Raji: Libro Tre. Charley Brindley
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CapitoloUno
Raji
Nell`autunno del 1932, Fuse ed io stavamo attraversando il campus quasi deserto della Theodore Roosevelt University, a Richmond, in Virginia.
Eravamo studenti del terzo anno della scuola di medicina e saremmo stati i primi della classe, se ce ne fosse stata una. Due giorni prima, eravamo seduti sulle rigide sedie di legno davanti alla scrivania della Dottoressa Octavia Pompeii. Lei era direttrice della facoltà di medicina e sembrava che portasse sulle sue piccole spalle il peso di tutta l`università. I suoi bellissimi capelli rossi si stavano assottigliando, e negli ultimi due anni le mèche grigie si erano insinuate tra i riccioli sulle sue tempie. Le occhiaie le rattristavano gli occhi.
La dottoressa Pompeii tirò un sospiro. ”Raji, Fuse, ho cattive notizie”.
Fuse ed io ci guardammo l`un l`altro. Sapevamo che l`università era in difficoltà finanziarie, come tutte le scuole. Facoltà e studenti si erano allontanati fin dal crollo del 1929.
"Stiamo chiudendo la scuola di medicina", disse la dottoressa Pompeii.
"Oh, no", dissi. "Perché?"
Giocò un attimo con una matita gialla. "Abbiamo perso il settanta per cento dei nostri finanziamenti e l'iscrizione per il prossimo semestre è quasi nulla".
Fuse era tranquillo, ma sapevo che era sotto shock, proprio come me. Avevamo parlato proprio di questo evento nel corso dell'ultimo semestre, ma non credo che credessimo davvero che sarebbe successo. Nessuno parlò per un po'.
"Dottoressa Pompeii", disse finalmente Fuse. "Cosa farà?”
Il mio vecchio amico Fuse, sempre a pensare prima agli altri.
"Anche se sembrerà strano", disse, "torno a scuola".
"È meraviglioso, dottoressa Pompeii", dissi. "Dove?"
“Cornell University. Studierò Ortopedia.” Guardò i documenti sulla sua scrivania. "Ho preparato una lista di dieci scuole in cui voglio che entrambi facciate domanda. Ho inviato lettere di raccomandazione, insieme alle vostre trascrizioni, a tutte e dieci. Non ho idea di quale sia la situazione delle borse di studio, ma dovete provarci".
"Dottoressa Pompeii", disse Fuse. "Non credo che..." Si fermò a guardarmi. "Credo che nessuna di loro abbia soldi per le borse di studio".
"Non puoi saperlo. Se nessuna di queste dieci ti accoglierà, allora ne troveremo altri dieci. Non c'è nessuno in questo Paese più meritevole di borse di studio di te e Raji".
Presi la lista delle scuole. "Grazie mille, dottoressa Pompeii", dissi, poi mi alzai in piedi. "Ci mettiamo subito al lavoro".
La dottoressa Pompeii si alzò dalla sua sedia e si avvicinò alla scrivania per prendermi la mano. "Auguro ad entrambi tutta la fortuna del mondo". Tese l'altra mano verso Fuse.
“Grazie, Dottoressa Pompeii,” disse Fuse. “Grazie per tutto quello che ha fatto per noi.”
* * * * *
Non so perché, ma la nostra passeggiata ci portò al campus vicino l'Accademia Octavia Pompeii. Pensai al giorno della mia iscrizione, nell'agosto 1926. Fuse non finì la gara tra i primi cinquanta, ma fu invitato a partecipare quando uno degli altri studenti dovette andarsene a causa di un decesso in famiglia.
Ora l'Accademia, un tempo vivace, era deprimente, con le finestre e le porte sbarrate e le erbacce che ricoprivano i marciapiedi e i campi da tennis. Ci fermammo davanti a Casa di Annibale e vedemmo un trio di corvi beccare il parapetto disgregante sopra la porta.
"Ho scritto una lettera alla mamma", disse Fuse, tenendo lo sguardo sui corvi.
"Te ne vai, vero?"
Annuì, senza guardarmi. Girai sul marciapiede, guardando le crepe del cemento che si sgretolava. Lui camminava accanto a me.
"Dove andiamo?" Gli chiesi.
Si fermò per guardarmi in faccia, e vidi quel sorriso storto che conoscevo così bene.
"Ho sempre voluto vedere l'India".
"Anch'io." Gli restituii il sorriso.
Erano passati quindici anni da quando ero stata prelevata da casa mia a Calcutta. Ripensando alla mia vita in America, credo davvero di dover essere grata a quei teppisti che, nel 1912, mi avevano rapita dalla strada, insieme ad altre venti ragazze. Fummo spedite a New York nella stiva di un battello assieme al bestiame, e poi vendute per diventare serve a pagamento. Dopo il mio tredicesimo compleanno, ero scappata dalla casa nel Queens dove ero stata tenuta prigioniera. Due giorni dopo, ero finita a dormire in un fienile in Virginia.
Che fortuna per me che il fienile appartenesse alla famiglia Fusilier. Fuse, che all'epoca era un ragazzo di quattordici anni, mi scoprì la mattina dopo, e passai l'anno più bello della mia vita con lui e la sua famiglia. Marie Fusilier mi accolse come se fossi sua figlia.
"Dovrei scrivere anch’io a Mamma Marie". Presi la mano di Fuse.
"Le ho detto che saresti venuta con me".
"Beh, presuntuoso da parte tua."
“Ah-ah.”
Quella sera, io e Fuse facemmo le valigie e ci facemmo dare un passaggio fino a New York City sul retro di un camion di patate, poi camminammo lungo il molo di Lower Manhattan.
Due giorni dopo, ci imbarcammo sulla Borboleta Nova, sotto il comando del capitano Sinaway. La Borboleta era una bellissima nave da carico nuova, a soli sei mesi dai cantieri navali di Lisbona. Era diretta a Calcutta con un carico di dinamite, e siccome né Fuse né io avevamo esperienza di navigazione, il capitano assegnò Fuse alla sala macchine, a spalare carbone, e a me fece fare il marinaio. Non ci importava cosa avremmo dovuto fare, volevamo solo scappare. Da cosa, credo che nessuno di noi due lo sapesse.
Ero molto preoccupata di vedere la mia famiglia, soprattutto mia madre, Hajini. Sette anni prima, mi aveva scritto alla fattoria dei Fusilier, informandomi che mi aveva organizzato un matrimonio. Era stato uno shock, a quattordici anni, sapere che mia madre mi aveva promessa sposa a un uomo di quarantasette anni. Mamma Marie Fusilier era altrettanto sorpresa. Mi disse che se un uomo avesse sposato una bambina in America, sarebbe andato in prigione.
Marie mi aveva aiutato a scrivere a mia madre in India, spiegandomi che avrei voluto aspettare il matrimonio fino all'età di almeno diciotto anni, poi avrei voluto scegliermi mio marito.
Mia madre mi aveva risposto, dicendomi che ero irrispettosa e che questo tipo di comportamento non era permesso. Inoltre, lei e mio padre