La vita intima e la vita nomade in Oriente. Belgioioso Cristina

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La vita intima e la vita nomade in Oriente - Belgioioso Cristina

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Non è necessario di spiegare come vivano ovunque i bambini piccoli; ma immaginiamoci inoltre quale sarebbe il destino dei nostri mobili fini d'Europa, se le nostre cuoche, le donne di fatica, venissero a riposarsi sulle nostre poltrone, appoggiando i piedi sui nostri tappeti e la schiena alle nostre tende. Per di più, i vetri sono tuttora per l'Asia un oggetto di curiosità, le finestre sono di solito chiuse con carta oliata, e, dove scarseggia anche la carta, si sopprimono senz'altro le finestre e ci si contenta di quel po' di luce che penetra dal camino e che è più che bastante per fumare, per bere e per battere i bambini troppo riottosi, sole occupazioni alle quali si dedicano durante il giorno le spose dei fedeli mussulmani. Non crediate per questo che in tali camere senza finestre regni una vera oscurità. Le case non hanno mai più di un piano, le cappe dei camini non sorgono mai più alte del tetto e sono molto ampie, sì che accada, piegando un poco il capo davanti al camino, di scorgere facilmente il cielo dall'apertura. È l'aria che manca completamente in quegli alloggi. Ma quelle signore non se ne lagnano affatto perchè soffrono naturalmente il freddo e non sanno cacciarlo col moto: rimangono durante ore intere accoccolate per terra dinanzi al fuoco e non riescono a comprendere che talora altri vi si senta soffocare. Mi pare di venir meno solo che ripensi a quelle caverne artificiali, ingombre di donne in istracci e di bimbi maleducati e benedico con tutto il cuore l'eccellente mufti di Scerkess e la sua singolare delicatezza che mi risparmiò un soggiorno di ventiquattr'ore nel suo harem, tanto più che non è dei meglio tenuti.

      È un personaggio ben straordinario il mio vecchio amico, il mufti di Scerkess, a giudicarlo almeno dal nostro punto di vista europeo, perchè armonizza perfettamente colla società mussulmana. Non gli avrei dato più di sessant'anni, è alto di statura e leggermente incurvato, ma sembra piegarsi piuttosto per condiscendenza che per debolezza; porta con grazia congiunta a nobiltà la lunga toga e la pelliccia rossa dei dottori in legge. I suoi lineamenti regolari, il suo colorito chiaro e quasi trasparente, il suo occhio limpido ed azzurro, la sua lunga barba bianca che scende ondulata sul suo petto, la sua bella fronte alla quale sovrasta un turbante bianco o verde rigonfio alla moda antica, tutto ciò potrebbe servire degnamente come modello per un ritratto di Giacobbe o di Abramo.

      Quando si vede un così bel vecchio, circondato da una famiglia tanto numerosa ed onorato da' suoi concittadini come il simbolo vivente di tutte le virtù, è difficile trattenersi da un sentimento profondo di venerazione. Io non abitavo, mi venivo dicendo, la casa di un semplice mortale, ero ammessa in un santuario. Le vicinanze ne erano affollate ad ogni ora da devoti di ogni età e di ogni condizione accorsi a baciare il lembo dell'abito del Santone, a chiedergli consigli, preghiere ed elemosine. Tutti ripartivano contenti cantando le lodi del loro benefattore. Egli stesso sembrava corazzato contro tutte le debolezze umane: la noia, l'impazienza, il disprezzo, il motteggio, il malumore, l'egoismo. Quale spettacolo incantevole lo scorgere il vecchio coi più giovini de' suoi figli che gli si arrampicavano sulle ginocchia, nascondevano il loro viso giovine nella sua lunga barba e si addormentavano nelle sue braccia, mentr'egli sorrideva loro con tenerezza, ascoltava attentamente i loro lagni e le loro apologie, li consolava de' loro crucci con dolci parole, li esortava allo studio rifacendo con essi e per essi il pesante cammino dell'alfabeto. Io mi smarriva nella contemplazione di quel giusto dicendo fra me: felice il popolo che tuttora possiede e sa apprezzare tali uomini! Ma una conversazione, che ebbi col mufti e con uno de' suoi confidenti, gettò qualche ombra sulla mia ingenua ammirazione. Il vecchio stava seduto con uno de' suoi bimbi su ciascun ginocchio. Ebbi l'idea di chiedergli se avesse molte mogli. Mi rispose: «Non ne ho che due in questo momento (ed era un po' vergognoso di mostrarsi così sprovvisto), le vedrete domani e non vi piaceranno — poi fece una smorfia di disprezzo: — quelle vecchie donne, proseguì, sono state abbastanza belle, ma è passato molto tempo».

      — Che età hanno? — domandai.

      — Non ve lo potrei dire esattamente, sono sulla trentina.

      — Oh! — esclamò allora uno dei servitori del mufti, — il nostro signore non può contentarsi di mogli simili e non tarderà a riempire i vuoti che la morte ha lasciato nel suo harem. Se voi foste venuta un anno fa, avreste veduto una donna degna di sua Eccellenza; ora che è morta ne troverà delle altre, non dubitatene.

      — Ma — chiesi a mia volta — sua Eccellenza non è giovane, ha sempre avuto, a quanto pare, parecchie mogli giovani e non le considera tali che al dissotto dei trent'anni. Calcolo quindi che nel corso della sua lunga vita deve averne ricevute nel suo harem un numero molto notevole.

      — Probabilmente — fece il sant'uomo impassibile.

      — E vostra Eccellenza ha senza dubbio molti figli?

      Il patriarca ed il suo domestico si guardarono scoppiando in una risata: poi, quando l'accesso d'ilarità fu passato, il padrone rispose:

      — Se ho molti figli? lo credo bene, ma non saprei dirvene il numero.

      — Dimmi, Hassan — soggiunse rivolto al suo confidente — mi potresti dire quanti figli io abbia e dove si trovino?

      — In verità, no. Sua Eccellenza ne ha in tutte le provincie dell'impero ed in tutti i distretti di ogni provincia; ed è tutto quello che io so e scommetterei che egli stesso non ne sa più di me a questo proposito.

      — Come potrei saperlo? — disse il vecchio.

      Io volli insistere, perchè il mio patriarca perdeva a vista d'occhio nella mia estimazione e volevo mettermi il cuore in pace; perciò ripresi:

      — Come sono allevati questi figlioli, chi ne ha cura? A quale età lasciano il padre? Ove sono stati mandati? e confidati a chi? A quale carriera sono indirizzati e quali sono i mezzi di sussistenza? E come li riconoscete?

      — Oh Dio mio! Posso sbagliarmi come qualunque altro, ma poco importa. Del resto li ho tutti allevati, come vedete che faccio con questi fino all'età in cui hanno potuto bastare a loro stessi. Le ragazze sono state sposate o regalate a 10 o 12 anni e non ne ho più sentito parlare; i maschi non sono così precoci e non possono trarsi soli d'impiccio prima dei 14 anni. Io dò allora a ciascuno una lettera di raccomandazione per qualche amico che diriga una grande casa od occupi una carica; egli li colloca in casa sua od altrove, ma tocca ai giovani stessi di far fortuna, io me ne lavo le mani.

      Io domandai ancora: — E non li vedete più?

      — Che ne so io? Io ricevo, abbastanza spesso, la visita di persone che si dicono miei figli e che possono anche esserlo; faccio loro buon'accoglienze e li ospito per qualche giorno senza chieder loro nulla. Finiscono bene per comprendere che qui non vi è posto per essi e che non vi hanno assolutamente nulla da fare. Le loro madri sono morte, essi sono degli stranieri per me. Per cui se ne vanno spontaneamente e, dopo essere venuti una volta, non ricompaiono più. Sta bene, perchè altri arrivano al posto loro e fanno poi come quelli che li hanno preceduti. Meglio così.

      Io non era ancora soddisfatta e continuai:

      — Ma questi bei bambini che accarezzate e che vi abbracciano così teneramente sono destinati a subire la stessa sorte?

      — Senza dubbio.

      — Ve ne separerete quando avranno raggiunto l'età di 10 o 14 anni? Non vi preoccuperete cosa diverranno? Non li rivedrete forse più? E, se ritorneranno un giorno per sedersi ancora una volta alla tavola famigliare, li tratterete come degli stranieri e li vedrete ripartire, questa volta per sempre, senza dar loro un solo di quei baci che prodigate loro adesso? Che accadrà di voi un giorno nella vostra casa deserta quando la voce dei vostri bimbi non vi risuonerà più?

      Io cominciavo ad animarmi ed i miei uditori non mi capivano più. Il domestico riuscì ad afferrare il senso delle mie ultime parole e si affrettò a rassicurarmi circa l'isolamento futuro del suo venerato padrone.

      —

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