La vita militare: bozzetti. Edmondo De Amicis
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Venne finalmente il giorno della partenza. L'ufficiale stava seduto in casa, al tavolino, dirimpetto alla porta socchiusa. Di lì a mezz'ora il suo soldato doveva venire a pigliare comiato da lui, e partire. Egli fumava soffiando in alto i nuvoli del fumo, e ne seguiva sbadatamente coll'occhio il viaggio lento e vorticoso fin che si dileguavano nell'aria. Il fumo che gli passava sugli occhi glieli facea lagrimare, ed egli a quando a quando se li asciugava col rovescio della mano, pur maravigliandosi che le lacrime venissero giù così grosse da parer ch'ei piangesse. Ne attribuiva tutta la causa al fumo, voleva illudersi sulla sua commozione, dissimularla a sè stesso, attribuire al sigaro ciò che spettava al cuore. E pensava:—....Già, c'era da aspettarselo. Dunque, a che serve pigliarsela a cuore? Non lo sapeva io, quando l'ho preso con me, che non l'avrei tenuto eternamente? Non lo sapeva che la ferma è di cinque anni? E che quest'uomo ha una casa, un campo, una famiglia, dove è nato, dove è cresciuto, da cui è partito con dolore e a cui ritornerà con gioia? Pretenderei che continuasse a fare il soldato per la mia bella faccia? Sarei un egoista.... Anzi lo sono. Qual vincolo di gratitudine lo lega a me? Che cosa gli ho fatto io? Che cosa mi deve costui?... Oh molto, davvero. Non gli ho mai fatto che delle sgarbatezze, io. Gli sto sempre lì davanti con questo maladetto muso da padre inquisitore.... Gli è il mio temperamento, già; che ci posso fare? È inutile, io non le so trovare le parole per dir certe cose. E poi.... non si debbono dire. Ma.... almeno fargli una faccia un po' umana!... Adesso se ne va. Ritorna a casa a lavorare nei suoi campi, a ripigliar la vita di prima; a poco a poco perderà tutte le abitudini militari, dimenticherà tutto.... e il suo reggimento, e i suoi compagni, e il suo uffiziale. Non importa; purchè viva contento. Ma io potrò forse dimenticar lui? Quanto tempo dovrà passare prima ch'io mi sia assuefatto ad una faccia nuova; prima che la mattina, svegliandomi, non mi abbia più a parere di vedermelo davanti tutto intento a sbrigar le sue faccende là in un canto della stanza, cheto cheto, quasi senza muoversi, quasi senza alitare, per non destarmi prima del tempo? Quante volte, appena desto, non lo chiamerò per nome? Tanti anni di compagnia, di attaccamento devoto, di servizio affettuoso, e poi.... vederselo andar via così.... da un giorno all'altro.... Mah! è il nostro mestiere, non c'è che dire. Bisogna rassegnarsi.... Che buon ragazzo! Che cuore! Se talora, marciando, oppresso dalla fatica, riarso dal sole, affogato dal polverone, io mi soffermava un istante e volgeva gli occhi attorno come per cercare un po' d'acqua, subito mi appariva dinanzi una borraccia e mi suonava al fianco una voce:—Tenente, vuol bere?—Era lui. Era uscito di nascosto dalle file, era corso a pigliare dell'acqua.... lontano forse, chi sa dove; era, in un batter d'occhio, tornato, ansante, grondante di sudore, spossato, ed era venuto dietro a me ed avea aspettato che io mostrassi desiderio di bere. Se talora, in campo, io pigliava sonno all'ombra d'un albero, e il sole a poco a poco mi veniva a batter sul viso, una mano sollecita mi rizzava al fianco una frasca, o tendeva una tenda, o poneva l'un sull'altro tre o quattro zaini, o allargava sopra un fascio d'armi un cappotto, e il sole non mi dava più noia. Di chi era quella mano? Sua era, sempre sua. Appena giunti alla tappa dopo sei, sette, otto ore di cammino, appena spiegate le tende, egli spariva; ed io a cercarlo, a chiamarlo ad alta voce pel campo, a stizzirmi: e dov'è, e chi sa dove siasi rintanato, e vedete un po' che testa, e se questo gli è il modo di fare, e appena verrà lo concerò io pel dì delle feste; e avanti di questo passo. Di lì a un minuto lo vedeva giungere di lontano curvo curvo sotto un gran carico di paglia, a passi ineguali, a sbalzelloni, urlando a destra e a sinistra con chi gliene voleva portar via una manata, inciampando nelle cordicelle delle tende, valicando siepi e fossi, calpestando gli zaini e le camicie tese al sole, inciampando negli addormentati, e tirandosi addosso una tempesta di bestemmie e d'imprecazioni. Mi giungeva accanto, gettava la paglia in terra, metteva fuori un gran sospirone, si asciugava la fronte e:—Signor tenente,—mi diceva tutto peritoso—mi sono fatto aspettare, non è vero? Che vuole, ho dovuto andare così lontano!—Distendeva la paglia sull'erba per tutta la lunghezza d'una persona, ne ammontava una parte, vi poneva sotto il suo zaino a mo' di guanciale, e poi volgendosi verso di me:—Tenente, va bene così?—Buon ragazzo, io pensava, ho avuto torto a stizzirmi con te;—va, gli diceva poi, va a riposare chè n'avrai bisogno.—Ma va bene così? egli insisteva; se no ne vado a pigliar dell'altra.—Sì, sì, va bene; va a riposarti, va; non perder più tempo.—Se talora, in marcia, di notte, io mi sentiva pigliar dal sonno e camminava, come suol farsi, vacillando e serpeggiando da un lato all'altro della via e mi avvicinava di troppo alla proda di un fosso, una mano leggiera si posava sul mio braccio e mi spingeva lentamente verso il mezzo della strada, mentre una voce sommessa e premurosa mi mormorava:—Badi, signor tenente, c'è il fosso.—E sempre lui!... Ma che cosa ho fatto io a quest'uomo perch'e' mi debba circondar di cure e di tenerezze come una madre? Che cos'ho, che cosa sono io perch'ei m'abbia ad amare con tanta virtù, con tanta religione? Che merito ho io verso costui, che non vive che per me, e che per me, ne son certo, darebbe la vita? Per qual ragione, in qual maniera questo povero giovane dai lineamenti rozzi, dalle mani incallite sulla vanga, dalle membra indurite nei disagi e nelle fatiche, senza coltura, senza educazione, nato e cresciuto in un romito abituro di campagna, ignaro d'ogni uso di vita cittadina, s'è fatto peritoso e gentile come una fanciulla, e trattiene il respiro per non destarmi dal sonno, e mi sfiora i panni colla mano per rimuovermi da un fosso, e mi porge una lettera tenendola colla punta delle dita quasi temesse di profanarla, e si sente felice d'un mio sorriso benevolo, d'una mia parola garbata, d'un mio cenno, d'un mio sguardo che voglia dire: Va bene?... Com'è questo? Ah! bisogna pur dire che il cuore umano impari sotto questi panni dei palpiti nuovi e sconosciuti a chi non è soldato o non fu. La gente non suppone in noi altri affetti fuori di quelli che ci tempestano nell'anima nei giorni di guerra; in verità che la gente ci conosce ben poco; essa non sa che a fare il soldato il cuore non solo non invecchia mai, ma ringiovanisce e si riapre alle tenerezze più soavi della prima età, e in quelle vive e si esalta, assai più che nelle procellose e tremende gioie della guerra.... Oh! chi non è soldato non comprenderà mai che cosa sia l'affetto che mi lega a questo giovane! È impossibile. Bisogna aver passato molte notti al bivacco, aver fatto molte marcie nel mese di luglio, essere stato molte volte d'avamposto sotto una pioggia dirotta, aver patito la fame e la sete tanto da svenirsi, e aver avuto sempre al fianco un amico che vi ha steso addosso il suo cappotto per ripararvi dal freddo, che vi ha asciugato i panni, che vi ha porto un sorso d'acqua, che vi ha offerto un tozzo di pane, privando sè di quel che porgeva a voi. Servitore! domestico! E v'è chi lo chiama così! Oh (esclamava facendo un atto come di sdegno e di ribrezzo) è una bestemmia! Sì...., perchè quando quest'uomo mi si affaccia là sulla soglia, e mi saluta, e mi fissa in volto quel suo sguardo pieno di sommessione timida e amorosa, sento che tanto è rispettoso il cenno che gli faccio io perchè abbassi la mano quanto è rispettoso l'atto che egli fa per alzarla.... E quest'uomo mi abbandona,—mi lascia solo,—parte,—non tornerà più! Ma no! no! io lo andrò a trovare, io! Lo andrò a cercare quando sarà in congedo; il nome del suo paesello lo so, domanderò quello della sua parrocchia, quello del suo poderetto, correrò là, lo sorprenderò a lavorare nei campi, lo chiamerò per nome.—Non riconosci più il tuo uffiziale?—Chi vedo! Tenente! Lei qui! egli mi dirà tutto commosso. Sì, sì! avevo bisogno di vederti! Vieni qua, mio caro soldato, abbracciami.—
In questo punto sentì su per le scale un passo leggero, lento ed ineguale, come di chi salga titubando e cerchi di indugiare la salita. Tende l'orecchio senza volger la testa; il passo si avvicina; si sente una stretta al cuore; si volge, eccolo,—è desso,—è il soldato.
Aveva la faccia turbata e gli occhi rossi; salutò, fece un passo innanzi e stette guardando il suo uffiziale. Questi tenea la testa rivolta dalla parte