Il Cielo Di Nadira. Mongiovì Giovanni

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Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni

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style="font-size:15px;">      «Dicevo che questo pozzo è miracoloso… ed ora che ti sono più vicino me ne convinco ancor di più.»

      E sorridendo continuò:

      «Perché se non sei un angelo, spiegamelo tu quale creatura del Paradiso ho davanti.»

      «Solo la sorella del capo del villaggio, un uomo molto vicino al Qā’id.» spiegò le sue referenze Nadira, nel tentativo di dissuaderlo da eventuali cattive intenzioni.

      «Non devi temere nulla da me.»

      Perciò, accennando un inchino con le mani raccolte dietro la schiena, si presentò:

      «Mus’ab, poeta e medico.»

      «Lascia che parli con mio fratello e ti farò dare l’ospitalità che meriti, Mus’ab.»

      «Sei gentile, ma tutto ciò di cui ho bisogno credo di averlo già trovato.»

      «Hai bisogno d’acqua? Mio fratello non dissentirà dall’accordartene un secchio.» chiese innocentemente Nadira, immaginando che si riferisse al pozzo.

      Tuttavia quell’altro sorrise e spiegò:

      «Ho viaggiato molto nonostante la mia giovane età: da Bagdad a Grenada. Devo dire di aver visto molte volte occhi turchesi e occhi smeraldo, degni delle settantadue vergini promesse da Allah ai martiri. In Andalus ho trovato fanciulle di stirpe visigota con degli occhi simili ai tuoi… e tra i monti della Cabilia mi imbattei in donne con caratteristiche quasi identiche. Tuttavia, mai… mai… ho trovato un azzurro così intenso incastonato in un viso come il tuo. Il tuo aspetto tradisce la stirpe alla quale appartieni, per certo berbera, come evinco dalle vesti della bambina... E anche tra gli indigeni siciliani ho visto qualcuno che vanti occhi chiari, ma mai come i tuoi. Forse tuo padre è un indigeno? O forse tua madre? Da chi hai ereditato questa fortuna?»

      «Ti sbagli… per certo sei stato troppo tempo lontano da questa terra e cadi facilmente in inganno. Non esistono berberi, indigeni o arabi da queste parti, ma soltanto siciliani osservanti la parola del Profeta. È vero, tra i miei nonni e tra le loro madri vi furono delle donne indigene convertite ai dettami del Corano, come accadde in qualsiasi altra famiglia di credenti su quest’isola. Ma ciò è normale se si considera che a passare in Sicilia nei primi tempi furono per la stragrande maggioranza uomini, e solo successivamente vi passarono le famiglie che sfuggivano alle persecuzioni dei califfi e degli emiri d’Ifrīqiya. Ciò nondimeno, per quanto riguarda i miei occhi, perché mai qualcuno dovrebbe indagare su un imperscrutabile dono di Allah?»

      In quel momento il muezzin27 richiamò i fedeli alla preghiera del mezzogiorno. Nadira si voltò verso il Rabaḍ e il suo minareto, quindi si affrettò per rientrare.

      «Mia madre aspetta quest’acqua già da troppo tempo.»

      «Dimmi solo il tuo nome.»

      «Nadira.»

      «Nadira, scriverò dei tuoi occhi!» esclamò il forestiero.

      Già di rientro verso casa, tirando per la mano Fatima, Nadira maturò la certezza che Mus’ab si sarebbe presentato al cospetto di Umar per chiedere la sua mano. Tuttavia i giorni passarono e la certezza scomparve, finché i primi di ottobre fu chiaro l’effetto ben più importante che quell’incontro aveva provocato nello sviluppo del suo destino.

      Capitolo 4

      Inverno 1060 (452 dall’egira), Rabaḍ di Qasr Yanna

      Il viso di Corrado s’illuminava del rosso del tramonto, uniformandosi alle tinte molto vicine dei suoi capelli. Nadira era rientrata in casa già da ore, rifiutando l’aiuto che lui le aveva chiesto; da quel momento non si era fatto vivo più nessuno.

      Poi, proprio al tramonto, Corrado prese ad urlare delirante:

      «Umar, esci fuori! Esci fuori e veditela con me!»

      Ma una voce alle sue spalle, proveniente dall’ingresso del cortile, lo supplicò:

      «Ti prego, smettila!»

      E lui:

      «Nadira, vigliacca… è questa la tua pietà?»

      Quella voce alle sue spalle allora si identificò avvicinandosi al palo. Pure un uomo dell’esattore preposto alla guardia si avvicinò, ma questi lo fece minaccioso e intento a fargli pagare l’insulto nei confronti della sua padrona.

      «No, ti prego! È febbricitante… non sa quello che dice. Addirittura crede che io sia la promessa del Qā’id.»

      Nonostante le implorazioni di Apollonia, la guardia minacciò:

      «Un’altra parola e gli stacco la testa!»

      Apollonia piangeva, mentre a pochi passi lo fissava preoccupata.

      «Sono tua sorella. Guardami, Corrado, guardami!»

      Ma lui ruotava la testa convulsamente e continuava a mugugnare un suono indefinito.

      Apollonia dunque gli si gettò addosso in un abbraccio compassionevole. Corrado era l’uomo più alto del Rabaḍ e lei una delle ragazze più minute, perciò la testa della sorella si perdeva nel suo petto, lasciato scoperto dalla tunica strappata e dalla coperta sulle spalle.

      «Coraggio… coraggio… non durerà tanto.»

      «Sorella…» rispose lui a bassissima voce.

      «Finalmente mi riconosci!»

      «Da quanto tempo sei qui?»

      «Da sempre… da sempre, fratello mio. Sarei rimasta anche dopo averti portato questa coperta la notte scorsa, ma nostra madre mi ha costretto a rientrare.»

      «E loro dove sono?»

      «Nostro padre e nostra madre hanno paura dell’uomo del Qā’id, ed impediscono pure a Michele di venire fin qui.»

      «E tu, sorella?»

      «Io sono niente, la consistenza di una goccia di rugiada… a chi importa di me?»

      Corrado chiuse gli occhi ed ebbe in viso una sorta di spasmo, quindi le disse:

      «Vai a casa. Non senti com’è forte il sole a quest’ora?»

      La guardia intanto si era avvicinata nuovamente per impedire alla ragazza di prestargli aiuto.

      «Sta’ lontana da lui!»

      Apollonia si staccò da quell’abbraccio e rispose:

      «Ma non vedi che sta delirando? Non è stata sufficiente la lezione?»

      «Va’ a parlare con Umar… fosse per me lo avrei già liberato e sarei tornato a casa mia per starmene al caldo.»

      Apollonia corse allora verso l’ingresso della casa dei padroni. Quando perciò Umar venne avvertito e giunse sulla

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