La Vicina Perfetta. Блейк Пирс
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Andando verso la cucina, non incontrò anima viva. Tutte le luci in casa erano spente, il che le dava l’impressione che gli inquilini non ci fossero, e avessero quindi solo dimenticato di chiudere la porta in modo appropriato. Posò il vino sull’isola della cucina, trovò una penna e scrisse un breve messaggio su un post-it lì vicino, appiccicandolo poi sulla bottiglia.
Leggermente delusa, imboccò di nuovo il corridoio per tornare verso l’uscita, ma la sua curiosità fu nuovamente stuzzicata. Quando raggiunse l’ingresso dell’ampio salotto, non poté fare a meno di entrarvi per osservarlo meravigliata: sembrava che la stanza fosse stata presa e portata qui direttamente da Cape Cod.
Prissy stava pensando di tirare fuori il telefono e fare qualche foto, in modo da poter rubare qualche idea, quando sentì un rumore nell’angolo della stanza. Si voltò e notò che il suono veniva da dietro una grossa pianta. Per un momento, pensò di aver spaventato un animale che si stava nascondendo per restare al sicuro.
Ma poi, in un’improvvisa esplosione di movimento, un uomo scattò da dietro la pianta e corse verso di lei con un’espressione di oscura intensità in volto. Prissy fu pervasa da un’imprevista ondata di panico. Avrebbe voluto gridare, ma aveva la gola completamente secca. L’uomo stava venendo dritto verso di lei. Alla fine Prissy riuscì a tornare in sé, sentendo il respiro pesante e rapido del suo assalitore.
Scattò nel corridoio, correndo verso la porta. Ma correre con le ciabattine da spiaggia era difficile e dopo pochi passi Prissy perse l’equilibrio e cadde sul pavimento. Si rimise in piedi, con una infradito in meno. Il rumore dei pesanti passi alle sue spalle le fece esplodere l’adrenalina in corpo.
Stava per raggiungere la maniglia, quando si sentì spingere con forza contro la porta. Tra la spinta e lo slancio che già aveva, vi sbatté addosso violentemente, accasciandosi poi sul pavimento, senza fiato. Prima di potersi riprendere, sentì qualcosa che le si stringeva attorno al collo.
Cercò di infilarci sotto le dita, ma non ci riusciva, e l’uomo stava stringendo sempre più, tirandola nel corridoio, lontano dalla porta. Prissy gli crollò addosso ed entrambi caddero con un tonfo sul pavimento. Ma l’uomo non lasciò la presa.
Tra l’ondata di adrenalina, il fiato mozzato per la botta contro la porta e il collo ora così strozzato, Prissy sentiva che tutto il suo corpo tentava di urlare, anche se nessun suono le poteva uscire di bocca. Fece roteare le braccia tentando di colpire il suo aggressore con una gomitata alle costole, almeno per fargli perdere la presa. Ma sentiva che già stava perdendo conoscenza e che i suoi gomiti non erano in grado di produrre un solido impatto.
Non posso morire così!
Il pensiero le si accese nella mente mentre vedeva delle luci intermittenti che iniziavano ad annebbiarle la vista. L’idea la spaventò tanto da spingerla a un ultimo disperato tentativo di scuotersi l’uomo di dosso. Ma ormai era troppo tardi.
CAPITOLO DUE
Jessie Hunt si alzò dal tavolo della cucina senza sussultare visibilmente.
Raccolse i piatti di tutti e andò al lavandino per sciacquarli. In quanto peggiore cuoca del gruppo, era sfuggita alla preparazione della cena. Ma questo significava che era la lavapiatti ufficiale. Normalmente era uno scambio onesto, ma da quando aveva subito le più recenti ferite, stare china sul secchiaio era una sfida. E riporre i piatti nella lavastoviglie era spesso causa di silenziose lacrime.
Sentiva ancora il bruciore per le scottature alla schiena di tre settimane prima. Ma riusciva a non darlo a vedere. Né il suo compagno Ryan, né la sua sorellastra Hannah sembravano notare la sua attuale notevole sofferenza.
Si era procurata le bruciature nel salvataggio di una donna dalle grinfie di un uomo disturbato che l’aveva rapita e rilasciata intenzionalmente giorni dopo, solo per tornare poi a casa sua con l’intenzione di ucciderla. Jessie e la donna erano riuscite a scappare per un pelo dalla casa in fiamme. Da allora Jessie era stata in congedo dal Dipartimento di Polizia di Los Angeles, prima bloccata in ospedale, e ora nel proprio appartamento.
Sapeva che così non andava bene. Prendeva un sacco di antidolorifici. Il medico le aveva detto di non abbassare il dosaggio per un altro mese. Ma lei aveva iniziato a calarli di sua volontà una settimana fa, in parte per la preoccupazione di diventarne dipendente. Ma c’era anche un altro motivo. Doveva stare allerta.
Il giorno successivo a quello in cui si era procurata le ustioni, mentre si stava riprendendo in ospedale, il suo ex marito Kyle Voss era stato liberato dalla prigione. Si trattava dello stesso ex marito che era stato incarcerato per aver assassinato la sua amante, aver tentato di incastrare Jessie con l’accusa di omicidio e avere poi tentato di fare fuori anche lei quando se ne era resa conto.
Eppure in qualche modo il pubblico ministero all’accusa nel caso di Kyle aveva recentemente confessato la propria mala condotta per gestione inadeguata di alcune prove. Ovviamente Jessie sapeva come si fosse verificato quel ‘in qualche modo’. Kyle aveva stretto amicizia con una gang in prigione associata con il famigerato cartello della droga Monzon. Successivamente, i membri del cartello avevano minacciato la famiglia del pubblico ministero. Jessie ne era certa. Il suo amico dell’FBI, l’agente Jack Dolan, ne era sicuro quanto lei. Purtroppo non avevano modo di provarlo.
Quindi, mentre Jessie se ne stava nel suo letto d’ospedale a riprendersi dalle sue ustioni, un giudice aveva rimesso in libertà Kyle Voss, addirittura scusandosi con lui in tribunale. Kyle aveva fatto al suo solito lo splendido. Aveva tenuto una conferenza stampa ammettendo di essere ‘ben lungi da una persona perfetta’ e affermando la propria intenzione di voltare pagina, avviando addirittura una fondazione per la raccolta di fondi in aiuto ai prigionieri condannati ingiustamente.
Quello che Kyle non aveva ammesso – e che Jessie sapeva, ma non poteva provare – era che mentre era stato in prigione, aveva intrapreso una campagna per distruggere la vita e la reputazione dell’ex moglie. Era cominciato tutto con piccole cose, come farle tagliare le gomme dell’auto da un membro del cartello. Poi era passato a far mettere dei farmaci anti-psicotici nell’auto del suo compagno, a fare una chiamata anonima ai servizi sociali affermando che lei stava abusando di Hannah – di cui aveva la custodia –, ad hackerare le sue pagine social, postando commenti razzisti e anti-semitici. Quest’ultima manovra, nonostante fosse stata smascherata, stava ancora avendo le sue ripercussioni sulle relazioni lavorative di Jessie e sulla percezione che di lei aveva il pubblico.
La ciliegina sulla torta era stata una composizione di fiori inviatale in ospedale con il messaggio che il mittente l’avrebbe presto incontrata. Considerato che Kyle aveva già tentato di ucciderla e aveva detto a un informatore in prigione che voleva ‘squartarla come un maiale e farsi un bagno nel suo sangue caldo’, Jessie aveva deciso che valesse la pena di provare un po’ di dolore di più calando gli antidolorifici, se questo le avrebbe permesso di essere più vigile.
Era di aiuto che il suo compagno, che si era recentemente trasferito a vivere con lei e Hannah, fosse un decorato detective del Dipartimento di Polizia di Los Angeles, che aveva tutto l’aspetto di poter sconfiggere un toro infuriato in un incontro di lotta libera. Ryan Hernandez, il migliore investigatore della Sezione Speciale Omicidi (HSS) al dipartimento, era alto un metro e ottantacinque per novanta chili di solidi muscoli. Jessie a volte aveva l’impressione di essersi messa insieme alla propria guardia del corpo, anche se adesso non sembrava proprio così.
“Comodo?”