Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi. Francesco Domenico Guerrazzi

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Apologia della vita politica di F.-D. Guerrazzi - Francesco Domenico Guerrazzi

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uno Stato potente. Politica di Enrico IV e del successore Richelieu, fu mantenere Italia e Germania deboli, epperò divise. Da Richelieu in poi, sembra agli uomini di Stato francesi, che nè sia mutato nulla, nè nulla sia da mutarsi, e poi si vantano non pure amanti, ma promotori del progresso. Da questo tengansi avvertiti i corrivi ad abbandonarsi alle lusinghe francesi. Di Lamartine ho parlato; mi sono taciuto degli altri, perchè temeva che lo inchiostro nero mi diventasse sopra la carta rosso per la vergogna. Intanto in Germania di Francia non curano, e in Italia così bene si adopera, che essa vi perde ogni giorno autorità, vi acquista odio. Molti mali ci vennero dalla Monarchia francese, ma spettava alla Repubblica, dopo avere sospinte le voglie dei Popoli oltre ai confini del giusto, affaticarsi ardentemente a spengere anche i sospiri della libertà. Qui vi è progresso d'iniquità, e nessuno può impugnarlo. Ma questo non è tema da svolgersi qui; a me basti avere indicato, che la rivoluzione francese fu causa di commovimento in Toscana.

      Le rivoluzioni lombarda e veneta nei petti già infiammati raddoppiarono l'ardore della guerra. Fra tutte le nobili imprese nobilissima, fra le sante santissima, la guerra della Indipendenza. I Germani, discendenti generosi dello antico Ermano, certo non condannano in altrui i sensi che gli han resi nelle pagine della storia immortali. Seme di guerra perpetua è dominio di Popolo sopra un altro Popolo: allora la necessità rende il dominatore ingiusto, il soggetto violento; la pace, togliendo, si perde: la storia è lì con le sue tavole di bronzo per insegnare come le conquiste costino troppo più del guadagno che procacciano, e all'ultimo si perdono: una sola maniera ci presenta la storia capace di occupare permanentemente il paese vinto, ed è la conquista normanna. I vincitori si fermano nella Inghilterra, e a mano a mano distruggendo gli Anglo-sassoni, si sostituiscono al Popolo disperso. In altro modo non pare che si possa; però che neppure i Romani durassero a tenere la rapina del mondo, nè i Longobardi la Italia, nè i Saraceni la Spagna, nè i Greci l'Asia, e degli altri popoli conquistatori chi vivrà loderà il fine. Nonostante, se come Italiani a noi riusciva impossibile rifuggire dalla guerra, come Toscani ci appariva piena di eventi dubbiosi. Vincendo Austria, era da aspettarci la sorte che ci è capitata addosso: vincendo Piemonte, poteva forse credersi che saremmo stati assorbiti.

      A compimento di rovina sopraggiunsero i disastri della guerra italiana. Nella sventura l'uomo diventa maligno. I Lombardi, e con essi parecchi Italiani, dubitarono della fede di Carlo Alberto; di tradimento sospettarono; inaspriti pensarono non aversi a riporre speranza nel Principato. Napoli, mormoravano, ritirare i soldati dal campo, Toscana procedere con fiacchi provvedimenti, Torino farsi rompere in battaglia a disegno. Mostruosa opinione era questa ultima, eppure propagata, e creduta nei ciechi impeti di passione smaniosa. Allora ottenne seguito nell'universale il disegno d'invertire il concetto politico: invece di giungere per mezzo della guerra allo assetto federativo della Italia, vollero con la istituzione dell'unica Repubblica arrivare al conseguimento della Indipendenza.

      Qui pertanto in Toscana convennero infiniti Lombardi, e li premeva cocente la cura di ricuperare la patria diletta; cagione legittima ad ogni più arrisicato consiglio. Nè si creda, che facinorosi essi fossero: all'opposto erano uomini distinti per dottrina, per natali, e per ricchezze, benvoluti come fratelli, come infelici compianti, da per tutto ammirati a modo di magnanimi propugnatori delle patrie libertà. La Emigrazione lombarda dimorava in Firenze come corpo organizzato sotto il governo di un Consiglio dirigente;[8] possedeva pubblicisti, ingegneri, e ufficiali superiori del Genio; fondò un Giornale La Costituente, e lo pubblicava, come si diceva, a scapito; divenne padrona di parecchi altri, che indirizzava al medesimo fine; acquistò aderenze, partigiani, ed amici; finalmente propose armare ed armò compagnie di Bersaglieri.[9] E' fu forza accettare la offerta concepita in termini dittatoriali, e accomodarsi a comprare un padrone, secondo ch'è fama gridasse Diogene, esposto in vendita sul mercato; per l'appunto come al Ministero Capponi fu mestieri arruolare 720 prodi componenti la legione della Indipendenza Italiana, e più se ne venivano;[10] e, trapassando a cose maggiori, come fu mestieri a Carlo Alberto condurre generali a modo altrui, rompere lo armistizio inopportunamente, e combattere battaglia intempestiva.

      Alla Emigrazione lombarda aggiungi parecchi uomini calati giù dalla vicina Romagna, gente manesca, arrisicata molto, alle baruffe avvezza, ed al sangue, Siciliani, Napoletani, Polacchi, ed altri cultori ardentissimi di sconfinata libertà; privi di patria, cupidi di ricuperarla.

       Tumulti quando incominciassero.

       Indice

      Contro al vero manifesto è supposto dal Decreto, che l'agitazione apparisse sul declinare del 1848. Ufficio solenne di ogni storico è scrivere la verità, massime poi s'egli ordisca storie per gli effetti criminali. L'agitazione precede lo Statuto; crebbe dopo per le ragioni già discorse; finalmente diventò irresistibile quando il Principe partendo le lasciava libero il campo. Chi mi sa dire in qual giorno preciso fu rotta la guerra contro l'Austria? Se io non erro, incominciava, non declinava con l'anno 1848. — Crede egli il Decreto, che il Principe nostro adoperasse spontaneo il diritto che gli appartiene per l'Articolo 13 dello Statuto di dichiarare la guerra? No, egli nol crede. Taccio dei titoli dimessi, facile sacrifizio; ma non si renunziano spontaneamente gli affetti della propria famiglia, non le si muove nemico mentre ella versa nel massimo pericolo, non le si porge la spada per ferirla invece della mano per soccorrerla, non si distrugge un appoggio sicuro per andare in traccia di fortune minaccievoli, o per lo meno dubbiose. Prova ella è questa di agitazione veementissima contro la quale consiglio non vale; prova di forza, che strascinava, ineluttabile, conosciuta da quanti vivono al mondo: forza, che travolse antichi reami, e re, e Popoli come paglie davanti al turbine; alla quale, si pretende, che io solo potessi, dovessi, e in tutto, resistere, e sempre. Ora questa guerra, sopra ogni altra causa, fu motivo di sconvolgimento nel Popolo, così che fra i tumulti guerreschi, la confusione degli apparecchi, e gli animi concitati a tremenda febbre, tacevano le leggi, sbigottivano i Magistrati, disfacevasi lo Stato.

      Io troppo bene mi accorgo che sorriderà la gente di questo mio affaticarmi a portare acqua al mare; ma poichè l'Accusa, contro la verità, nel fine riposto di sostenere che l'agitazione sorse nel declivo del 1848, per potermene dichiarare benignamente fomentatore, dissimula i fatti, importa restituirli alla genuina loro cronologia.

      Nell'ottobre 1847 fu distrutta la Polizia. Il Municipio fiorentino, con la Notificazione del 28 ottobre 1847, deplora il fatto del giorno innanzi, suscitato dalla brutalità dello sbirro Paolini, e dichiara che il Popolo mutò un nobile sentimento di compassione in atti violenti.

      Tumulto in Firenze per la occupazione e atroci atti commessi a Fivizzano. Popolo vuol correre in massa in Lunigiana. Il Ministro Ridolfi, coartato a scendere in piazza, promette che il Governo si farebbe rendere conto delle commesse iniquità. La Patria dell'11 novembre 1847, per questa volta anch'essa trova «che cotesti fatti atroci avevano commosso tutte le anime oneste

      Il Governo, costretto dalla volontà del Popolo, manda gente a Pietrasanta per cagione di Fivizzano. Compagnia di Granatieri, accolta dal Popolo ai cancelli della Fortezza, è scortata dal Popolo fuori di Porta. La Patria nobilita il Popolo accorso, «quella parte di Popolo, che certuni male chiamano minuta, mentre è parte operaia, nè grossa o minuta come ogni altra parte di Popolo, il quale nome comprende tutti quanti, eccetto il Principe; la parte operaia del Popolo spontaneamente empì le vie della Fortezza: altra gente pure accorse spontanea.» Patria, 15 novembre 1847.

      Nel novembre del 1847, per la strage di un caporale, il Popolo a Livorno tumultua; vuole in sue mani lo uccisore per istracciarlo; il Delegato Zannetti è bistrattato; più tardi percosso, spinto in carcere, e cacciato via.

      Sommosse popolari a Livorno nel mese di decembre successivo, di cui terrò altrove ragionamento.

      La Patria nel 18 gennaio 1848 annunzia: «che una forte agitazione, e potente e irresistibile commuove tutta la Italia

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