Abissinia: Giornale di un viaggio. Giuseppe Vigoni
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E come penso ricorrere alla matita per meglio chiarire quello che forse la mia penna non saprà abbastanza bene descrivere, sento dovere di porgere qui i miei più sentiti ringraziamenti agli amici U. Dell'Orto, G. B. Lelli, G. Servi, A. Valdoni, che interpretando il mio Album di ricordi presi dal vero, vogliono aiutarmi a preparare i disegni che formeranno certo la miglior parte di questo volume.
CAPITOLO I.
Origine della spedizione.—Partenza.—A bordo.—Alessandria e Cairo.—Ziber pacha.—A Suez.—Nel Mar Rosso.—Suakin.—Sul postale egiziano.—Arrivo a Massaua.
Fu nel settembre del 1878 che per la prima volta vidi farsi concreta la speranza di un viaggio in quell'interessante e misterioso paese che per doppia ragione fu detto Continente Nero.
Era un coraggioso industriale nostro, il comm. Carlo Erba, che aveva ideato di armare una spedizione, che, tenendo la linea di Kartum, Galabat, Gondar, Goggiam e possibilmente lo Scioa, scendesse poi al Mar Rosso, esplorando commercialmente quelle contrade: io l'avrei seguita colla pura veste del dilettante. La cosa doveva farsi se non misteriosamente, almeno tranquillamente, sperando riportare grate sorprese, e non disillusioni per coloro che troppo facilmente si lasciano trasportare dagli entusiasmi che nascono per simili imprese in paesi, nei quali come da noi, non vi si è abituati. Ma la cosa entrò presto nel dominio del pubblico, i giornali ne parlarono, si propose una società per sottoscrizioni. Erba rinunciò generosamente all'interesse proprio nella speranza di un bene avvenire pel suo paese; fu costituito un Comitato, alla presidenza del quale fu chiamato a sedere lo stesso Erba; fu decretata la spedizione che naturalmente assunse ben maggiori proporzioni. Mi seduceva assai più il primo disegno, ma l'occasione parvemi favorevole, l'itinerario seducente, quindi, avanti, dissi a me stesso, forse è giunto il giorno di realizzare uno dei più bei sogni della mia vita.
Dalle cognizioni assunte leggendo libri sull'Africa e studiando un pochino i viaggi che vi furono intrapresi, capisco che il còmpito di esploratore non è pane pei miei denti. O farlo bene o non farlo: essere ufficiale, ma non semplicissimo ed ignoto soldato del piccolo esercito di volontarii che tentano da ogni lato di avanzare per quelle ignote terre. Si esplora in grande colla fede, il tempo, la pazienza di Livingstone o coll'ardire e i mezzi fisici e materiali di Stanley: si esplora in piccolo essendo geografo, naturalista, od avendo in qualsiasi ramo l'arredo di cognizioni necessarie onde si possa portare un obolo qualunque alla scienza: sempre poi dev'essere guida la più profonda abnegazione. Io non ho questi requisiti, e per di più e per buona fortuna ho tali vincoli d'affetto che mi legano alla famiglia, che non mi permettono di fare viaggi dei quali è imprevedibile la durata, nè di avventurarmi in paesi dove ogni comunicazione si richiuderebbe dietro i miei passi. Approfitto dunque dell'occasione di una spedizione puramente commerciale per visitare l'Abissinia che molto mi interessa, e farmi un preciso concetto di questi paesi quasi vergini e selvaggi: del come vi si viaggia, delle peripezie che vi si incontrano, degli usi e costumi degli abitanti, della loro ricca flora e fauna. Chi sa che la fortuna non mi sorrida! che le grandi cacce non mi siano propizie! che per tutta la vita non abbia a portar meco buona memoria e soddisfazione di quanto mi decido a fare!
Procurati i libri e le carte che mi pareva potessero tornarmi utili, mi diedi ai preparativi d'oggetti materiali, che furono tutti racchiusi in cassette tali da potere per peso e dimensioni formare, con una il carico di un portatore, con due quello di un mulo e con quattro quello di un camello. Armi e munizioni come un po' di pratica mi insegnava, buone flanelle, abiti forti e comuni, scarpe che ricordano l'alpinista, qualche provvigione da bocca, qualche farmaco, e molta fede in Dio che nulla mi faccia mancare, e conservi sempre bene chi col cuore lascio in Italia: famiglia ed amici. E non dimentichiamo uno dei più importanti elementi, cioè disposizione a sofferenze e privazioni di ogni genere, come pure ad incorrere in disinganni su tutta la linea.
Così armato, il 17 novembre lasciavo il lago di Como con quanto ho di più caro al mondo, per avventurarmi nel nuovo pellegrinaggio.
In un interessante suo libro, disse un amico mio, che il più bel giorno di un viaggio è quello della partenza: a me spiace d'essere in questo di parere diametralmente opposto al suo, trovando che lo è invece quello del ritorno: e la miglior conferma la trovo in questo, che specialmente trattandosi di viaggi lunghi e avventurosi, il giorno della partenza si vedono lagrime sugli occhi di chi se ne va e di chi resta, al giorno del ritorno è spontaneo il sorriso della consolazione sulle labbra di chi torna e di chi aspetta: da questo lato durante l'assenza hanno sofferto tutti: eppure sapendo di soffrire e di far soffrire, si parte; e qui il dovere imporrebbe che chi si rese colpevole se ne giustifichi dando ragione del suo operare, ma a questo non mi resta che domandare che mi si dica cos'è il fascino, ed ancor io allora, lo spero, sarò perdonato. Una naturale inclinazione mi porta a leggere libri di viaggi: fra tutti, le avventure di chi toccò l'Africa sono quelle che maggiormente mi divertono, mi esaltano, mi interessano, mi fanno nascere il desiderio d'esserne non solo giudice, ma attore: sento che è, e sarà un vuoto nella mia esistenza se non tento almeno di diventarlo; l'irrequietudine diventa di me padrona, non sono più io che decido di partire, è una forza misteriosa che mi ci spinge, sono i due poli di forza elettrica che irresistibilmente si attraggono, il fascino dell'Africa, la forza misteriosa che mi domina.
La sera del 21 lasciavo l'incantevole golfo di Napoli a bordo dell'Egitto, vapore di Rubattino, con un temporale indiavolato che dalla coperta del bastimento non ci concesse neppure di dare l'ultimo addio a questo lembo di paradiso disceso nella crosta terrestre. Al mezzogiorno del 22 si gettavano le ancore davanti a Messina che appena si ebbe il tempo di visitare alla sfuggita, perchè alle quattro si ripartì, lasciando a terra due giovani sposi francesi che inebbriati dall'amore o dall'incanto del paesaggio, scordarono l'ora destinata a proseguire per la loro meta, il Cairo. L'elica riprende il suo continuo e monotono girare, e ciascuno dei passeggeri cerca ragione per scambiare qualche parola con chi per parecchi giorni è obbligato a menar vita comune. Per vero dire io non sono molto entusiasta della vita di mare; è bella, ma monotona, e a bordo di un bastimento sono tante le circostanze che devono concorrere a renderla veramente aggradevole, che ben difficilmente si può avere la fortuna di trovarvele tutte riunite. Vi sono però sempre dei bei tipi che vi divertono o vi interessano, e per noi italiani, che siamo sì poco avvezzi al viaggiare, v'ha spesso da stupire o da imparare. Era, per esempio, con noi una gentilissima signora belga, vedova di un inglese, che non avendo visto da due anni suo figlio impiegato in Birmania, vi si recava con due sue ragazze, a fargli una visita, colla stessa indifferenza come se la farebbero da noi due signore nel fissato giorno di ricevimento. Una famiglia di Californesi, padre, madre e figlia, che partiti da S. Francisco, passando per Nuova York, approdarono in Europa, la attraversarono tutta fino in Russia, scesero in Italia, andavano in Egitto, passeranno poi per le Indie, la China il Giappone e torneranno così, a Dio piacendo, a casa loro, fieri di aver fatto il giro del mondo, certamente però più in fretta che bene. Un giovane Marocchino, stabilito per affari a Genova, coll'elegante suo costume: era mussulmano, e ordinando la sua religione che non si può cibarsi di carni d'animali uccisi da mani per loro impure, ci offriva ogni giorno il divertimento di farsi carnefice dei bipedi e quadrupedi che ornati d'intingoli, preparati da mani cristiane, assaporava poi molto abbondantemente quando ve lo chiamava il suono del sospirato campanello. Un giovane Tedesco che si recava a cercar salute in più miti aure, ma, forse più pauroso che ammalato, ci divertiva colle sue continue agitazioni vedendo capovolgersi il bastimento ad ogni colpo di vento, una tempesta in ogni nube e la sera fanali di vapori che venivano ad investirci, in ogni stella. Qualche altro passaggero e il buon capitano Martino, vecchio lupo di mare, senza complimenti, ma tanto franco e cordiale.
La mattina del 26 ci schieravamo fra