Ben Hur: Una storia di Cristo. Lew Wallace
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— «Essa è figlia di Ioachim e d'Anna di Betlemme dei quali avrete almeno udito parlare, poichè erano gente di gran fama.» —
«Sì, — rimarcò il Rabbi rispettoso — ne ho udito parlare. Erano discendenti in linea retta da Davide e li conobbi, assai bene.» —
— «Ebbene ora sono morti» — procedette il Nazareno. «Morirono a Nazareth. Ioachim non era ricco, pure lasciò una casa e un giardino da dividersi tra le sue figlie, Marianna e Maria. Queste è una delle due figlie, e per salvare la sua parte di proprietà, la legge l'obbligò a sposare un prossimo parente. Adesso essa è mia moglie.» —
— «E voi eravate suo parente?» —
— «Ero suo zio.» —
— «Comprendo. E siccome siete nati a Betlemme così Cesare vi obbliga a condurre colà vostra moglie per computarla tra le persone tassabili.» —
Il Rabbi giunse le mani e guardò sdegnosamente il cielo esclamando:
— «Il Dio d'Israele vive ancora! La vendetta è sua!» —
Detto ciò si voltò e bruscamente partì. Un forestiero lì vicino, osservando lo sbigottimento di Giuseppe, disse tranquillamente:
— «Il Rabbi Samuele è un fanatico. Giuda stesso non è più feroce.» —
Giuseppe non volendo parlare con quell'uomo, finse di non sentire e si affacendò a raccogliere il fascio d'erba che l'asino aveva sparpagliato; poi s'appoggiò al suo bastone, aspettando.
Dopo un'oretta la comitiva oltrepassò il cancello, e, voltandosi a sinistra, prese la via che conduce a Betlemme. La discesa della valle di Hinnom era abbastanza scoscesa, ed era adorna qua e là, di olivi selvatici. Con molta sollecitudine e tenerezza il Nazareno camminava a fianco della donna tenendo nelle mani la cinghia di cuoio del somarello. Alla loro sinistra, a sud est, attorno al Monte Sion, sorgevano le mura della città, e alla loro destra si vedevano delle ripide colline che formavano i confini della valle.
Lentamente passarono il basso stagno del Gihon nel quale il sole rifletteva l'ombre rimpicciolite dei colli, e procedettero adagio adagio tenendosi paralleli all'acqua dallo stagno di Salomone sino al luogo ove era un casino rustico, luogo detto oggi Colle del Cattivo Consiglio. Giunti colà principiarono a discendere verso il piano di Refraim. Il sole riverbava i suoi raggi fortissimi sulla facciata della famosa località e al bacio dei suoi raggi Maria lasciò cader addietro il velo e scoprì il capo.
Giuseppe le raccontò la storia dei Filistei qui sorpresi nel campo da Davide. Ma nel suo racconto era minuzioso e parlava dandosi un'aria solenne e modi che parevano quelli di uno sciocco. Ella non lo ascoltava sempre. Tanto per mare che per terra gli Ebrei, ove s'incontrino, sono riconoscibili. Il tipo fisico della razza è stato sempre il medesimo; però, fra individuo e individuo, vi sono delle dissomiglianze. Il figlio di Jesse ci fu descritto rubicondo e bellissimo di aspetto. Gli uomini, d'allora in poi, si regolarono su quel tipo per giudicare gli Ebrei e dalla fisonomia dell'antenato, pretesero di conoscere quella dei discendenti. Così tutti i nostri Salomoni hanno bei visi e capelli e barba castagna, quando sono all'ombra, e color d'oro quando sono al sole. Così ci fanno credere che fossero le ciocche di Assalonne, il prediletto di Davide. E, non essendovi una storia autentica, la tradizione ci ha detto non meno bene di lei della quale discorriamo ora e che seguiremo nella città del biondo re che fu così bello.
Ella non aveva più di quindici anni. Le sue fattezze, la sua voce e i suoi modi eran quelli tra la fanciullezza e l'età dello sviluppo. Il suo viso era di un'ovale perfetto; la sua carnagione più chiara che bella; il naso regolare; le labbra, leggermente dischiuse, erano rosse come fragole mature, dando alla bocca ardore e tenerezza; gli occhi erano celesti e grandi, dalle lunghe palpebre, e dalle lunghe ciglia, ed in armonia con tutto ciò un volume immenso di capelli d'oro, tenuti nel modo concesso alle giovani spose Ebree, spioventi cioè per la vita sino a toccar la sella sulla quale essa sedeva. La gola ed il collo erano morbide, lanuginose, come talvolta si può osservare in alcune donne, e che mettono in un'artista il dubbio se si tratti di un effetto di linee o di colori. Aveva anche altre indefinibili bellezze, ad esempio un'aria di purezza che solo un'anima angelica può dimostrare, e un certo che di etereo che sembrava non poter essere toccato da mani mortali. Spesso, aveva le labbra tremule, e sollevava i begli occhi al cielo, divenuto anch'esso più chiaro; o incrociava, le mani sul petto come in atto di adorazione o di preghiera o alzava il capo come chi ascolta attento una voce che chiami dall'alto. Ogni tanto, interrompendo le sue noiose narrazioni, Giuseppe si voltava a guardarla, e, ammirando l'espressione del suo viso irraggiato di luce, dimenticava i suoi ragionamenti, e, chinando il capo, fantasticando, continuava a camminare.
Così essi terminarono di percorrere la gran pianura e infine raggiunsero il colle Mar Elias, dal quale, attraverso la valle, ammirarono Betlemme. Là si fermarono e riposarono, mentre Giuseppe indicava a Maria i luoghi sacri. Poi scesero nella valle e andarono ad un pozzo che recava istoriato uno dei meravigliosi fatti d'armi di Davide. Lo spazio angusto era pieno di gente e di animali. Giuseppe ebbe il dubbio, se la città fosse così affollata, che la gentile sua compagna, avesse potuto trovarvi ricovero. Senza por tempo in mezzo egli corse avanti, passò la colonna marmorea che indicava la tomba di Rachele, e, pel versante fiorito, non salutando alcuna delle persone che incontrò per via, continuò a correre finchè si fermò davanti alla porta del Khan che allora era fuori dalle mura del villaggio vicino a un crocicchio di strade.
CAPITOLO IX.
Per capire a fondo ciò che accade al Nazareno il lettore deve ricordarsi che le taverne dell'Oriente eran ben diverse da quelle dell'occidente. Esse erano dai Persiani chiamate Khan e fatte nel modo più semplice; erano recinti chiusi, senza casa o tetto, spesso privi di un cancello o d'una porta. Le loro abitazioni erano scelte a seconda dell'ombra, della sicurezza, o della possibilità di attinger acqua. Tali erano le taverne che ripararono Giacobbe allorchè andò in Paden Aran per cercarvi moglie. Simili a quella possono oggi vedersene delle altre nelle oasi del deserto. Però alcune di esse, in ispecie quelle sulla strada che divideva due grandi città, come Gerusalemme ed Alessandria, erano edifici principeschi che constatavan la pietà dei Re che li avevano fabbricati. Solitamente però non erano che la casa od il podere di uno sceicco nei quali, come in quartieri generali, egli conduceva la sua tribù. L'ospitare i viaggiatori era l'ultimo dei loro usi; erano mercati, fattorie, e fortezze; luoghi d'assemblea, ed abitazioni per i mercanti ed artigiani, come luoghi di ricovero per i viandanti vagabondi e sorpresi dalla notte. La conduzione di questi alberghi colpiva singolarmente i forestieri. Non v'era nè oste nè ostessa, nè cameriere, nè cuoco, nè cucina; nè guardiano alla porta. Gli ospiti che arrivavano, vi dimoravano quanto volevano. Ma bisognava che si portassero con sè i cibi e gli utensili da cucina oppure che li comperassero dai venditori del Khan. La stessa regola valeva pel letto e per il foraggio per le bestie. Acqua, ricovero, riposo e protezione eran tutto ciò che si poteva richiedere dal proprietario, ed era gratuito. La pace della Sinagoga era talvolta disturbata da disputanti schiamazzatori, ma quella dei Khan mai. Le case e tutte le loro attinenze erano sacre: un pozzo non lo era di più.
Il Khan, a Betlemme, davanti al quale Giuseppe e sua moglie si fermarono, era un buon esemplare della sua specie, non essendo nè molto primitivo nè molto principesco. L'edifizio era puramente orientale; cioè era un blocco quadrangolare di pietre greggie ad un solo piano, col tetto piatto, esternamente non interrotto da alcuna finestra, con una sola entrata principale, un portone fatto a volta, dal lato est o facciata. La strada era così vicina alla porta che la polvere copriva per metà l'architrave. Un riparo fatto di roccie cominciava all'angolo sud-est del fabbricato,