Il Cielo Di Nadira. Mongiovì Giovanni
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Читать онлайн книгу Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni страница 3
Venendo fuori dall’ufficio delle tasse, ubicato sul lato della casa, Umar tirò per i capelli biondo-ramati la testa del prigioniero e lo costrinse a guardarlo negli occhi. Per come quest’ultimo era livido in volto, quei due dovevano essersi sbizzarriti a malmenarlo.
Dunque furono a tu per tu, e nulla divideva quei fieri occhi neri dal fissare quegli occhi ancor più fieri ma verdi del prigioniero.
«E così hai creduto di potermi insultare e farla franca…» fece Umar.
Ma quell’altro non rispose; non perché non comprendesse l’arabo, ma perché qualunque parola sarebbe stata una parola inutile.
«Non vale la pena di starci a perdere tempo.» completò l’esattore.
Poi fece cenno col capo a uno dei due che glielo avevano riportato in legami, e questi, strappatagli del tutto la tunica, lo sferzò con una corda bagnata.
Gli abitanti del villaggio se ne stavano tutti lì, eppure nessuno aveva il coraggio di mettere piede oltre la recinzione del cortile. I gemiti abortiti in gola da quell’uomo non fecero più impressione dei rossori sanguigni che gli si andavano configurando sulla schiena.
Ognuno commentava con quello accanto che una cosa del genere non era mai accaduta al Rabaḍ. I familiari del tale si nascondevano invece tra la folla, avendo il buon senso e il pudore di non parlare. Gli unici assenti erano quelli della casa dell’esattore, madre, moglie e sorella, i quali preferivano non immischiarsi negli affari del capofamiglia.
Quando poi l’incaricato di quella tortura finì il suo servizio e lasciarono a sé stesso il giovane legato al palo, la folla ritornò alle sue mansioni. Lo lasciarono lì, in balia del freddo della sera e del gelo della notte.
Solo verso mezzanotte qualcuno ebbe la pietà e il permesso di portargli una coperta. Gli uomini di Umar lo lasciarono fare, capendo che passare la notte in pieno inverno e all’addiaccio tra i monti di Qasr Yanna sarebbe stato troppo per chiunque.
In molti videro quel giovane tremare e saltellare per tenersi in moto per gran parte della notte. Poi, al mattino, quando montarono il mercato tutto intorno al cortile, lo videro addormentarsi appeso per i polsi; sembrava una bisaccia legata ad un tronco d’albero. Qualcuno lo credette perfino morto, e addirittura se ne volle accertare mollandogli un ceffone.
Si fece di nuovo pomeriggio; adesso il condannato non mangiava e beveva da un giorno intero. Un gregge di capre calve stazionava nel cortile, belando e addentando fili d’erba. Quella cantilena di animali al pascolo fecero riassopire l’uomo legato a quella gogna, il quale aveva creduto che gli si stessero per rompere le ginocchia e per staccare i polsi... Poi, ad un certo punto, avvertendo una sorta di presenza, questi riaprì gli occhi; in effetti qualcuno se ne stava ad osservarlo già da un pezzo. A tre passi di distanza una ragazza lo fissava ad occhi spalancati. Occhi bellissimi, di taglio meraviglioso, mai visti dal più delle persone, ma che il condannato e tutti gli altri del Rabaḍ conoscevano. Occhi azzurri di un turchese così intenso da perdersi e mai più ritrovarsi; uno strano colore che sfumava verso l’esterno dell’iride in un blu scuro come le profondità del mare. Occhi capaci di causare la confusione delle menti e la dannazione dei cuori.
La ragazza vestiva un bell’abito verde a rifiniture gialle e blu di forma tipica delle genti del Nordafrica, e si teneva stretta al volto un lembo del velo al fine di nascondere le sue fattezze. L’aspetto fisico dal carattere esotico, così differente da quello degli indigeni dell’Isola, costituiva la base per l’opera incommensurabile dei suoi occhi, i quali risaltavano atipicamente. Un ricciolo ribelle sfuggiva dalla costrizione del velo rosso rivelando la tonalità bruna dei capelli.
Quando il prigioniero la vide, tornò a riabbassare lo sguardo, e quindi, ritornando a guardarla poco dopo, recitò lentamente:
«“Conosci tu, oh mio Signore, il cielo di Nadira, i confini dei suoi occhi?”»
Lei lo guardò smarrita e chiese:
«Come conosci queste parole?»
«Da che il Qā'id ha visitato questi luoghi, i versi di questa poesia si sono diffusi per tutto il villaggio e oltre.»
Perciò, fissandola con lo sguardo turbato, la supplicò:
«Slegami, Nadira, mia Signora, te ne prego!»
Ma lei sembrava impassibile, persa in quella richiesta che non riusciva ad accogliere.
«Non conosco i confini dei tuoi occhi, Nadira… ma posso spiegartene le origini se lo desideri… Dammi almeno un po’ d’acqua però...»
A ciò Nadira rientrò in casa senza voltarsi e senza dare peso a quella richiesta; il tintinnio delle cavigliere echeggiò per tutto il cortile mentre correva verso l’ingresso, tutta infreddolita a causa dell'abbigliamento troppo leggero e inadatto per stare fuori.
L’acqua non arrivò mai al condannato, ma appena Nadira mise piede dentro casa e vide Umar, suo fratello, starsene a contare denaro ad un tavolo, domandò:
«Che cosa ha fatto il cristiano perché tu gli riservi questo trattamento?»
Adesso non si copriva più il volto ed era chiaro come le sue labbra carnose e il suo naso perfetto contornassero armoniosamente i suoi occhi.
«Chi?»
«L’uomo legato al palo lì fuori.»
«La sua famiglia si è rifiutata di pagare la jizya5.»
Dunque Umar ritornò a contare il denaro al solito tavolo, credendo di averla liquidata con una sola frase.
«Si congelerà! Sono già due giorni che se ne sta legato a quel palo.»
«Da quando in qua ti sta a cuore la sorte degli infedeli?»
«Stamattina ho visto i tuoi figli giocare attorno a quell’uomo. Dovevi vedere come lo guardava la piccola!»
«Lo slegherò, sta’ tranquilla… ma un’altra notte al fresco non gli farà male.»
«Suvvia, Umar, stanotte si potrebbe gelare più di ieri.»
«Gli porteranno un’altra coperta. Non hai visto come non ho impedito che sua sorella gli prestasse aiuto?»
«“Umar il magnanimo”! Che ne pensi di questo nome?» fece sarcastica lei.
Al che lui sbuffò e con un gesto di stizza diede un colpo di braccio ad una pila di dirham6 d'argento guadagnati tra tasse e commercio.
«Ma io dovrei farmi insultare da quella gente?» domandò lui, alzando lievemente la voce.
«Hai detto che si sono rifiutati di pagare; che ne sai se non hanno potuto? Quella famiglia è la più povera dell’intero Rabaḍ. Ricordo come nostro padre spesso lasciasse perdere una tassa o un tributo