Il Cielo Di Nadira. Mongiovì Giovanni
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Читать онлайн книгу Il Cielo Di Nadira - Mongiovì Giovanni страница 6
«Farò mandare dei doni per premiare la bellezza di questa casa.» soffermando comunque più di uno sguardo sugli occhi di Nadira.
I tappeti più belli e i cuscini più pregiati erano stati preparati in quattro e quattr'otto sul pavimento della stanza più grande, affinché vi si sedessero gli uomini per conversare tra loro. Nelle cucine era stato perfino riacceso il tannūr19 per cuocere le focacce, mentre i giovani correvano alla sorgente più vicina per portare acqua fresca e corrente agli ospiti. Si sedettero tutti attorno al centro della stanza, mentre le donne di casa invitarono Maimuna ad unirsi a loro da un’altra parte, sul retro, sotto una sorta di tettoia delimitata da una siepe formata da rose.
Una fila di donne della servitù cominciò a portare il cibo, frutta, ma anche dolciumi al miele, pane, datteri appena raccolti e succo di melograno. A questo punto, il Visir, lisciandosi la barba dalla strana forma a punta, cominciò con le sue riflessioni e domande tecniche sulla gestione del villaggio:
«Il luogo è piacevole e la gente è devota al suo Qā’id; va a te il merito?»
«Va ad ogni abitante del Rabaḍ e al giogo piacevole riservato loro dal nostro amato Qā’id.»
«Quali sono i numeri della coscrizione del giund20?»
«Quarantuno uomini, già armati.»
«I dhimmi ti sono sottoposti?»
«Vi è una sola famiglia di cristiani… contadini tra i più mansueti.»
«Una sola? Altrove, nell’iqlīm21 di Mazara, i cristiani sono raggruppati in comunità, seppur spesso modeste.»
«I predoni… avete subito attacchi?» chiese a questo punto Ali ibn al-Ḥawwās.
«Non subiamo attacchi dai tempi di mio padre. L’ultimo si ebbe quando Jirjis Maniakis imperversava sulla costa orientale, vent'anni or sono. Perché me lo chiedi, mio Signore?»
«I sudditi di Mohammed ibn al-Thumna, mio cognato, non sono così mansueti come gli abitanti di questo villaggio… e il Rabaḍ è un fragile avamposto ai piedi di Qasr Yanna, dove risiedo.»
«Dobbiamo prepararci a qualcosa, mio Qā’id?»
«Ti dico solo di organizzare la guardia e un pronto fuoco di segnalazione per dare l’allarme alle nostre sentinelle.»
Sotto la tettoia, all’aperto, Jala intanto intratteneva la sua illustre ospite con lo stesso trattamento riservato al fratello. Sedute su degli sgabelli conversavano di frivolezze e banalità.
«A quando il parto?» chiese Maimuna a Ghadda, fissandole l’addome.
«Fra tre mesi… Inshallah22!»
«E tu… Nadira… è davvero inusuale trovarti ancora in casa di tua madre. È forse la piccolezza di questo villaggio la causa per cui non annoveri corteggiatori?»
«A dire il vero, mia Signora, vi sono stati molti corteggiatori… ma Umar ha ritenuto che non siano degni.»
«Della tua bellezza? Tuo fratello ha ragione.»
«Non ho nulla che la metà di te non abbia.»
Allora Maimuna si scoprì i polsi svoltando le maniche; apparvero delle cicatrici, appena rinsaldate e ancora piene di rossore.
«Non hai queste che invece ho io...»
Nadira e le altre la guardarono perplesse, pensarono subito che la sorella del Qā’id si fosse tagliata le vene. Ma Maimuna spiegò:
«Non pensate che io sia una peccatrice; è stato qualcun altro a farmi segare i polsi.»
«Chi, mia Signora?» domandò con quasi le lacrime agli occhi Nadira, la quale quel giorno portava un piccolo dipinto a forma di palma sul mento, un lavoro minuzioso fatto con l'henné23.
«Mio marito, Mohammed ibn al-Thumna, Qā’id di Catania e Siracusa.»
«Perché, mia Signora? Che gli hai fatto?» chiese ancora Nadira, sporgendosi in avanti e afferrandole le mani.
«Esiste qualcosa per cui una moglie vada trattata così?»
Nadira quindi lasciò la presa, sentendo la risposta quasi come un rimprovero.
«Appartenevo ad ibn Meklāti, già signore di Catania, con cui ero sposata, ma Mohammed gli tolse la vita e gli rubò la città e la moglie. E come se non bastasse l’infamia di essere sposata all’assassino del mio primo marito, Mohammed volle farmi questo regalo facendomi tagliare i polsi allo scopo di dissanguarmi. Inoltre, sapete come mio fratello si sia fatto da schiavo a Qā’id con le sue mani… e per questo Mohammed non faceva che ricordarmi il mio stato di plebea.»
«Appartieni ancora al Qā’id di Catania, mia Signora?» domandò Ghadda.
«Mi chiese perdono quando smaltì la sbornia del vino della sera prima… poiché Mohammed fa parte di coloro che bevono e si danno agli eccessi e poi se ne dolgono e pentono il giorno dopo. Io comunque chiesi di potermi recare da mio fratello e lui me lo concesse… ma se non fosse stato per il giovanotto della servitù che mi volle salvare, io oggi non sarei qui a discorrere con voi, sorelle care.»
«Non temi a tornartene da lui?»
«Non tornerò, con la certezza di non rivedere più i miei figli… ma non tornerò!»
«Sei coraggiosa!» esclamò Ghadda.
«Non sono coraggiosa, sono solo la sorella del Qā’id di Qasr Yanna. Se fossi stata una delle donne di questo villaggio per certo sarei tornata da buona moglie.»
«E tuo fratello non ti rimanderà indietro?» intervenne perciò Jala, stupita per il fatto che Maimuna sperasse che il fratello potesse appoggiarla in quel comportamento a suo parere indecente.
«Ali me lo ha giurato.»
Vi fu un attimo di silenzio, come se l’aria fosse carica di preoccupazione per il gesto della donna.
«Nadira, sorella, tuo fratello fa bene a non concederti a chiunque. Hai visto i miei polsi? Hai visto la fine a cui si va incontro quando si finisce tra le braccia dell’uomo sbagliato? E poi tu meriti molto… molto di più di quello che restando al Rabaḍ potrebbe capitarti. Gli uomini comuni non ti meriterebbero, figliola.»
«Chi potrebbe interessarsi ad una ragazza del popolo?»
«Perfino un illustre Qā’id!» fece con rapidità insolita Maimuna, come se aspettasse di dare quella risposta sin dall’inizio.
Nadira rise modestamente, quindi disse:
«Non restano molti qā’id importanti in Sicilia, eccetto tuo marito, tuo fratello