Il Cielo Di Nadira. Mongiovì Giovanni

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Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni

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Maimuna era lì per lei e per conto di suo fratello. Fu colta da ansia, apprensione e da una tensione tale che non riuscì più a parlare.

      «Nadira, cara, cosa ti turba?» le chiese Maimuna, accarezzandole una guancia.

      Jala, al contrario, avendo capito l’antifona ancor prima della figlia, era fuori di sé.

      «Nadira, sembra che i complimenti di Maimuna ti diano fastidio.» rimproverò la madre.

      «Perché sei qui?» chiese invece seria la ragazza, deglutendo.

      «Per appurare se quanto si dice su Nadira del Rabaḍ sia vero. Ti dispiace?»

      «No!» rispose la giovane, lasciando trasparire un sorriso nervoso.

      Era stato concordato tra Maimuna e il fratello che, se il giudizio sulla ragazza fosse stato positivo, quest’ultima avrebbe dovuto servire da mangiare agli uomini nell’altra stanza, e soprattutto il Qā’id direttamente dalle sue mani.

      «Ti pare che il Qā’id di Qasr Yanna venga al Rabaḍ senza motivo? Nadira, Ali sarebbe immensamente felice se tu di persona gli servissi da mangiare.»

      Non poco riluttante dentro di sé, non perché dissentisse dalla proposta ma per la serietà del gesto, Nadira si coprì il volto, prese dalle mani di una serva dei dolci fatti di mostarda mischiata a miele e senape e li portò nella stanza in cui gli uomini discutevano.

      Il Qā’id interruppe il discorso non appena vide Nadira avanzare verso di lui; era il segnale, la ragazza aveva passato l’esame di Maimuna.

      Umar rimase perplesso, tuttavia comprese immediatamente la ragione inerente alla visita del suo signore.

      Quando Nadira s’inginocchiò al cospetto del Qā’id e spinse la mano col cibo verso la sua bocca, l’altro le bloccò delicatamente il polso - tanto che lei temette di aver sbagliato qualcosa - la fissò intensamente negli occhi spalancati e cominciò a recitare:

      «Conosci tu quelle fonti d’acqua viva, pura e dal color zaffiro?

      Dove è possibile specchiarsi, scorgere la propria anima.

      Dove si dissetano gli aironi e le fanciulle si scoprono i capelli.

      Conosci tu, oh mio Grande, i confini del tuo regno?

      Conosci tu quel mare di sconvolgente meraviglia?

      Così profondo e ricco di pesci dalle pinne a scaglie.

      Così turchese e ciano e azzurro, dove si radunano le reti.

      Conosci tu, oh favorito del Supremo, i confini di Sicilia?

      Conosci tu quel cielo di incomparabile bellezza e innocenza?

      Da cui stilla pioggia nella stagione dei fichi primaticci e dei meloni.

      Grazie al quale si rinfrescano gli ibischi, la zagara e le rose.

      Conosci tu, oh mio Signore, il cielo di Nadira, i confini dei suoi occhi?»

      Sul viso di Nadira scesero rapide due lacrime, che andarono a nascondersi dietro il velo del niqab24. Non riusciva a spiegarsi come fosse possibile che la fama dei suoi occhi avesse oltrepassato i confini del Rabaḍ e addirittura fosse arrivata alle orecchie del Qā’id.

      «Hai mai sentito queste parole, mia cara?» domandò Ali, nonostante sapesse già che la risposta fosse negativa.

      «No, mio Signore. Ma dev’essere fortunata la Nadira a cui le hai dedicate.»

      Il Qā’id sorrise, essendo positivamente colpito dalla modestia della ragazza.

      «Quest’estate concessi udienza ad un poeta itinerante che era in cerca di una corte, un tale Mus’ab, e questi mi deliziò per due mesi con le sue doti poetiche. Un giorno mi decantò le lodi di un fiore di tale bellezza che finii per supplicarlo affinché mi dicesse di chi si trattasse. Quel fiore aveva un nome: Nadira; abitava al Rabaḍ ed era la sorella dell’‘āmil. I versi che ho recitato, mia cara, li ho soltanto imparati a memoria… il premio al genio va solamente al poeta Mus’ab, ma il premio alla bellezza di queste parole va a te. Tuttavia, se avessi visto i tuoi occhi prima di sentire queste parole, forse avrei punito Mus’ab per la sua presunzione nel voler descrivere l’indescrivibile. Allah ha fatto di te l’ineguagliabile e l’inspiegabile, mia cara! Ho aspettato un mese, tutta la durata del Ramadan25, prima di venire a conoscere “il cielo di Nadira, il confine dei suoi occhi”, anche se ora mi rendo conto che quel confine non esiste.»

      Adesso Ali guardò Umar e gli disse:

      «Fratello, ti chiedo la mano di Nadira, a qualunque prezzo tu mi imponga.»

      Umar ammutolì e Nadira lasciò la stanza, comprendendo che la questione doveva essere affrontata dagli uomini.

      Umar in cuor suo acconsentì immediatamente, e gli avrebbe concesso Nadira pure senza un prezzo, visto che sarebbe diventato il cognato del Qā’id, tuttavia nascose le sue emozioni e il suo assenso affinché l’altro alzasse la posta. Ali assicurò di voler fare di Nadira una delle sue mogli e che non l’avrebbe trattata al pari di una concubina per via della sua provenienza popolare. Inoltre promise doni e benefici per l’intera famiglia. Umar in quel momento guardò Rashid, suo figlio maggiore di soli otto anni, e non poté fare a meno di pensare a come sarebbe cambiata in meglio la loro vita grazie agli occhi azzurri di sua sorella.

      Intanto Nadira era corsa a rifugiarsi nel luogo in cui andava da bambina, sotto la fronda di un grosso gelso sito nella proprietà della casa. Non comprendeva perché proprio a lei dovesse capitare qualcosa di così importante. Non si sentiva all’altezza, in quanto credeva di non aver fatto nulla per meritarsi le attenzioni del Qā’id ed una proposta di tale portata. Piangeva e tremava... quindi poggiò la schiena contro il tronco e, ad occhi chiusi, ricordò la causa degli avvenimenti del giorno odierno.

      Capitolo 3

      Estate 1060 (452 dall’egira) Rabaḍ di Qasr Yanna

      Era un venerdì e sotto il sole di mezzogiorno Nadira si recava al pozzo a sud del Rabaḍ con l’intenzione di attingere un secchio d’acqua; Fatima, la nipotina, l’accompagnava. Questa, vestita di rosso, portava un girocollo decorato a fantasie geometriche variopinte e tanti ornamenti pendenti sulla fronte e attaccati al copricapo, così come i berberi usano agghindare le fanciullette. Vi erano anche altre donne che andavano al pozzo, e si rideva e scherzava spensieratamente nonostante l’afa dell’ora più calda.

      Al termine del proprio servizio, le altre afferrarono tutte il loro secchio e intrapresero il tragitto verso casa. Rimasero indietro solo Nadira e Fatima.

      «Ho sentito dire che questo pozzo sia miracoloso.» esordì una voce maschile.

      Nadira, colta di soprassalto, mollò la presa della fune, lasciando cadere il secchio nel fondo del pozzo.

      Quel tizio, un giovane che portava una strana kefiah26 gialla arrotolata sulla testa, venne avanti agitando le mani e scongiurandola di perdonarlo per averle fatto

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