La vita militare: bozzetti. Edmondo De Amicis

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La vita militare: bozzetti - Edmondo De Amicis

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      Questo racconto durò un buon quarto d'ora. Frattanto egli ritornò in sè interamente e riprese una parte delle forze smarrite. Ma a misura che la sua mente si rischiarava ed egli acquistava conoscenza viva e distinta del luogo dov'era e delle persone che lo circondavano, vieppiù s'accresceva il suo imbarazzo, la sua timidità e la sua confusione, e rispondeva alle domande balbettando e arrossendo come un bambino.

      Essendo ora di cena, la donna di casa, in quel frattempo, aveva apparecchiato, senza che il povero ospite, confuso e sbalordito come era, se ne fosse avveduto. Ad un tratto, il padrone fe' un cenno e tutti s'alzarono e si accostarono alla tavola. Il soldato si alzò anch'esso, diede una rapida occhiata alla mensa e alle persone, e si rimise subito a sedere abbassando gli occhi e vergognandosi d'aver guardato.

      —Ci abbiamo a mettere a tavola?—gli disse amabilmente il padrone, facendoglisi accanto.

      —Ah! è vero!—pensò il soldato, e si rizzò in piedi di scatto, e mormorando qualche parola di scusa si mosse per uscir dal salotto.

      —Dove andate?—domandò vivamente il padrone. Tutti gli altri si guardarono in atto di sorpresa: il soldato si fermò e si volse indietro.

      —Dove andate?—ripetè il padrone.

      —Mi hanno detto che si mettono a tavola....—quegli rispose timidamente.

      —Sì; ebbene, sedete a tavola con noi.—

      La sorella del padrone allungò il labbro di sotto; il soldato rimase a bocca aperta.

      —Sicuro, a tavola. Sedete qui, se non vi spiace.—E con una mano scostò una seggiola dalla tavola e coll'altra gli fece cenno che sedesse.

      —Ma.... domandò il soldato ripiegando ambe le mani coll'indice teso contro il proprio petto,—a tavola, io?—E sorrise.

      —Ma sicuro.

      —....Con loro?

      —Con noi, con noi.—

      Il povero giovane non poteva credere a quel che sentiva. Tutti gli altri lo guardavano con un'aria di curiosità e di compassione affettuosa; anche la sorella del padron di casa.

      —No.... senta, signore, (proruppe il soldato con voce dolce e tremante e facendosi serio serio) io non merito.... io non son degno di stare.... son tutto così (e si guardò i panni).... e poi io non saprei stare come si deve, perchè.... Quindi risolutamente:—Mi faccia questo piacere, mio buon signore; mi lasci andare di là, nella stanza vicina alla porta; io sto più volentieri di là; aspetterò che loro abbiano finito; non importa nemmeno che accendano il lume; aspetterò al buio, per me è lo stesso....

      —Ma no, ma no,—esclamarono ad una voce il padre e i figliuoli, dopo averlo ascoltato con un'attenzione mista di sorpresa e di tenerezza;—non permetteremo mai questo, non....

      —Sì, sì, mi lascino andare, mi lascino andare; io non voglio incomodarli....—e si mosse un'altra volta per andarsene.

      —Ma sentite.... ripresero gli altri trattenendolo;—voi avrete bisogno di mangiar qualcosa, è impossibile di no; restate, fateci questo piacere....

      —No, grazie, grazie; io non ho bisogno di nulla, io ho ancora tutto il mio pane nello zaino, e mi basta....

      —Ma sentite....

      —Ma guardino.—

      Volò di là, prese il pane, e tornò mostrandolo in atto di compiacenza:—Vedono?—

      Tutti tacquero e si guardarono l'un l'altro in viso.

      —Qua!—gridò improvvisamente il padrone colla voce commossa, strappando di mano al soldato il suo pane e battendolo forte sulla tavola;—lo mangeremo assieme; sedete.—

      Quell'atto, quella voce, quel volto erano improntati di un affetto e d'un'emozione così viva e così risoluta, che al soldato non parve più possibile di ricusare, e sedette.

      Non sapeva dove metter le mani, non s'attentava a levar gli occhi in volto a nessuno, non ardiva nemmeno di guardare sulla tavola; guardava fisso il piatto che gli stava davanti, teneva le ginocchia strette e i piedi indietro indietro sotto la seggiola, e gingillava colle dita intorno ai bottoni del cappotto. Comunque ei nol guardasse, pure tutto quel cristallame svariato e luccicante lo abbarbagliava; quel bel tovagliolo fine, bianco, che odorava ancora di bucato, non aveva il coraggio di toccarlo, con quelle sue mani ruvide e nere. E gli si cominciarono a svegliare nella mente certi ricordi vaghi e confusi e da lungo tempo sopiti, di certi modi, di certe consuetudini, di certe norme di buona creanza e di cortesia, di cui molti anni addietro, quand'egli era ancora ragazzo, sua sorella maggiore, che avea soggiornato un pezzo in città, gli soleva fare in fretta un po' di scuola su per le scale della casa del fattore, quei giorni di festa solenne ch'essi erano invitati a desinare da lui. E cercava di richiamarsele a memoria quelle norme, quelle consuetudini, e si sforzava di metterle in pratica con quel miglior garbo che per lui si potesse, e guardava tratto tratto colla coda dell'occhio il padrone di casa che gli era seduto accanto per regolarsi da lui sul modo di tenere il tovagliolo, e di spezzare il pane, e di maneggiare il coltello, e via via. A ogni piatto che gli s'offerisse ei si credeva in dovere di dire di no, e diceva no due o tre volte, e faceva atto di respingerlo colla mano e torceva il capo dall'altra parte, finchè accettava a stento, mormorando:—Grazie!—e facendo un certo viso compunto che voleva dire:—È troppo. È troppo!—E tagliava certi bocconcini così minuti che gli andavan giù senza farsi sentire; e ad ogni centellino d'acqua o di vino che bevesse si forbiva due o tre volte la bocca tenendo il tovagliolo, con tutt'e due le mani, e con gran sollecitudine porgeva alla donna di servizio i piatti ch'essa andava intorno a raccogliere, e si guardava bene dal gettar pure un'occhiata alle pietanze recate in tavola prima che gli fosser messe dinanzi; e quando il padrone gli offriva del vino egli non si contentava di dir di no, ma turava il bicchiere colla palma di una mano, spingendo in là la boccia coll'altra. Del pepe, del sale, dell'oliera, di tutto rendeva grazie particolari, come se l'offrirgli ciascuna di quelle cose fosse una particolare degnazione, un favore affatto distinto dagli altri.

      Se egli avesse guardato qualche volta i suoi commensali, questi si sarebbero astenuti dal guardar lui, per non metterlo in più suggezione, per lasciarlo mangiare in pace, per non farlo penare. Ma come ei non guardava nessuno, così tutti guardavano lui; ne notavano tutti i moti, tutti gli atti; gli leggevano sulla fronte ciò che gli passava nell'anima, e di quella sua rozzezza ingenua e peritosa, di quel suo stupore, di quel suo sbalordimento, di quella tenera e reverente gratitudine che tratto tratto gli lampeggiava in un lieve sorriso o in uno sguardo fuggevole, provavan tutti un senso come di pietà e di compiacimento soave. Il padrone di tempo in tempo l'interrogava delle vicende della guerra, delle marcie, dei campi, del reggimento, ed egli rispondeva con dei sì, con dei no, con dei sorrisi, con qualche gesto cominciato e non saputo finire, e tra una domanda e l'altra, quando supponeva che tutti gli occhi fossero volti sopra di lui, pigliava in mano e fingeva di osservare attentamente il coltello o la forchetta. In fin di tavola, sorbendo il caffè, ne lasciò cadere una goccia sulla tovaglia.—Oh! Dio!—sclamò tutto turbato—scusi, sa: non l'ho fatto apposta.—E volgendosi al padrone si mise una mano sul petto. Povero giovane! disse tra sè la sorella; e portò il bicchiere alla bocca per nascondere quel po' d'alterazione che quel senso fugace di pietà avrebbe potuto produrre sull'altera gravità del suo volto.

      S'alzarono da tavola.

      —Adesso.... disse il soldato, e restò in asso.

      —Adesso?... domandarono gli

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