Il Volto della Follia. Блейк Пирс
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“Sì,” disse Shelley, ridendo. “E per comodità e spirito di compagnia. Perché è una cosa piacevole. E poi gli uomini cacciano in branco, quindi perché noi non dovremmo fare altrettanto?”
Zoe dovette ammetterlo, Shelley non aveva tutti i torti. Nascose un sorriso e si appoggiò a un fasciatoio libero e ripiegato, tenendosi più in disparte possibile in quello spazio ridotto. Intravide il suo riflesso in uno specchio collocato accanto alla porta, non riconoscendosi per un istante. Le cure della dottoressa Applewhite avevano esaltato i suoi occhi, e al suo fisico, che spesso pensava fosse mascolino, senza fianchi o petto da mettere in mostra, erano state conferite curve fittizie dal taglio del vestito. In qualche modo, persino i suoi capelli corti apparivano più dolci e femminili questa sera, bilanciati da orecchini pendenti con pietre rosse che sentiva pesanti ed estranei.
Una alla volta, le altre donne finirono di specchiarsi e tornarono in sala, e quando Shelley uscì dal suo cubicolo le due erano rimaste sole.
Shelley iniziò a lavarsi le mani, guardando Zoe in modo da introdurre la conversazione alla quale stava chiaramente mirando. “Stai andando davvero bene,” disse, chiudendo il rubinetto.
“Davvero?”
Shelley la guardò con la coda dell’occhio mentre si asciugava le mani con un asciugamani di carta monouso. “Lo sai bene anche tu. Ma è giusto dirtelo. Sono orgogliosa di te. Quando abbiamo lavorato insieme la prima volta, non avrei mai pensato che saresti stata in grado di fare qualcosa del genere.”
Zoe doveva ammettere che aveva ragione. “Io non avrei neanche mai pensato di desiderarlo, figuriamoci di esserne in grado.”
“Beh, allora sono felice che tu abbia cambiato idea a riguardo,” disse Shelley, finendo di asciugarsi le mani e mettendosi di fronte a lei. “Sei bellissima, Zoe. Mi piace questo tuo nuovo look.”
Zoe sorrise, sentendo un rossore sconosciuto farsi strada sulle sue guance. “C’è voluta un po’ di pratica,” disse, fermandosi appena prima di ammettere di aver avuto anche bisogno d’aiuto. Diede una rapida occhiata a Shelley: era sempre perfettamente truccata ed elegante. I suoi capelli biondi erano raccolti in un chignon leggermente più sofisticato del solito, con curve e boccoli che apparivano complicati, e le sfumature rosa pallido sulle sue palpebre si abbinavano al tessuto del suo abito discreto ma comunque capace di mettere in risalto la sua figura. Insomma era, come sempre, perfetta per l’occasione.
“Beh, la pratica ha dato i suoi frutti,” disse Shelley, raccogliendo la sua borsetta da dove l’aveva posata, accanto al lavandino.
Zoe, rendendosi conto che il momento giusto per restituire il complimento era passato, andò in panico per un secondo prima di decidersi a farlo comunque. “Anche tu stai davvero molto bene.”
Shelley la ricompensò con uno sguardo raggiante, dando al suo riflesso un’ultima occhiata generale prima di voltarsi di nuovo verso Zoe. “Non sono niente male per essere una mamma, eh?”
Zoe stava per dirle che fosse di gran lunga meglio di “niente male” – e per intavolare l’argomento di John e il fatto che volesse soffermarsi per parlare con lui da sola non appena fosse terminata la cena – ma un paio di trilli risuonarono nella stanza, quasi esattamente nello stesso istante, interrompendo la loro conversazione.
Zoe e Shelley si scambiarono uno sguardo. Quel suono era venuto dalle loro borsette – quella di Zoe le era stata prestata dalla dottoressa Applewhite perché si abbinava al suo vestito – e precisamente dai loro cellulari. C’erano soltanto due possibili spiegazioni perché entrambe avessero ricevuto un messaggio nello stesso istante. La prima era che fosse in atto una qualche sorta di emergenza di stato o nazionale e che ne venissero avvisate dal presidente.
La seconda era che fossero state richiamate in servizio per lavorare a un caso.
Zoe pregò che si trattasse di un’emergenza che non avrebbe messo fine alla loro cena, ma ovviamente lei non credeva in Dio, e qualsiasi divinità che udiva una preghiera da parte di un ateo molto probabilmente avrebbe fatto il contrario per dispetto. Tirarono fuori i rispettivi telefoni, leggendo entrambe lo stesso messaggio: Chiamare il prima possibile l’Agente Speciale al Comando Maitland per istruzioni.
Shelley sospirò. “Suppongo che questa serata stesse andando un po’ troppo bene per essere vera.”
Zoe si morse il labbro, pensando a John seduto lì fuori che l’aspettava, e si domandò quanti giorni sarebbero passati prima di poterlo rivedere.
CAPITOLO QUATTRO
Zoe esitò appena fuori il tozzo e squadrato monolita di cemento che era il J. Edgar Hoover Building. Per gli altri, era una brutta opera di architettura che ricordava più la Russia della Guerra Fredda che la gloria Americana. Zoe ne apprezzava le linee e l’uniformità degli interni e degli esterni, ma in quel momento anche lei desiderava trovarsi da qualsiasi altra parte.
“Adesso ci divertiremo un mondo,” borbottò Shelley, abbottonandosi un po’ di più la giacca in modo che coprisse il suo vestito.
Zoe, che non aveva neanche portato una giacca, era incline a concordare. In questo preciso momento, avrebbe dovuto essere impegnata a parlare con John, discutendo del futuro della loro relazione e forse prendendo decisioni che le avrebbero garantito abbastanza felicità per un bel po’ di tempo. Invece, lei e Shelley stavano per attraversare un intero edificio pieno zeppo di loro colleghi in abito e trucco da sera, un’esperienza un po’ troppo simile all’idea di inferno di Zoe.
Avevano appena oltrepassato la porta d’ingresso e stavano aspettando l’ascensore, quando venne rivolto loro il primo commento. Johnson, un agente con la lingua lunga per non dire di peggio, attraversò con aria spavalda il corridoio, dirigendosi verso di loro. “Seratina piccante, signore?” domandò, puntando il dito contro di loro. “È bello che finalmente ammettiate le vostre tendenze.”
Shelley alzò gli occhi al cielo. “Sono felicemente sposata, Johnson. Con un uomo.”
“Oh,” disse Johnson, fingendosi scioccato. “Non mi aspettavo una tale omofobia dal duo femminile del Bureau.”
“Non sono omofoba, sono soltanto …” Shelley sospirò, chiudendo gli occhi per un istante prima di continuare con un tono più calmo. “Non sono lesbica. E Johnson? Fammi un favore, vai a farti fottere.”
Zoe si lasciò quasi sfuggire un sorriso. Non era assolutamente divertente essere prese in giro dai loro colleghi, soprattutto considerando che il più delle volte lei non capiva i riferimenti e le sfumature, ma era comunque uno spasso vedere Shelley turbata da qualcosa. Era qualcosa di diverso, e nonostante Zoe non volesse assolutamente vedere Shelley restarci male, le ricordava che fossero entrambe esseri umani.
Accompagnate da una scia di apprezzamenti e commenti su qualsiasi dettaglio, dalle scarpe ai capelli, le due donne riuscirono infine a raggiungere la porta dell’ufficio dell’Agente Speciale al Comando Maitland. Shelley si fermò un istante, raddrizzando le spalle e spostando all’indietro una ciocca di capelli, prima di bussare.
“Avanti.”
La voce tonante di quell’uomo era uno dei fattori che rendevano minacciosa la sua figura, al pari della sua taglia. Leo Maitland, con il suo metro e novanta centimetri, non si limitava a essere alto: era anche grosso, con bicipiti di trentotto centimetri che sfidavano la sua