problemi.

      All'improvviso si sentì incredibilmente fuori posto in quella cucina. Avevano vissuto così tante situazioni insieme. Crescendo. Avevano pianto la morte di loro madre. Avevano scoperto il lavoro di loro padre. Avevano fatto delle vacanze in famiglia ed erano fuggite da aspiranti assassini. Tutto ciò che si pensasse potesse avvicinare due persone e creare un legame indissolubile, aveva invece creato un vuoto silenzio tra di loro.

      Sarebbe stato sempre così d'ora in avanti? La ragazza davanti a lei avrebbe continuato a diventare sempre più irriconoscibile fino a quando non si sarebbero trovate ad essere semplici estranee con un legame di parentela?

      Maya voleva dire qualcosa, qualsiasi cosa, per rompere quel silenzio. Far rivivere qualche ricordo felice. O chiamala topolina, quel nomignolo della loro infanzia che non usava da chissà quanto tempo.

      Prima che potesse dire qualcosa, la porta si aprì alle loro spalle. Maya si girò di scatto, stringendo istintivamente i pugni. I suoi nervi saltavano quando si verificavano intrusioni inaspettate.

      Ma questa volta non era un intruso. Era suo padre, che trasportava due sacchetti della spesa e avanzava cautamente verso la cucina alla vista di lei.

      “Ciao”.

      “Ciao, papà”.

      Posò le borse della spesa sul pavimento e fece un passo verso di lei, aprendo le braccia, ma poi esitò. “Posso…?”

      Lei annuì e lui l'abbracciò. All'inizio fu un abbraccio esitante, ma poi Maya notò, stupita, che aveva lo stesso odore di sempre. Era un profumo straordinariamente nostalgico, un profumo della sua infanzia, un profumo che le ricordava mille altri abbracci. Forse lei era più grande, forse Sara sembrava diversa; forse non era ancora del tutto sicura di chi fosse suo padre e forse si trovavano in un posto nuovo che avrebbero dovuto imparare a chiamare casa, ma in quel momento nulla di tutto ciò sembrava avere importanza. In quel momento si sentì a casa e si abbandonò a lui, stringendolo forte.

*

      Maya aprì la porta scorrevole in vetro sul retro dell’appartamento, indossò una felpa con cappuccio e sfidò l'aria fredda della notte. La casa non aveva un cortile, ma aveva un piccolo patio con un tavolo tozzo e due sedie.

      Suo padre era seduto lì, sorseggiava da un bicchiere una bevanda di colore ambrato. Maya si sedette con lui, notando quanto fosse chiara la notte.

      “Sara dorme?” chiese.

      Maya annuì. “Sonnecchia sul divano”.

      “Lo fa spesso recentemente”, disse, con espressione preoccupata. “Dorme molto”.

      Lei forzò una leggera risata. “Ha sempre dormito molto. Non mi preoccuperei per questo”. Poi indicò il bicchiere con un cenno. “Birra?”

      “Tè freddo”. Sorrise lui imbarazzato. “Da quando sono tornato al lavoro non bevo”.

      “E come va?”

      “Non male”, ammise. “Ultimamente non ho svolto nessun incarico sul campo, mi prendo cura di Sara e mi rimetto in forma”.

      “Stavo per dirlo, si vede che hai perso peso. Stai molto meglio di… “

      Dell'ultima volta in cui ti ho visto, stava per dire Maya, ma si interruppe, perché non voleva rievocare il ricordo di quella visita, quando aveva portato Greg a casa, si era arrabbiata, aveva perso il controllo, aveva abbandonato Greg lì e aveva detto a suo padre che non avrebbe mai più voluto vederlo.

      “Grazie”, disse lui in fretta, chiaramente pensando lo stesso. “E la scuola sta andando bene?”

      Gliel'aveva già detto così prima, a cena, ma sembrava che non le credesse del tutto, e Maya ricordò a sé stessa che parte del suo lavoro era la capacità di capire le persone. Era inutile mentirgli, ma ciò non significava che lei dovesse dirgli tutto.

      “Preferisco non parlare della scuola”, gli disse chiaramente. Non voleva parlare di come talvolta sparissero degli oggetti dal suo armadietto. O del fatto che i ragazzi le gridassero parole poco gentili. O della sensazione che fosse soltanto l'inizio del tormento, e che più cercava di ignorarli, più i ragazzi di West Point sarebbero stati aggressivi.

      “Giusto”. Suo padre si schiarì la gola. “Uhm, c'è qualcosa di cui vorrei parlare però. Avrei dovuto chiedertelo prima. Maria non ha un posto in cui andare domani, e non mi sembrava giusto…”

      “Non preoccuparti, papà”. Maya sorrise al suo imbarazzante tentativo di chiederle il permesso. “Certo che non mi dispiace, e non devi chiedermi il permesso”.

      Lui fece spallucce. “Si, hai ragione. È solo che sei così grande ora. Entrambe siete cresciute così tanto. Mi sono perso alcune parti importanti della vostra vita”.

      Maya annuì leggermente, sebbene non sentisse il bisogno di aggiungere altro. Poi cambiò argomento. “È bello ciò che stai facendo per Sara. La stai aiutando. Sembra che ne abbia davvero bisogno”.

      Questa volta fu suo padre ad annuire leggermente, fissando il vuoto. “Farei tutto il possibile per lei”, disse malinconicamente. “Ma temo che potrebbe non essere abbastanza”.

      “Che intendi dire?”

      Zero bevve un sorso di tè freddo prima di spiegare. “La scorsa settimana siamo andati a cena, solo noi due, in un ristorante in centro. È stato bello. Abbiamo parlato. Sembrava tutto a posto. Quando è arrivato il conto, ho pagato con una banconota da cento dollari. E lì qualcosa è scattato; come un'ombra le ha attraversato gli occhi. L'ho vista guardare i soldi, poi la porta e …”

      Suo padre tacque, ma Maya non aveva bisogno che spiegasse ulteriormente. Ora capiva le parole di Sara; aveva davvero pensato di prendere i soldi e scappare. Non sarebbe andata lontano con solo un centinaio di dollari, ma probabilmente stava pensando a brevissimo termine. Voleva farsi una dose il prima possibile.

      “Sicuramente te ne sei accorta”, continuò suo padre, “l'appartamento è un po' spoglio. Non l'ho decorato con molte cose, perché…”

      Perché temi che potrebbe rubarle. Impegnarle. Scappare di nuovo. La CIA non lo aveva mandato da nessuna parte nel tempo in cui Sara aveva vissuto con lui, ma prima o poi lo avrebbe fatto, e a quel punto cosa sarebbe successo? Sara sarebbe rimasta semplicemente seduta ad aspettare il suo ritorno? O avrebbe cercato di fuggire, abbandonata a sé stessa e ai demoni del suo passato?

      “È molto peggio di quanto pensassi”, mormorò Maya. Quindi, risolutamente e senza pensarci due volte, aggiunse: “Rimarrò qui”.

      “Che cosa?”

      Lei annuì. “Rimango qui. Mancano solo tre settimane alle vacanze di Natale. Posso recuperare il lavoro. Starò qui durante le vacanze, tornerò a New York dopo Capodanno”.

      “No”, le disse Zero con fermezza. “Assolutamente no…”

      “Ha bisogno di aiuto. Ha bisogno di supporto”. Maya non era sicura di quale tipo di aiuto o supporto

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