Abissinia: Giornale di un viaggio. Giuseppe Vigoni
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Dietro noi lasciamo la città, a sinistra oltrepassiamo l'imboccatura del Canale e proseguiamo fra le due coste aride, deserte, infuocate entrambe, d'Asia e d'Africa; qualche cosa di maestoso sorge a tagliare l'infinito orizzonte, è il gruppo del Sinai che ci lascia l'ultima impressione delle coste d'Asia, allargandosi considerevolmente il Mar Rosso e verso sera restando noi fedeli alla costa Africana.
Abbiamo sempre calma perfetta e per sola distrazione, la vista di qualche pesce volante, di qualche scoglio indicato da fanali e l'emozione di qualche altro nascosto e non ancora trovato, nel quale si potrebbe battere il naso; la temperatura va sempre aumentando.
A bordo non abbiamo che un giovane Francese, che prese servizio nelle truppe di Gordon pacha e per questo se ne va a Kartum: vorrei ingannarmi, ma mi parve vittima di una risoluzione non abbastanza meditata; è sempre assai pensieroso e confessa che da lontano tutto sembra roseo, ma più si avvicina alla realtà, più si fanno grandi i punti neri che erano quasi invisibili.
È impegnato per circa due anni, che devono essere ben lunghi nella sua posizione, se invece d'essere animato da speranze, è già depresso dal pentimento. Un Greco e un Tedesco che esercitano una professione abbastanza originale: negozianti cioè di leoni, elefanti, ipopotami, leopardi, buffali, rettili e simili, sì vivi che morti, per musei, giardini zoologici e amatori. Per questo si portano a Kassala, dove sono abbastanza numerosi questi cari animaletti.
I racconti delle loro caccie e prese erano assai interessanti, le loro avventure straordinarie, per quanto si faccia il difalco necessario fra il raccontato e il credibile.
Già che parliamo dei passeggeri del Messina, parmi venuto il momento di presentare anche quelli coi quali dovrò essere compagno di viaggio: Pellegrino Matteucci di Bologna, Callisto Legnani di Menaggio, Enrico Tagliabue di Monza, Gustavo Bianchi di Ferrara, Francesco Filippini: il primo dirige la spedizione, gli altri sono i delegati, che, per incarico del Comitato di Esplorazioni commerciali, la compongono. Il Filippini è destinato a rimanere di stazione nel porto di Massaua. Seguono come dilettanti il capitano Vincenzo Ferrari da Reggio Emilia e quel disgraziato che sta colla penna in mano, ha cominciato ieri a scrivere e si è messo in testa di render conto giorno per giorno del suo operato durante quasi dieci mesi: chiedo un po' di benevolenza per lui.
Il giorno nove era indicato per l'arrivo a Suakin; fin dal mattino si naviga fra secche, che come si vede dalle carte sono estesissime in questi paraggi; consistono di banchi corallini nascosti a diverse profondità, per cui con grande attenzione si possono appena distinguere dal colore delle acque che sembrano fangose, e le meno profonde dal vedervisi frangere contro le onde producendo linee di schiuma biancastra. Il pilota arabo, guidato da pratica più che da scienza, sta sul pennone dell'albero di prua, e continuamente dà ordini perchè il timone sia girato a destra o a manca.
Ad onta di questo, poco dopo il mezzogiorno un urto, seguito da sfregamento, ci avverte che siamo montati in secco; vidi il bastimento alzarsi di prua, quasi impennandosi, poi quando il peso di prua prevalse, questa si abbassò, alzandosi invece la poppa; giuocavamo d'equilibrio toccando la chiglia sullo scoglio, ma non potendo naturalmente durare in questa posizione acrobatica, tre o quattro ondulazioni piuttosto forti di rullio finirono per lasciarci adagiar sul fianco; subito si ferma la macchina, si ordina indietro, poi ancora avanti, e fra il panico e la confusione, non so a quale di questi due movimenti dovemmo la nostra liberazione, ma so che pochi minuti dopo proseguivamo la nostra rotta con minor velocità e maggiori precauzioni. Pericolo non ve ne era, chè il mare era calmo, la terra non poteva essere lontanissima e le scialuppe pronte; ma c'era il caso di dovercene stare qualche giorno per alleggerire il bastimento, scaricandolo, buttar ancore, e coll'aiuto di queste, toglierci da questo incommodo letto.
Passiamo fra due enormi banchi che da bordo si distinguono benissimo, poi viriamo sulla destra per entrare in un canale segnato da torricelle di muro che poggiano sui depositi corallini, e prima del tramonto gettiamo le ancore a pochi metri da Suakin, dove siamo subito circondati da piroghe montate da bellissimi ragazzetti neri, che quasi rivali d'Adamo in fatto costume, ci si offrono per traghettarci a terra.
La città si presenta bellina, con un ordine di case bianche di stile puramente arabo, circondate da acqua, collo sfondo di bellissime montagne che fanno un effetto assai curioso sorgendo direttamente dalla pianura, senza contrafforti, senza nessuna linea di alture che si vadano poco a poco elevando. La posizione è assai originale, essendo il villaggio piantato su d'un isolotto di poche migliaia di metri quadrati di superficie, banco corallino, che appena si innalza dal livello del mare, circondato da un canale di un centinaio di metri di larghezza, poi ancora da terra ferma che ha così l'apparenza, se mi è permesso il confronto, di racchiudere l'isolotto, come un granchio tien racchiuso la preda fra le due zanne. A est, il canale pel quale entrammo, e che porta al mare libero, ad ovest una diga che mette in comunicazione diretta colla terra ferma.
All'interno nessuna regolarità: qualche piazza dove si tengono i mercati, qualche via coperta da logore stuoie per difendere dalla sferza del sole, cui si dà il titolo di bazar e dove si vendono gli elementi più che necessarii, indispensabili all'esistenza, alcune case di stile arabo, terminate a terrazze col davanzale frastagliato e ornate di finestre e balconi a lavori di intaglio in legno molto caratteristici; qualche piccola torre e qualche minareto da dove si spande la tremula voce del Muezzin che ad ore fisse chiama i divoti alla preghiera. È questo il quartiere abitato dagli arabi commercianti od impiegati, e dai pochi europei che vi tengono i loro affari; dietro abbiamo subito tugurii di legno e fango, circondati da palizzate di stuoie, abitati dagli indigeni. Oltre la diga continua la città di questi ultimi che vanno man mano ritirandosi per far posto ad abitazioni e abitanti un po' più civili, e si finisce nella vasta pianura con accampamenti di beduini sparsi qua e là e costituiti da miserabili tende di stuoie. Il commercio è quasi completamente in mano dei Greci. Svariatissimi sono i tipi che si incontrano; l'Arabo colla testa rasa, la sua zimarra bianca, e il fez o la cuffia che trascuratamente pende sulle spalle od elegantemente è avvolta a turbante; l'altro che vuol parere civilizzato e non veste che panni neri tagliati all'europea; l'indigeno che presenta tutte le gradazioni delle tinte che possono dirsi marrone, quasi nudo e solo difeso da una pezzola qualunque alla cintura; cento altre varietà di tipi e di tinte fino al nero ebano, provenienti da tutte le province dell'interno.
Curiosissimo il biscerino o vero beduino del deserto fra Suakin e Berber, che ha la privativa del servizio di guida e camelliere per le carovane che attraversano quelle sabbie, di cui è fiero d'essere assoluto padrone. È alto, snello, ha l'occhio vivissimo, un procedere vispo e dignitoso. Porta una fascia bianca alla cintura, oppure un drappo di tela in cui artisticamente si avvolge, e i capelli educati in modo che un gran ciuffo si innalza a cono rovescio e il resto pende a grandi masse di ricci o trecce, tagliate orizzontalmente poco sopra l'attacco della spalla, per difendere la nuca dai raggi del sole.
L'apparenza è perfettamente di quei tipi stecchiti che si vedono incisi alle pareti dei monumenti egizii. La testa poi ungono con tanto grasso e burro, da parere, alle volte, mascherati con una parrucca gialla, sempre ornata da uno stecchetto leggiermente ricurvo che è il loro pettine, e serve spesso per rimediare ad un molesto e non dubbio prurito. Sulle braccia portano molti anelli di pelle con sacchettini di cuoio in cui è religiosamente conservato qualche verso del corano o qualche amuleto che li preserva da mali e pericoli.
Di donne se ne vedono pochissime, e queste completamente coperte, essendo qui fanatici mussulmani. Il dottore, un gentilissimo arabo, ne diceva che anche a lui è interdetto l'avvicinarsi al bel sesso, che in caso di malattia ricorre piuttosto all'empirismo di una pretesa medichessa.
La pulizia delle strade e altri servizii in città, sono fatti dai prigionieri che vivono nel locale della dogana, trattati come da noi nessuno oserebbe trattare un suo cane; sono logori, indecenti, macilenti, portano grosse catene ai piedi, che, dal peso e dallo sfregamento, ne