Raji: Libro Tre. Charley Brindley

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Raji: Libro Tre - Charley Brindley

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nota mentalmente del nome dell'hotel e dell'indirizzo di Mandalay.

      Due settimane dopo, incontrai Kayin nella hall dell'hotel Nadi Myanmar.

      Una giovane donna sorridente batté forte il campanello con il palmo della mano per chiamare il fattorino.

      "Le auguro un buon soggiorno, signor Busetilear", disse Kayin consegnandomi una ricevuta da tre dollari per una settimana di soggiorno nell'albergo. Non riusciva mai a pronunciare correttamente il mio cognome, Fusilier.

      Riavvitai il cappuccio della mia stilografica e la misi via, ma prima di poterla ringraziarla per il gentile augurio, il fattorino afferrò la mia valigia e strappò la chiave della stanza dalle nostre mani ancora che si toccavano. Kayin aveva posato la chiave nella mia mano, ma sembrava riluttante a lasciarla, quanto lo fossi io a perdere il suo tocco.

      "Affrettati con Po-Sin da questa parte, sbrigati", disse il ragazzo, trascinando la mia pesante valigia sul pavimento. "Salta sull'ascensore prima che parta, se vuoi".

      Po-Sin aveva apparentemente fretta di finire con me e il mio bagaglio, per poter raccogliere la sua mancia di dieci centesimi e tornare all'ingresso e al suo posto in fila con gli altri ragazzi, in attesa del prossimo spendaccione. Aveva circa quindici anni ed era vestito elegantemente, indossava un berretto senza visiera - simile ad un fez senza nappa - una giacca marrone aderente in vita con tre strisce gialle sulle maniche. Indossava anche un longyi dai colori vivaci, l'indumento tradizionale a forma di gonna avvolgente indossato sia dagli uomini che dalle donne in Birmania.

      Presi il mio berretto dal bancone e mi voltai per seguire Po-Sin. Dopo pochi passi, sbirciai indietro e vidi Kayin che mi guardava. Un breve cipiglio le attraversò le labbra prima di far rivivere il suo sorriso commerciale per il prossimo ospite.

      "Benvenuto all'Hotel Nadi Myanmar", disse ad un rigido giovane inglese che sventolava il suo ombrello arrotolato davanti a sé come se fosse una specie di arma benigna usata per liberare il suo cammino da qualsiasi persona indesiderata. L'uomo indossava un immacolato completo bianco e un elmetto coloniale abbinato, con una lunga piuma d'albatro che spuntava dalla fascia.

      Abbassai lo sguardo sul mio vecchio berretto da marinaio sporco, poi di nuovo su Kayin. Le sue parole e il suo sorriso per l'inglese erano identici a quelli che aveva rivoltoa me solo pochi istanti prima.

      * * * * *

      Fu un incidente, il mio incontro con Kayin alla porta d'ingresso dell'hotel - lei usciva mentre io rientravo dopo una passeggiata al fiume. Fu il giorno dopo averla incontrata per la prima volta alla reception. Quando ero uscito dalla mia stanza, avevoguardato verso la reception, sperando che fosse libera per poterle fare qualche domanda su dove trovare il tempio buddista più vicino o quanto fosse lontano il fiume, solo per parlarle. Ma era occupata con il direttore, un inglese, e ho pensato che fosse meglio non interrompere.

      "Le mie scuse, signor Busetilear", mi disse Kayin fuori dalla porta d'ingresso, dopo esserci scontrati. "Sono così imbarazzata". Si inginocchiò per raccogliere i suoi pacchetti.

      "No, no." Mi inginocchiai e sbattei deliberatamente la testa contro la sua. "È stata colpa mia".

      Lei rise e si strofinò il lato della testa, e io la fronte. "Forse sarà meglio che la prossima volta, manteniamo le distanze l'uno dall'altro per non fare altri danni" disse.

      La sua risata era bellissima, ed esattamente la risposta che avevo previsto.

      "Sai per caso, dov'è il tempio buddista più vicino?” Chiesi.

      I suoi occhi si spalancarono. "Sei buddista?"

      "No." Le presi il gomito per aiutarla ad alzarsi. Non potevo mentirle. L'avevo già ingannata con la testata, ma quello era giustificato. "No, non sono buddista, ma mi piacerebbe vedere l'interno di un tempio". Ero certo che fosse buddista, come la maggior parte dei birmani.

      "Ho solo un'ora per il pranzo, e devo fare una commissione in banca per quel signor Haverstock, il nostro direttore, e poi anche all'ufficio dell'American Express".

      "Oh." Ero sconcertato. Questo era senza pretese. Ero davvero deluso dal fatto che lei fosse occupata. "Capisco." Ebbi un'ispirazione improvvisa. "Posso fare la strada con te fino alla banca? Poi potrai indicarmi la direzione di un tempio".

      Se si era inventata la storia delle commissioni per il direttore dell'hotel e stava andando a incontrare il suo ragazzo, o marito, allora mi avrebbe detto di farmi gli affari miei e di trovare un tempio da solo. Una donna bella come lei doveva sicuramente avere un fidanzato, se non un marito.

      "Certo", rispose subito. "Sarei felice della tua compagnia durante la passeggiata fino alla banca. La strada è piuttosto lunga".

      Lungo la strada, chiacchierammo tranquillamente della Birmania, Mandalay, l'hotel, il suo lavoro, il suo capo, e proprio quando stavamo arrivando alle informazioni personali che tanto volevo sapere, mi fermò.

      "Bene", disse lei, "eccola qui, la banca dove devo lasciare i soldi dell'albergo".

      Guardai l'imponente edificio romanico che si ergeva per quattro piani. Su una lastra di marmo sopra la porta c'era scritto "Reserve Bank of India". A quel tempo, la Birmania faceva ancora parte dell'India e gli inglesi usavano la stessa moneta in tutta la zona.

      "Già!" Ero sinceramente sorpreso che fossimo già lì. "Ma avevi detto che la strada era lunga".

      "Abbiamo fatto più o meno dodici isolati". Era accanto alla porta della banca, con un dolce sorriso.

      "Oh", dissi dopo un istante. "Dov'è il tempio?".

      "Basta andare da questa parte per due o più isolati, poi giri a sinistra, cammini un po’ fino a quando vedi una casa colore giallo brillante. Fermati e cerca un piccolo ponte davanti a te, gira a sinistra, un altro paio di minuti e ti troverai di fronte al tempio Shwe Nadaw".

      Non potevo esserne sicuro, ma ebbi la netta sensazione che cercasse di disorientarmi con le sue rapide indicazioni.

      "Hai detto che sulla mia sinistra c'è il negozio giallo o a destra?" Cercai di rendere la cosa ancora più confusa.

      "Aspettami qui tre minuti, poi ci passeremo davanti insieme".

      Con un sorriso luminoso, entrò in banca. La guardai dalla finestra mentre consegnava i soldi dell'albergo ad un cassiere, poi si avvicinò ad una giovane donna seduta ad una scrivania e si chinò per dirle qualcosa. La signora diede un'occhiata nella mia direzione, e io distolsi lo sguardo su un poliziotto che passava in bicicletta.

      Dopo aver lasciato la banca, camminammo lungo Yadanar Street fino alle rive del canale di Nadi, dove acquistaidell’ohno khauk swe da un venditore ambulante per il nostro pranzo. Il cibo consisteva in spaghetti di riso e pollo cotto nel latte di cocco. Era molto piccante, come la maggior parte del cibo birmano, e delizioso.

      Tornammo in ritardo all'hotel, ma Kayin mi assicurò che era tutto a posto. Le dissi che se avesse avuto qualche problema con il direttore, mi sarei fatto perdonare con una bella cena in un ristorante vicino.

      “Beh,” disse, “forse potrei trovarmi un po’ nei guai.”

      Alle sei del pomeriggio, quando avrebbe finito il servizio, sarebbe andata a casa a cambiarsi, disse, poi ci saremmo incontrati davanti al ristorante alle otto.

      Fu

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