Salvato Da Una Ninfa Marina. Rebekah Lewis

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Salvato Da Una Ninfa Marina - Rebekah Lewis

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loro madri. Aveva acquistato una posizione nella Marina, l’unica volta in cui aveva usato il nome e la fortuna della sua famiglia per fare qualcosa senza essersela guadagnata. Comunque, le guerre stavano diminuendo e lui non era mai stato mandato a compiere il proprio dovere, con suo grande disappunto. Voleva essere importante, ma la Marina Reale non aveva più bisogno di lui di quanto ne avesse suo padre quando era stato generato come ruota di scorta. Non aveva nient’altro con cui passare il tempo e per questo aveva finito per dilettarsi di contrabbando e costruirsi la propria fortuna. Per niente entusiasta della vita, aveva voluto un po’ di avventura e di pericolo, ma anche quello stava perdendo il suo fascino.

      “Niente da dire”, Underwood strascicò le parole. “Certamente, dovresti essere libero. Te lo devo. Ora che ho scoperto la tua identità e che avrò la tua nave, potrei metterci una pietra sopra se tu convincessi tuo padre a considerarmi il miglior pretendente per tua sorella.”

      Finalmente, la vera ragione di tutta questa sciarada era venuta alla luce. James scoppiò in una risata ed Underwood lo guardò con cipiglio. “Non sapevi nemmeno quale uomo avresti infastidito stasera, e adesso pensi che io potrei accoppiare la mia unica sorella con un bambino che vuole rubarmi la nave e ricattarmi? Sei veramente un illuso.” Quei maledetti nodi nelle corde rifiutavano di sciogliersi. Aveva ormai la pelle screpolata. Se non fosse riuscito a convincere il ragazzo a lasciarlo libero, sarebbe stato finito.

      Il monello si sporse in avanti, guardandolo male. Punse James leggermente nel petto con la punta della lama. “Avrò Wendelin in moglie, non farti illusioni. E’ stata una felice coincidenza che stasera il mio bersaglio fossi tu.”

      “Dovrai passare sul mio cadavere.”

      Il sorriso sul volto del ragazzo diventò più sinistro. “Con piacere.”

      Underwood fece un cenno ai suoi ragazzi, che circondarono James, e ciascuno gli diede un gancio in faccia o un pugno in pancia, fino a quando non rimase senza fiato e con spasmi ovunque. Quando finalmente lo slegarono, vacillò, respirando con difficoltà. Non era così che doveva andare la mia fuga. A un certo punto perse di nuovo i sensi, probabilmente a causa del fatto che la ferita originale alla testa era stata colpita ripetutamente quando era caduto a terra.

      ***

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      RITORNÒ IN SÉ SU UNA barca con Underwood e due dei suoi monelli. La costa al limitare della tenuta di Summerfield era a malapena visibile. Mio Dio, avevano intenzione di buttarlo in mare e lasciarlo annegare? Lottava per restare vigile. Aveva di nuovo le mani legate. Maledette corde!

      Underwood usò il pugnale per tagliare i legacci di James. La lama era affilata e non avrebbe avuto difficoltà a tagliare la corda spessa con un solo rapido gesto. Prima che James potesse reagire, i monelli lo afferrarono per le braccia e lo tennero stretto. Lui trasalì, forse si era rotto una costola o due. Lottava per respirare in questa nuova posizione.

      “Porgetemi la sua mano sinistra.”

      Poi, Underwood si inginocchiò davanti a lui ed alzò il pugnale con entrambe le mani in alto sopra la testa, mentre la manica di James veniva tirata indietro per rivelare la sua carne e la sua mano veniva tenuta saldamente oltre il bordo della barca.

      Improvvisamente si rese conto di cosa stava succedendo e spalancò gli occhi. Cercò di liberarsi dai ragazzi, ma le costole urlavano dal dolore e lui era debole per essere stato atterrato due volte in così poco tempo. Probabilmente aveva una commozione cerebrale.

      Non lo avrebbe fatto veramente, no? Underwood era poco più di un bambino. Un membro viziato dell’aristocrazia. Perché avrebbe dovuto...

      La lama spezzò di netto l’osso, con un unico colpo pesante. Il dolore non colpì James finché non si rese conto di cosa stava succedendo davanti ai suoi occhi. Mentre il sangue iniziava a sgorgare e la sua mano cadeva lontana dal suo polso, nel Mare del Nord, galleggiando per un momento prima di scomparire tra le onde, si morse le labbra per trattenere un grido, per non dare a nessuno quella soddisfazione.

      Ma Underwood non aveva finito.

      “Chiamiamolo una questione di fortuna, capitano Harlow. Se riesci a tornare a riva e sopravvivi, farai in modo che tua sorella mi accetti. Se non ce la fai, beh, sarai morto e troveremo comunque i documenti di cui abbiamo bisogno per la nave nel tuo studio, e io sarò lì a consolare la povera Wendelin al tuo funerale.” Si girò verso un ragazzo alto alla sua destra, che teneva la testa verso il basso e rifiutava di guardare James direttamente. “Cauterizzalo. Non sarà affatto un gioco, se sanguina nel momento in cui colpisce l’acqua.”

      Il dolore e la confusione lo resero insensibile ai movimenti dei ragazzi, mentre scaldavano una spada con una candela nella cabina della barca, per cauterizzare la sua ferita. Cosa aveva fatto di tanto terribile nella sua vita, da meritare che finisse in quel modo? Il contrabbando era illegale, ma nessuno era mai stato ferito sotto il suo comando. Avevano un cannone sulla nave, ma non avevano mai avuto una ragione per usarlo. Inoltre, Wendolin aveva la minima idea che questo pazzo conte aveva posato gli occhi su di lei? Dio mio, che orrori avrebbe fatto passare Underwood a sua sorella se fosse riuscito nei suoi intenti? Il calore intenso del metallo che bruciava contro la carne e i tendini lo risvegliò dalle sue preoccupazioni.

      Doveva combattere. Doveva sopravvivere. Per il bene di sua sorella. James sarebbe andato avanti ed avrebbe visto Underwood morto prima che sua sorella potesse anche solo restare sola con lui.

      Gli uomini lo gettarono fuoribordo. Nel momento in cui l’acqua salata penetrò nelle sue ferite, si permise finalmente di urlare, ma il suono andò perso nelle profondità marine.

      Combatti. Nuota!

      La sua camicia si gonfiò intorno a lui, un pallido sudario, mentre sprofondava nell’abisso accogliente.

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      Capitolo 2

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      C’erano giorni in cui vivere sotto le onde era meraviglioso ed eccitante. Oggi non era uno di quelli, perché Ione se ne era andata di casa. Veramente. Beh, era libera di andarsene se lo desiderava, ma non aveva intenzione di tornare nel Mare Egeo. Come molte delle sue quarantanove sorelle prima di lei, Ione alla fine ne aveva avuto abbastanza e aveva bisogno di spazio. La conseguenza di quel concetto era che l’oceano forniva un sacco di spazio.

      A volte fin troppo.

      In effetti, non sapeva proprio per certo in quale oceano o mare fosse finita, a furia di nuotare senza una meta, senza prestare attenzione ai dintorni, persa nei propri pensieri su cosa avrebbe fatto in seguito. L’acqua era molto più fredda che a casa, quindi era andata sicuramente a nord. O a nordovest. Avrebbe dovuto fare più attenzione...

      Mordendosi le labbra e guardandosi intorno, fece oscillare la coda dietro di sé fino a mettersi in verticale, poi guardò in su. Una piccola barca galleggiava sulla superficie. Gli umani erano

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