Conquista Di Mezzanotte. Arial Burnz

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Conquista Di Mezzanotte - Arial Burnz

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incalzò.

      “Oh, non è per me, ma per mio fratello,” replicò Davina.

      “Ah, un'arma molto bella, da infilare nello stivale! Avete visto le incisioni d'argento lungo la lama?”

      “E' veramente argento?” Davina sollevò il pugnale da stivale ed osservò le incisioni celtiche, decorative, che scendevano a spirale lungo la stretta lama.

      “Sì! Un'opera d'arte.” Quando l'uomo le disse il prezzo, Davina contorse le mani. “Vero argento. Lo giuro.”

      Lei gli restituì la spada, ma il fabbro non voleva prenderla. Si guardò intorno, poi sussurrò un prezzo più basso con fare cospiratorio. Non molto più basso, ma abbastanza. Davina si arrese e gli diede la moneta.

      Rosselyn tirò Davina per la manica. “Guarda,” disse indicando una donna anziana. La zingara aveva una lunga treccia argentata e una sciarpa scarlatta le copriva la testa.

      La donna fece un cenno verso di loro. Era seduta davanti a una tenda dipinta con la figura impressionante di una donna dai capelli chiari, seduta dietro a un tavolo sul quale erano sparpagliate delle tavolette. Stelle, lune ed altri strani simboli che Davina non riconobbe fluttuavano intorno alla cascata di capelli biondi della donna. “Quali servizi offre, secondo te?” Davina sussurrò intimorita.

      Rosselyn rivolse lo sguardo oltre il cerchio di tende e carrozzoni, in direzione delle loro madri. Lilias e Myrna erano ferme davanti a un mucchio di nastri drappeggiati sulle braccia di un uomo. Rosselyn afferrò la mano di Davina, mentre un ampio sorriso si allargava sulle sue labbra sottili e una scintilla birichina le accendeva gli occhi nocciola. “Vieni!”

      Davina si sforzò di stare al passo quando Rosselyn la tirò per la mano, quindi corsero fino a ritrovarsi senza fiato davanti alla zingara.

      “Vedo che siete impazienti di farvi predire la sorte,” intervenne la gitana nel suo bell'accento francese, poi mosse la mano rugosa verso l'apertura nella tenda. “Solo una alla volta, s'il vous plaît.”

      “Vai tu per prima, Roz,” la incoraggiò Davina.

      Rosselyn fece un passo verso l'ingresso della tenda, poi si fermò. Si voltò indietro e passò lo sguardo tra Davina e la zingara. “Non deve andare da nessuna parte.” Spostando di nuovo lo sguardo su Davina, scosse il dito in segno di rimprovero. “Resta qui, hai capito? Tua madre mi staccherà la testa, se andrai in giro senza di me.”

      La donna afferrò la mano di Davina e l'accarezzò affettuosamente con il suo tocco caldo. “Non abbiate paura, mademoiselle. Le farò la guardia a rischio della mia stessa vita, mentre beviamo un tè.” Quindi sospinse Davina verso un piccolo sgabello davanti al fuoco; Rosselyn sembrò soddisfatta della sistemazione e si affrettò ad entrare nella tenda, ansiosa di fare quella seduta

      “Vi piace il tè, oui?” La donna guardò il palmo di Davina. “Io sono Amice.”

      “Il mio nome è Davina,” rispose lei in francese. Com'era d'uso nelle corti scozzesi, Davina aveva studiato il francese, anche se i legami tra la sua famiglia e la Corte erano piuttosto lontani. “E sì, vi sarei molto grata se mi offriste una tazza di tè.” Un ampio sorriso si allargò sulla bocca di Amice, quando Davina usò la lingua madre della vecchia, e Davina osservò la zingara che le studiava la mano e stringeva gli occhi per leggere le linee. “Cosa vedete?”

      Amice alzò le spalle, strofinò il centro del palmo di Davina, poi le sorrise. I suoi occhi giovanili si posarono di nuovo su Davina, tra le rughe che il tempo aveva scavato sul suo viso. “I miei occhi sono vecchi e non vedo niente. Volete farvi leggere la mano?”

      “Leggere la mano?” Davina aggrottò le sopracciglia. “Potete leggere un palmo come si legge un libro?”

      Amice scosse la mano sbrigativamente. “E' un modo di dire.” Spinse gentilmente Davina a sedersi e, prima di prendere anche lei uno sgabello, le porse due tazze di terracotta. Davina si posò in grembo il regalo per suo fratello, per lasciare libere le mani. Amice allungò la mano dietro di sé ed afferrò una piccola cesta; sbriciolò qualche foglia di tè nelle tazze, poi mise da parte la cesta. Prese quindi un grosso straccio sul ceppo tagliato in mezzo a loro, che fungeva da tavolo improvvisato, per afferrare una teiera appoggiata sul fuoco. Sorrise e versò l'acqua calda nelle due tazze da tè, riempiendone una solo a metà, che prese per se stessa, e lasciando a Davina quella ricolma.

      Il freddo della notte pizzicava le guance di Davina, quindi tenne la tazza calda tra i palmi, soffiando sul liquido ambrato.

      Sentì uno scricchiolio dietro di sé e quando si voltò vide una ragazzina con i capelli dorati arruffati, che sbirciava attraverso la porta del carrozzone della zingara. La bambina sembrava poco più giovane dei tredici anni di Davina, che le sorrise e le fece un timido cenno con la mano. La bimba aggrottò la fronte, tirò fuori la lingua, poi si rintanò all'interno.

      Amice chiamò Davina con un cenno della mano. “Venite, ho preparato il tè.” Davina rimase a bocca aperta per la maleducazione della ragazzina, poi si voltò a bere il tè accigliata.

      Aveva bevuto più di metà tazza, quando notò che Amice non aveva ancora bevuto un sorso, ma aveva invece posato la tazza sul ceppo. Prima che Davina potesse farle domande, Rosselyn riemerse dalla tenda, strofinandosi il palmo e sorridendo. “Affascinante, signora!”

      “Mamma mia! Come hanno fatto presto!” Davina rivolse un'occhiata dispiaciuta ad Amice. Chinandosi in avanti, la gitana afferrò la teiera e riempì la tazza sul ceppo. Con le foglie già sminuzzate, l'acqua aggiunta fornì una tazza di tè bollente.

      Che furba! Pensò Davina.

      Mentre Rosselyn e Amice si scambiavano i convenevoli, Davina finì il tè- facendo attenzione a non inghiottire le foglie rimaste- poi porse la tazza ad Amice ed entrò nella tenda. Un aroma speziato di incenso aleggiava nell'aria e lei inalò quel profumo esotico. La luce soffusa creava un'atmosfera rilassante; la luce del falò all'esterno gettava delle ombre sulle pareti di tela, dando all'ambiente le sembianze di un sogno. C'era un tavolo ad un'estremità, con un piccolo sgabello davanti ad esso. Delle lampade a olio su sostegni di ferro illuminavano una cesta in un angolo del tavolo, e dietro al tavolo non era seduta un'altra vecchia o una ragazza gitana carica di gioielli, come si aspettava Davina, ma l'uomo più robusto sul quale lei avesse mai posato gli occhi. E molto bello!

      Il suo cuore inesperto batté forte nel suo esile corpo, quando lo sguardo penetrante dell'uomo incontrò il suo.

      Quel gigante sovrastava tutto ciò che si trovava nella stanza. Il petto e le braccia si gonfiavano sotto la stoffa sottile della sua camicia di lino marrone. Una piccola apertura nel colletto rivelava una massa di peli ricci castano-ramati, fiammeggianti come i capelli sulla sua testa- sorprendenti sotto la luce delle lampade. Il rossore riscaldò il viso di Davina, causato da quel mix di emozioni sconosciute che la attraversarono alla semplice vista dell'uomo, quindi afferrò il lembo della tenda, pensando di scappare da quel seduttore.

      “Prego, ragazza,” disse lui in un tono profondo e morbido come la crema. Si chinò in avanti, posando un gomito sul tavolo, poi allungò l'altra mano verso di lei e il tavolo scricchiolò di conseguenza. “Lasciami leggere il palmo.”

      Attirata da quella voce pastosa e da quegli occhi socchiusi, Davina lasciò andare il lembo e si sedette davanti a lui. “Mi chiamo Davina,” gli disse cercando di rimandare.

      “E' un onore incontrarti, signora. Io sono Broderick.” L'uomo sorrise e le viscere di Davina si sciolsero

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