La vita militare: bozzetti. Edmondo De Amicis

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La vita militare: bozzetti - Edmondo De Amicis

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rivederci—gli rispose questi stringendo le labbra ad ogni parola e continuando a guardar altrove.—A rivederci.... Fa buon viaggio.... torna a casa.... lavora.... continua a vivere da buon figliuolo.... come hai vissuto finora e.... a rivederci.

      —Signor tenente!—sclamò il soldato con voce tremante e facendo un passo verso di lui.

      —Va, va, che non ti passi l'ora; va; è già tardi; sbrigati; presto.

      E gli porse la mano; il soldato gliela strinse fortemente.

      —Fa buon viaggio.... e ricordati di me, sai? Ricordati qualche volta del tuo uffiziale.

      Il buon giovanotto voleva rispondere, tentò di mandar fuori una parola e mandò un gemito; serrò un'altra volta quella mano, si volse, guardò la porta, guardò di nuovo l'uffiziale che continuava a tener la testa vôlta dall'altra parte, fece un altro passo innanzi....—Ah! signor tenente!—esclamò singhiozzando, e fuggì.

      L'altro, rimasto solo, si guardò attorno, stette un po' di tempo coll'occhio immobile sul limitare della porta, poi appuntellò i gomiti sul tavolino, appoggiò la testa sulle mani, due grosse lacrime gli si formarono nel cavo degli occhi, vi luccicarono dentro un istante e gli scesero giù per le gote rapidamente come se temessero d'essere vedute. Egli si passò la mano sugli occhi, guardò il sigaro, era spento; ah! questa volta erano lacrime davvero; abbandonò la testa sull'un dei gomiti, e le lasciò scorrere tutte, chè ne aveva proprio bisogno.

       Indice

      Dopo aver fatto battere i colpi del silenzio, l'ufficiale di picchetto diede un'occhiata in giro al cortile del quartiere, non c'era più nessuno; s'affacciò alle scale che mettono ai cameroni, nessuno; alzò gli occhi ai terrazzini, nessuno; uno sguardo al portone, chiuso; una sbirciata nel corpo di guardia, c'erano tutti; i lumi sui pianerottoli e nei corridoi c'erano, le sentinelle c'erano, i piantoni c'erano; tutto era in ordine, tutto era quieto, il reggimento dormiva. Che restava da fare all'ufficiale di picchetto? Niente, dormire. E così pensò di fare. Volse ancora una volta gli occhi intorno, di sopra, di sotto; si avvicinò alla porta della cantina, la tentò colla mano, era chiusa; tese l'orecchio, nessun rumore.—Ora me ne posso andare a dormire,—disse fra sè, e si mosse verso la sua camera. Mormorò prima qualche paroletta nell'orecchio al sergente di guardia:—Siamo intesi, eh?—e avutone in risposta un rispettoso:—Non dubiti!—accompagnato da un posar della mano sul petto in atto di coscienziosa promessa, entrò, chiuse, si levò berretto, sciabola, sciarpa, si accostò al letto, accomodò la rimboccatura delle lenzuola, portò la destra al primo bottone della tunica.... Ma—e la ronda?—pensò facendo un lieve cenno col capo come se movesse la domanda ad un altro; e, preso il lume in atto dispettoso, si andò a piantare diritto come un palo dinanzi alla tabella dell'orario, affissa ad una delle pareti sotto il ritratto del Re. Puntò l'indice in fondo al foglio e cominciò a farlo serpeggiare sotto le righe leggendo rapidamente e masticando le parole in suono inarticolato e stizzoso, finchè si fermò ad un tratto e pronunciò con voce distinta: Ronda nell'interno delle camerate, alle undici.—Ih!—soggiunse tosto ritornando verso il letto e battendo con forza il candeliere sopra il tavolino, n'ero ben certo io!—e stava lì dritto, immobile, cogli occhi fissi sul guanciale, e le mani in atto di sbottonare la tunica.

      Ronda! Ronda!—prese a dir poi, facendo lentamente uscir dall'occhiello bottone per bottone;—dopo essere stati in piedi tutto il giorno, dopo aver corso di qua e di là e di su e di giù senza un minuto di requie, ed essersi sfiatati a gridare dalla mattina alla sera, viene finalmente l'ora di posar le ossa in un po' di letto e godere un momento di pace; ma nossignori, c'è la ronda! la ronda alle undici. Voi dovete pigliare in mano la vostra brava lanterna e da capo a girare, a frugare, a strillare, e perchè tutti siano a letto, e perchè la cantina sia chiusa, e perchè non aprano il portone, e perchè nessuno se la batta dalle finestre, e dàgli e dàgli, che la durerà fin che la può durare. Finalmente....

      Intanto aveva gettata la tunica sopra una seggiola accanto al letto.

      —Finalmente sono di carne anch'io come tutti gli altri, e la pelle pel servizio non ce la voglio lasciare; oh no di sicuro. Già a questo modo non si va più avanti; è impossibile. Senza burle, non c'è nemmeno tempo per mangiare, non c'è; e la tabella è lì che lo può dire. Niente di più facile...

      E i calzoni erano andati a far compagnia alla tunica.

      —Niente di più facile che metter fuori un orario, seduti a tavolino, con un buon pranzo in corpo e un sigaro da sette in bocca; niente di più facile. Il guaio è per i poveri diavoli che ci hanno da stare, all'orario. Gli è sempre in basso che si sgobba. Che un povero uffiziale di picchetto non abbia tempo a fare un po' di chilo, o che importa a certi signori? Sgobbi, sgobbi; e se sgarra, dentro. In fin dei conti....

      E le mutande erano andate a riposar coi calzoni.

      —In fin dei conti poi, chi ha da capitare qui a quest'ora, alle dieci? Chi si piglierà la scesa di testa di venire a vedere se io faccio o non faccio la ronda? Fuori, un freddo da cani, un vento che fa gelar la faccia; una strada poi, che c'è da rompersi il collo ad ogni passo. Il colonnello sta dall'altra parte della città, e poi non è solito a far delle sorprese. Il maggior di servizio.... oh quello lì è ammogliato e non c'è pericolo che si risolva a venire. Il capitano d'ispezione a quest'ora è là che fa la sua partita a tarocchi e non gli salta certo il ghiribizzo di trascinarsi fin qua. E poi, e quand'anco venisse? Convien pure....

      Intanto s'era ficcato nel letto, tutto tremante di freddo, e rannicchiandosi e rivoltandosi mollemente sotto le coltri moveva le labbra ad un risolino di voluttuosa poltroneria.

      —Convien pure che picchi per farsi aprire. E prima che il caporale di guardia l'abbia sentito, e si sia mosso, ed abbia trovato il buco della serratura, ed abbia aperto, son cinque minuti che corrono ed io ho tempo di vestirmi o bene o male, volare alla porta, aprirla, afferrar la lanterna nel corpo di guardia e via nei cameroni a recitare la mia parte....

      E qui die' un gran soffio nel lume, si tirò le coperte sul capo, si voltò sopra un fianco, cercò una comoda positura e chiuse gli occhi, pensando:—e via nei cameroni a recitar la mia parte. Oh gli è pure un gran gusto il cacciarsi in un letto dopo aver faticato tutto il giorno! Che mestiere! E dire che con tutto il mio buon volere non ne indovino mai una, con quel barbone di capitano. La carne è cruda? Di chi è la colpa? Mia. Le scale son sudice? Chi ne ha il torto? Io, diavolo. I cameroni sono in disordine? Chi se la piglia la parrucca? Io, io, sempre io, non altri che io.—Oh che buon letto.—E a sentir certuni noi siam gente che non ha altro da fare che empir di fumo i caffè e dar dietro alle ragazze. Venite a provare, venite, ora che tutto il mondo è in aspettativa.... e con quel fior di stipendio.... e le imposte....

      A mano a mano, divagando in questa difesa di sè stesso, i pensieri e le immagini gli si intorbidarono; il capitano, il maggiore, la moglie, le aspettative, le imposte si confusero in una mescolanza bizzarra che si dileguò a poco a poco, a poco a poco.... Sonno profondo.

      Ma non s'era addormentato senza un po' di inquietudine, senza un po' di rimorso. Ogni volta che gli veniva in capo l'idea della ronda ei si sentiva dentro un po' di stringimento. Lo stesso accade al discoletto che mancò alla scuola per andar coi compagni a far alle palle di neve: l'immagine del maestro e della mamma lo assale a quando a quando e l'inquieta, e più ei la scaccia da sè, più quella ritorna importuna e piccosa come una mosca.

      Sognò. Cominciarono a passargli per la mente l'un dopo l'altro, que' dieci o dodici soldatacci indisciplinati che in tutti i reggimenti salgono in fama per iscappate notturne

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