Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi
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§ 7. Di una lettera del R. Delegato di Massa e Carrara.
§ 8. Minaccie d'incendii e di saccheggi.
§ 9. Corruttela delle milizie laugeriane, e di tutte in generale, e accusa del giuramento.
§ 10. Perchè il Generale Laugier si partisse da Massa.
XXVIII. Mio disegno; motivi che lo persuasero, ed espedienti per conseguirlo.
XXIX. Del giudizio pronunziato sul mio operato dal Decreto del 7 gennaio 1851.
XXX. I giorni 11, 12 e 13 aprile 1849.
XXXI. Di una Sentenza della Corte Speciale di Parma del 1831.
AVVERTENZA.
Le agitazioni popolari trasmodando in Italia nel 1848, siccome avviene in tutti i movimenti politici, tenevano inquieti gli animi delle classi più agiate, tanto più insofferenti di tumulti quanto meno abituate alla vita politica degli Stati liberi.
La Toscana, agitata anch'essa, sperò maggior quiete nel Ministero del 26 ottobre; e comunque il desiderio si spingesse oltre il possibile, tuttavia la parte più intelligente e spassionata riconobbe singolarmente in F.-D. Guerrazzi l'uomo che il ristabilimento dell'ordine voleva e si adoprava per conseguirlo.
Penetrato dei suoi doveri di Ministro Costituzionale, egli pose rara solerzia nel conciliare lo elemento democratico con il Principato Rappresentativo, al quale ebbe l'ossequio e l'affetto che quei doveri e la sua coscienza gl'imponevano.
Penetrato del bisogno di dare alla Italia la sua Nazionalità, secondò con ogni sforzo in questo fine santissimo i chiari voleri del Principe, e si adoprò ad un ingrandimento dei singoli Stati entro i limiti del possibile.
Lasciati varii Stati, ed il nostro fra questi, a loro stessi nel 1849, in un momento nel quale sarebbe stato forse più che in altri tempi necessario ogni sforzo dei Poteri costituiti a risparmiare disastri, tutti gli uomini intelligenti e spassionati si congratularono che vi fosse al Governo cotesto Uomo, il quale, lottando vivamente con le irrompenti moltitudini, e gl'impeti furiosissimi degli estremi Partiti, impedisse i gravissimi danni che minacciavano.
Ad esso, al suo non comune coraggio, alla non comune intelligenza sua nelle cose politiche, si attribuiva la salvezza del Paese.
Ed invero, riavutosi dallo stupore del non aspettato abbandono del Principe, egli non risparmiò nè fatiche nè vigilie, nè schivò pericoli, per salvare il Paese dalla guerra civile e dall'anarchia, nelle quali cotesto avvenimento fu per gettarlo.
Venne restaurato l'antico Governo, e la Commissione Municipale sembrò che per un momento riconoscesse i benefizii da lui resi al Paese e allo stesso Governo ch'essa restaurava: se non che, fatto di poco più stabile l'antico ordine politico, i benefizii andarono dimenticati, anzi furono compensati con un Carcere di Stato, e poi con una accusa di Perduellione!
Alla voce della coscienza pubblica fu anteposta la querela di certo officiale di polizia, oscuro e peggio (ora processato per falsità, e dichiarato di perdutissima fama[1]), il quale divenne l'attivo agente nella compilazione di un Processo giunto ormai alla mostruosa mole di dieci grosse filze e varie migliaia di pagine.
Così l'Uomo di chiara fama letteraria, e del quale Italia, non che Toscana, si onora; l'Uomo che con esporre vita e salute riuscì a salvare il suo Paese, era costretto a difendersi ed a lottare nella fangosa arena dei Processi Criminali; conflitto diseguale, sostenuto per una parte dall'Accusato chiuso in strettissimo carcere con la smarrita o confusa memoria dei molti fatti che in mezzo al trambusto popolare erano avvenuti nell'Amministrazione Governativa, costretto a rendere conto dei mezzi esaminati singolarmente, senza che gli venisse apprezzato il fine raggiunto; dall'altra, dal tristo Accusatore libero, e forte di mille braccia che facevano a gara per sovvenirlo.
Venuti a fine, dopo ben 25 mesi, la immane mole del Processo ed i lavori dell'Accusa, fu il tempo del difendersi. Comunque lo intiero Processo dovesse compilarsi per gli ordini del Senato, era almeno a sperarsi che, se ciò non era stato osservato, almeno il giudizio dovesse rinviarsi a quella suprema Magistratura. Ma non fu così: fin qui i veri Giudici sono stati negati, e conviene rispondere ad atto di Autorità incompetente. Primo elemento