Abissinia: Giornale di un viaggio. Giuseppe Vigoni

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Abissinia: Giornale di un viaggio - Giuseppe Vigoni

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popolavano il porto di Alessandria. Non eravamo ancora completamente fermi e la coperta era invasa da quella massa di arabi chiassosi che parlando qualche frase di tutte le lingue vi si offrono come facchini, come battellieri, come agenti dei diversi alberghi: sono insistenti, nojosi, impertinenti se volete, ma la bellezza del cielo, la novità dei tipi e dei costumi, la contentezza del riveder terra, vi fa dimenticare tutto quello che potrebbe essere noja; e trovate bello persino il chiasso che vi fanno d'attorno, e la poca civiltà dei modi coi quali cercano di impossessarsi di voi e del vostro bagaglio.

      Rivedo questo bel paese, lieta memoria del mio primo viaggio in Oriente, e subito ritrovo qualche buon amico con cui passo un pajo di giornate, e il 28 parto pel Cairo, dove da una settimana si trovano Matteucci e Ferrari, due dei compagni di viaggio: conoscevo già il primo, ora strinsi la mano al secondo: è abbastanza difficile l'intima convivenza di questi lunghi viaggi, ma subito trovai in Ferrari un uomo di carattere tanto leale, e di modi e d'aspetto tanto simpatici, che dal primo vederlo non dubitai saremmo stati buoni amici per sempre, e non mi sono ingannato.

      Circa la nostra spedizione, trovai un importante cambiamento nell'itinerario: invece di raggiungere Gondar passando per Kartum e Galabat, vi si andrà per Massaua e Adoa, seguendo, se si potrà, l'altra via nel ritorno.

      Da quando vidi Cairo la prima volta, trovo che ha perso moltissimo: i quartieri europei con grandi fabbricati a portici, e l'elemento europeo che si va infiltrando nei quartieri arabi, sono certo a maggior comodo di chi vi abita, ma a grave discapito dell'originalità del paese. Il Kedive crede erigersi un monumento di gloria facendo della sua capitale una seconda Parigi, ma parmi invece che rovini un paese, e oso dire una civiltà cui si poteva togliere quanto v'ha di barbaro, rispettandovi però quanto v'ha di bello e di caratteristico.

      Andai cercando un magnifico viale fiancheggiato da sicomori dove ogni giorno mi recavo a godermi degli splendidi tramonti che dietro le lontane piramidi infuocavano l'orizzonte: era uno di quegli spettacoli indescrivibili che ricreano lo spirito e innalzano la mente, ma che non v'ha penna, nè pennello, nè fantasia che possano ritrarre, e mi trovai invece rinchiuso in una via fiancheggiata da grandi fabbricati, e allo sfondo sorgeva un prosaico e fumante camino da opificio. Povero Oriente come ti vestono da Arlecchino! Fra poco cercheranno di sostituire le tue eleganti palme con dei tozzi gelsi, i tuoi variopinti costumi con delle tube e dei frak, e spargeranno di belletto le abbronzite guance dei tuoi figli, per renderti una brutta copia della decrepita Europa. Ma come il tuo sole impavido non teme che questo fantasma di civiltà possa far velo all'ardore dei suoi raggi, tu, stattene fermo e non permettere che i vizii che porta seco abbiano a corrompere la più bella delle tue doti, quella che per te è legge sacra, l'ospitalità.

      Fummo da un amico invitati a fare la conoscenza di Ziber pacha, che in quel momento più che mai attirava l'attenzione della politica e dei curiosi in Egitto. È questi nativo del Darfur dove sempre visse. Uomo di intelligenza non comune e di spiriti belligeri, seppe col senno e colle armi conquistare tutta quanta quell'estesa provincia, che poi mediante trattati sottomise al Governo egiziano, ritirandosi lui in Cairo ove ebbe cortesie, onori, e titolo di pacha. Ora per ragioni di politica e di amministrazione tutto quanto quel paese si mise in rivolta, e capo dell'insurrezione è Suleiman, il figlio di Ziber pacha. Questi stesso ci raccontò tutta la storia che in pochi termini ci venne tradotta. Non capivo la sua lingua, ma dal modo con cui si esprimeva, accompagnando spesso la narrazione con gesti, traspariva l'interesse che vi prendeva e lo spirito che lo dominava, e i suoi occhi benchè incastrati nell'orbita di un semi-selvaggio si gonfiarono di lagrime quando raccontando dell'attuale guerra dei suoi compaesani colle truppe di Gordon pacha, disse che se fosse ucciso suo figlio, lui pure morrebbe di dolore.

      Oggi sappiamo che i rivoltosi furono completamente battuti da Gessi, e Suleiman fatto prigioniero e fucilato.

      Interessante fu il genere di ricevimento che vi trovammo, essendo nè puramente turco nè arabo, ma un poco anche darfuriano. Entrammo in un primo cortile fiancheggiato dalle scuderie e da questo passammo in un piccolo giardinetto che ricordava quelli dei nostri curati da campagna, se qualche palma o banano non ci avesse fatti accorti della distanza che ci separava. Qui fummo incontrati da parecchi individui di vario colore e diverso costume che si qualificavano per segretari, intendenti, cerimonieri, ecc., che con modi garbatissimi ci introdussero in un primo anticamerone dove comparve il pacha, alto, snello, quasi nero, vestito all'europea col fez. Fu cortesissimo, ci strinse la mano all'araba, cioè baciandola e portandola al fronte prima e dopo di toccare la nostra, poi ci fece salire per una scala mezzo diroccata, e attraversate un pajo di camere deserte di mobili, ma molto popolate di servi, fummo introdotti nel gran salone dei ricevimenti, dove le finestre erano di puro stile arabo e i divani coperti da damasco giallo tutto a filacci. Mentre noi si stava seduti a discorrere, due servi neri stavano impalati presso la porta cogli occhi fissi al padrone, pronti ad indovinare un ordine in qualunque suo cenno. Dopo pochi minuti entrò un servo con un vassoio: tre o quattro altri gli si fecero d'attorno, ognuno prese una piccola tazza col sotto-coppa alla turca in argento, vi versò un liquido da un'anfora e ce lo venne ad offrire con tutto rispetto, inchinandosi, pronunciando una parola gentile e tenendosi la mano sinistra distesa sul petto. Era un decotto di droghe in cui prevaleva canella e pepe: non cattivo al gusto, ma non troppo benigno alla lingua e alla gola. I servi non avevano per anco finito di riavere da noi le tazze vuote, quando entra un nero con una catinella e un'anfora di metallo e gira per la sala facendo lavar le mani a tutti, mentre un altro che lo segue consegna ad ognuno un tovagliolo, per vero dire non proprio di bucato. Subito appare un altro servo con un tavolo, o meglio uno sgabello alto, che depone fra noi, ed un secondo vi adagia un gran vassoio coperto da piatti con pasta di semola, latte coagulato, pezzi di diverse torte, formaggio, ulive, specie di caramelle, conserve, dolci, pezzetti di pane e qualche cucchiaio, che però non fecero che da comparsa. Ignorante, io me ne stetti a vedere cosa faceva Sua Eccellenza, poi non feci che seguire il suo esempio, assaporando tutto, prendendo tutto colle mani nelle quali si faceva un vero caos di gusti, ma senza però arrivare al punto suo di dare continui segni d'aggradimento con manifestazioni troppo spontanee... Un servo intanto ne andava offrendo una gran tazza dalla quale in comune si beveva acqua con conserva dolce. Finita questa frugale mensa, ritirarono la tavola, ci fecero ancora lavare le mani, poi collo stesso apparato di prima ci offersero caffè e sigarette.

      Il 2 dicembre mi trovavo per la sera a Suez in attesa degli altri componenti la spedizione, che vi dovevano arrivare direttamente dall'Italia a bordo del Sumatra, vapore di Rubattino. Con qualche ritardo, il giorno quattro, questo elegante bastimento sortiva infatti dal Canale e a mezzogiorno andava a dar fondo in rada, accanto al Messina, suo compagno destinato alla navigazione speciale nel Mar Rosso. Si ha diritto davvero di sentirsi fieri nel vedere bastimenti di così forte portata e inalberando la nostra bandiera, solcare ormai le onde di tutti i mari, e toccare con mano come possano competere con quelli delle più forti nazioni e vedere come forastieri d'ogni altro paese prescelgano i vapori italiani e ne facciano sempre molti elogi. Così l'Italia si farà grande e ricca, e sia lode ai coraggiosi armatori ai quali è da augurare che la fortuna sorrida.

      Il resto della giornata e parte della notte furono impiegati a trasbordare mercanzie sul Messina, a bordo del quale la mattina del cinque tutti partivamo; ma prima di troppo scostarci da questo incantevole paese che è l'Egitto, mi è forza dire due parole di ringraziamento a tutti coloro che mi vollero assolutamente colmato di gentilezze e di utili raccomandazioni e di cordiali augurii pel viaggio che andavo ad intraprendere. Non faccio nomi, che troppo sarebbe lungo, ma ad ognuno mando di cuore la sua parte e nessuno dubiti della mia memoria e della mia riconoscenza.

      La posizione di Suez è bellissima, specialmente per chi la vede da bordo. Un ammasso di case bianche e uno di neri bastimenti che stanno schierati come due eserciti nemici prima dell'attacco, laddove null'altro che deserto e mare si contrastano lo spazio. Aggiungete la cupola azzurra di quel cielo o l'orizzonte infuocato da un tramonto che vi fa rossa la sabbia e metallica la superficie dell'acqua, e se avete una fantasia abbastanza fervida, immaginatevi l'incanto di questo quadro in natura. Noi così lo godemmo la sera; una splendida luna venne a cambiarvi le tinte e renderlo più tetro sì, ma

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