curiosi e tristi pagati poi coi danari dello Stato; quivi notificano la partenza del Principe, la sua condotta calunniano, il suo nome vituperano, la sua decadenza decretano, il Governo provvisorio proclamano, una mano di plebe è spinta contro l'Assemblea per imporle la sua volontà. In questa i Deputati si adunavano per udire le comunicazioni del Ministero. Invano il Presidente Vanni, avvertito poche ore innanzi, prevedendo saviamente i pericoli della seduta, propose la riunione del Comitato segreto; Guerrazzi si oppone, dicendo volere seduta pubblica; non temesse il Presidente, perchè le disposizioni erano prese per tutelare la libertà della discussione; invano alcuni Deputati la proposta del Vanni rinnuovano; invano il Presidente torna ad invitare il Ministero a condursi nella sala delle Conferenze per tenere tranquillamente una discussione preparatoria; Guerrazzi e Montanelli vi si ricusano pertinaci. Si apre alfine la seduta pubblica. Montanelli salito in tribuna annunzia la partenza del Principe da Siena, e legge le granducali lettere. Non era terminata la lettura, quando il Popolo da un lato irrompe minaccioso e fremente nelle tribune, dall'altro 13 o 20 forsennati invadono l'emiciclo, preceduti da un cartello, dove a grandi caratteri stava scritto: Governo provvisorio — Guerrazzi — Mazzoni — Montanelli. Niccolini antesignano degl'invasori presa la parola bandisce: decaduto il Principe, le Camere sciolte, il Governo provvisorio deliberato dal popolo padrone; l'Assemblea vi aggiunga per formalità il suo voto: altramente guai! — Il Presidente alla strana intimazione risponde: vietata la parola ai non Deputati; se il popolo ha petizioni da presentare, le depositi, la Camera si ritirerebbe, e le prenderebbe in considerazione; al che fieramente Niccolini soggiunge: non essere quella petizione, ma comando del popolo al quale la Camera deve obbedire. Plaudono i tristi con minaccie e con urli; il Presidente seguito da alcuni Deputati si ritira nella sala delle Conferenze; il tumulto continua; Niccolini salito in tribuna legge il decreto del Circolo intorno alla decadenza del Principe. Guerrazzi invitato per la terza volta a recarsi nella sala delle Conferenze risponde: «Io non mi muovo di qui perchè non ho paura del Popolo.» Montanelli pregato dal Tabarrini a sedare il tumulto replica: «non è più in mia mano farlo.» Si sentono minaccie di morte ai Deputati che si assentassero. Vanni ritorna nella pubblica sala cedendo al timore, incussogli dal Montanelli, di guerra civile e di strage. — Riapertasi la seduta, Guerrazzi legge il Processo verbale dettato nella notte dai Ministri, concludendo deporre il potere per lasciare il paese a sè stesso. Incomincia un simulacro di discussione alla presenza degl'Invasori e dei Tumultuanti, dopo la quale, sotto la coazione evidente della forza maggiore, la Camera delibera un Governo provvisorio, senza determinarne lo scopo nè le attribuzioni, nominando a comporlo le persone indicate dagli agitatori che lo avevano imposto, e finalmente si scioglie al grido del Montanelli: «Se Leopoldo di Austria ci ha abbandonato, Dio non ci abbandonerà!» I Faziosi, conseguito lo intento, conducono gli eletti sotto le Logge dell'Orgagna, dove, per attestare fiducia al popolo, e confermarlo nella presa deliberazione, arringando dicono: — fuggito il Principe, — falso pretesto lo scrupolo di coscienza allegato, — motivo vero il desiderio di dare luogo all'anarchia e alla guerra civile.... — rammentasse il Popolo i suoi diritti.... Dio avere scritto sotto i merli del ballatoio di Palazzo Vecchio la parola Libertas, perchè il Popolo dopo tanti secoli vi rientrasse padrone. Ciò fatto, i Triumviri salgono in palazzo, il Circolo si ritira a Santa Trinita imprecando a Leopoldo secondo, e acclamando la repubblica. Il Governo, per mostrarsi grato ai suoi partigiani, invita per mezzo del Guerrazzi il Circolo a tenere la sua adunanza nel salone del Palazzo Vecchio nella sera del 9 febbraio, come di fatto avvenne, e a spese dello Erario vi fu festeggiata la partenza del Principe, vilipeso il nome, applaudito il Governo provvisorio, preparata la instituzione della Repubblica; nè qui si ristette, chè, ricompensando coloro che avevano violentato il Consiglio generale, promosse Mordini a ministro degli Esteri, Ciofi gestatore del cartello nell'emiciclo mandato a Siena, Dragomanni cancelliere della legazione toscana a Costantinopoli; Niccolini ricompensato con danari (da Guerrazzi ebbe dieci scudi!). Da questi fatti emergono fino di ora bastanti argomenti a convincere, che il Governo dell'8 febbraio ed i suoi principali aderenti avevano artificiosamente preparata, o per lo meno accettata coi suoi criminosi caratteri la rivoluzione, considerando abolito lo Statuto da essi giurato, e reputandosi commessi non già a mantenere il potere conferito alla persona del Principe secondo il diritto universale in casi analoghi, ma sì a consolidare le basi della Rivoluzione.» —
Per ora basti fin qui, chè il rimanente sarà tema doloroso della speciale Difesa.
IV.
Confronto del metodo praticato dall'Accusa con le dottrine del Guizot.
Questo metodo presenta i caratteri indicati dal Guizot? Furono accumulati fatti a me estranei? Fui immerso dentro una atmosfera vaga e indefinita dove non si trova la strada per uscirne? Si espose la storia, o piuttosto la novella dello stato del paese, e delle pubbliche disposizioni, per appuntarmela al petto? Fuori dei fatti dell'accusa speciale non fu egli costruito uno edifizio per rovesciarmelo sul capo? Ebrei con Sammaritani mescolaronsi o no? La Chimera favolosa non si doveva vedere ridotta a verità nei Documenti della Accusa? La lunga rete non si strascinava per tratto largo di mare onde pescare di tutto un po' ai miei danni; fatti estranei, induzioni, rumori plebei, calunnie, rabbia di partiti, sofismi, per invilupparmici dentro? Non si è prima tentato di stabilire una cospirazione diretta a distruggere la Monarchia Costituzionale, e poi si è detto: ecco il colpevole?
È stato fatto anche più; dopo avere con faticosa solerzia raccolto un cumulo di pietre destinate a lapidarmi, ad un tratto me lo hanno mostrato, e incominciando a gittarmele contro la persona soggiunsero: difendetevi! — Al punto stesso però mi negarono gli atti della mia Amministrazione[5] capaci a chiarire le condizioni toscane in cotesti tempi quali erano, e gli sforzi supremi da me adoperati per mantenere i popoli alla devozione della Monarchia Costituzionale, che l'Accusa pretende da me insidiata mai sempre, e la ragione, anzi pure la necessità, delle opere incriminate. — Difendetevi! — Ma in mezzo alla bufera rivoluzionaria, fra tremende perplessità, e incessanti terrori, che da un punto all'altro subbissasse la società, per ispossatezza, e per vigilia febbricitante, avevo io modo di notare i singoli casi? Quando si apre una via all'acqua nel corpo della nave, bada egli il pilota quale delle sartie le schianti la tempesta? — Come rammentarsi di tutti i successi, che varii, moltiplici, infiniti, si tenevano dietro con ispaventevole rapidità? Chi conosce a nome le migliaia delle persone che mi passavano davanti, in ispecie se si consideri che da tempo breve io avevo stanza a Firenze? E conoscendole ancora, come ricordarmene dopo spazio sì lungo di tempo? Perchè non concedermi le conferenze co' segretarii miei, e con le persone che mi circondavano, onde potere instituire ricerche a difesa, come l'Accusa le instituiva laboriosamente e per anni ben lunghi ad offesa? — Difendetevi! — Ma se mi legate le mani, se mi chiudete la bocca, se da due anni e più mi tenete iniquissimamente in carcere segreta, come ho a fare per difendermi io? — Difendetevi! — Ma se le testimonianze avverse al concetto, che vi tramandate dall'uno all'altro stereotipato, non curate; se, giudicando della mia amministrazione, gli archivj della mia amministrazione a voi e ad altrui chiudete; se invece di dissetarvi a cotesta fonte viva, correte dietro a rigagnoli di acqua fangosa; se i documenti e i riscontri non leggete; se le deduzioni rigorose di logica aborrite, a che e come mi difenderei io davanti a voi? Invece di distinguere confondete, vero a falso mescolate, la progressione dei tempi invertite; gli stessi errori, le medesime enormezze, anzi pure le stesse parole da un Decreto all'altro (funesto augurio di non possibile difesa) trasportate; e con quale cuore poi voi mi dite: — Difendetevi? —
Invocherò il diritto, che m'insegna il Guizot nella opera citata, ma nessuno mi ascolterà. Questo diritto consiste «nel pretendere, che la mia colpa sia cercata là dove io mi trovo, e fabbricata con le mie proprie azioni; si esaminino i fatti che a me si referiscono, e nei quali sostengo una parte.»
Il Pubblico Ministero con l'Atto di Accusa del 29 gennaio 1851, come di già notava, seguitò lo esempio dei Decreti che lo hanno preceduto, anzi intristiva quello che già appariva tristissimo, e sarà dimostrato. Anche al Ministero Pubblico, anzi a