Non resta che scappare. Блейк Пирс

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Non resta che scappare - Блейк Пирс Un thriller di Adele Sharp

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sarebbe stato un atteggiamento troppo familiare. Un’email allora? Troppo impersonale. Una telefonata?

      Adele esitò un momento e allungò la mano per prendere l’asciugamano e asciugarsi i capelli. Una chiamata poteva essere carina. Si asciugò poi lungo il fianco, sussultando ancora per il graffio.

      Alcune ferite guarivano lentamente. Ma altre volte era meglio evitarle a priori, le ferite. Forse era meglio che non telefonasse a John.

      La stanchezza le pesava sulle spalle mentre si dirigeva in camera da letto. Tre ore di straordinari, a compilare carte e a giustificare il motivo dello sparo, ora si stavano facendo sentire.

      Era un pensiero orribile, ma Adele stava iniziando a sperare di avere presto un caso in Europa.

      Magari qualcosa che non facesse troppo male a qualcuno. Giusto qualcosa che la tirasse fuori dalla California per un po’. Fuori da quel piccolo e angusto appartamento. C’era troppo silenzio. Per alcune persone, il rumore di altri esseri umani che si muovevano attorno, che si godevano le loro vite, era un rumore ristoratore. Teneva alla larga certi sprazzi di solitudine.

      Adele sospirò ancora ed entrò nella sua stanza, preparandosi per andare a letto. Si sistemò una benda sul graffio e cercò di cacciare via ogni pensiero di astio nei confronti del suo nuovo partner. Si infilò a letto e rimase ferma lì qualche minuto.

      In passato, lei ed Angus guardavano la TV prima di addormentarsi. A volte lui leggeva un libro, raccontandoglielo a voce alta riga per riga, in modo che anche lei se lo potesse sentire. Altre volte stavano solo lì abbracciati a parlare per ore prima di appisolarsi.

      Ora però c’era solo lei lì sdraiata. Niente TV. Niente libri. Solo silenzio.

      CAPITOLO TRE

      Melissa Robinson salì i gradini dell’appartamento canticchiando sommessamente tra sé e sé. In lontananza sentiva le campane della città. Si fermò per ascoltare e il suo sorriso si fece più grande. Abitava a Parigi da sette anni ormai, ma quel suono non la stancava mai.

      Imboccò l’ultima rampa di scale. Niente ascensori in questi appartamenti. Gli edifici erano così vecchi. Pieni di cultura, pensò tra sé e sé.

      Sorrise ancora e salì i gradini uno alla volta. Non c’era fretta. La neo-arrivata che doveva incontrare aveva detto alle due. Era le 13:58. Melissa si fermò sul pianerottolo, guardando fuori dalla grande finestra che lasciava vedere la città sottostante. Non era cresciuta a Parigi, ma quel posto era bellissimo. Adocchiò le vecchie strutture in pietra ingiallita di certi edifici che erano più vecchi di alcuni Paesi. Notò lo schema geometrico di alcuni appartamenti e locali e strade che si incrociavano nel cuore della città.

      Con un altro sospiro soddisfatto, Melissa raggiunse la porta al terzo piano e bussò delicatamente sulla cornice. Passarono alcuni istanti.

      Nessuna risposta.

      Continuò a sorridere, sempre ascoltando le campane e poi girandosi ancora a guardare fuori dalla finestra. Da lì si vedeva la piccola guglia di Sainte-Chapelle che si stagliava all’orizzonte.

      “Amanda,” chiamò con voce delicata e gentile.

      Ricordò la prima volta che era venuta a Parigi. Le era sembrato tutto così travolgente. Sette anni fa, un’espatriata dall’America che si sistemava in un nuovo Paese, in una nuova cultura. La gente che bussava alla porta era stata una distrazione ben accetta al tempo. Melissa sapeva che molti dei suoi amici nella comunità di espatriati facevano fatica ad adattarsi alla città. Non era sempre così amichevole di primo acchito, soprattutto non per gli americani, o per ragazzi in età da college. Ricordava i primi due anni passati in un campus in America. Era stato come se tutti avessero voluto essere suoi amici. In Francia la gente era un po’ più riservata. E questo era il motivo per cui lei dava una mano a organizzare il gruppo.

      Melissa sorrise ancora e diede un altro colpetto alla porta. “Amanda,” ripeté.

      Ancora nessuna risposta. Esitò, guardando da una parte e dall’altra del corridoio. Mise la mano in tasca e ne tirò fuori il telefono. Gli smartphone andavano benissimo ed erano comodi, ma Melissa preferiva qualcosa più in vecchio stile. Diede un’occhiata al vecchio telefono a conchiglia e notò l’ora sullo schermo. Le 14:02. Scorse i messaggi e lesse di nuovo l’ultimo che Amanda le aveva mandato.

      “Sono contenta di vederti dopo. Diciamo alle due? Non vedo l’ora di far parte del gruppo. È difficile farsi amici in città.”

      Il sorriso di Melissa divenne più esitante. Ricordò l’incontro con Amanda: un incontro casuale in un supermercato. Erano andate subito d’accordo. Le campane sembravano essersi fatte più lontane adesso. D’impulso, Melissa mise la mano sulla maniglia e la provò. Girò. Un click e la porta si aprì.

      Melissa rimase a guardare.

      Avrebbe dovuto assicurarsi di avvisare Amanda che era pericoloso lasciare la porta così aperta in centro. Anche in una città come Parigi, la cautela veniva prima della sicurezza. Melissa esitò un poco, presa da una crisi di coscienza, ma poi, alla fine, aprì la porta del tutto spingendola delicatamente con l’indice.

      “Ciao,” disse, rivolta all’appartamento buio. Forse Amanda era fuori a fare la spesa. Magari si era dimenticata del loro appuntamento. “Ciao, Amanda? Sono io, Melissa, del forum…”

      Nessuna risposta.

      Melissa non si considerava una tipa particolarmente impicciona. Ma quando si trattava di americani a Parigi, provava un certo senso di affinità. Quasi come se fossero parte della sua stessa famiglia. Non le sembrava tanto di fare l’intrusa, quanto di verificare che una sorella minore stesse bene. Si rassicurò mentalmente, giustificando la decisione tra sé e sé prima di entrare nell’appartamento della donna che aveva incontrato solo una volta in vita sua.

      La porta scricchiolò ancora quando lei la urtò con il gomito, facendola aprire ancora di più. Esitò e le parve di sentire delle voci che provenivano dal fondo del corridoio. Sporse la testa nuovamente verso l’esterno, guardando in direzione delle scale.

      Una giovane coppia stava salendo. La notarono, ma invece di salutarla o farle un cenno della testa, continuarono a chiacchierare allegramente. Melissa sospirò e tornò nell’appartamento. Poi rimase immobile. Il frigorifero era aperto. Uno strano fascio di luce gialla usciva dallo scomparto, illuminando il pavimento della cucina.

      Amanda era lì. Seduta sul pavimento, rivolta verso la parete opposta. La schiena era mezza appoggiata alla credenza, una scapola premuta contro il legno, l’altra che sporgeva oltre la struttura del mobile, il braccio sinistro appoggiato sul pavimento.

      “Ti è caduto qualcosa?” chiese Melissa, avanzando di più nella stanza buia.

      Sotto al braccio sinistro di Amanda c’era una pozza di vino. Melissa fece un altro paio di passi e si voltò a guardare Amanda, sempre sorridendo.

      Il suo sorriso si irrigidì. Gli occhi privi di vita di Amanda la guardavano. Sul collo si apriva un profondo squarcio. Il sangue rappreso le macchiava la maglietta e si era poi riversato sul pavimento, dove si era addensato sul linoleum.

      Melissa non gridò. Sussultò e basta, le dita tremanti che tentavano di trovare il suo inalatore. Barcollò verso la porta, afferrando l’inalatore con una mano e tirando fuori il telefono con l’altra.

      Dopo qualche spruzzata d’aria, emise un gemito gorgogliante e digitò le cifre 1-7 sul suo cellulare a conchiglia, per chiamare la polizia.

      Sempre

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