La Proposta Del Miliardario. Jambrea Jo Jones

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La Proposta Del Miliardario - Jambrea Jo Jones

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quelli che gli sembrarono solo un paio di minuti, ma che probabilmente erano molti di più, udì un lieve bussare alla porta che gli fece perdere la concentrazione.

      “Avanti,” disse Remi.

      Sara Jo fece capolino. “Capo, hai un minuto libero per parlare con Elros Carter?”

      Remi posò la penna. “Sì, certo.” Si passò una mano sul viso. Il mal di testa di quella mattina era sparito ma i suoi occhi erano stanchi per aver passato tutto quel tempo concentrato sui disegni del progetto. Conosceva bene quel nome, Elros Carter, ma non riusciva ad associare un volto.

      “Vuoi che ti porti altro caffè?” Sara Jo gli sorrise.

      Remi guardò la tazza ormai vuota e ci pensò un secondo, poi rispose. “No, va bene così. Credo di averne bevuto abbastanza.”

      “D'accordo. Ricordati che hai una riunione all'una e mezzo.” Gli fece un piccolo sorriso.

      “Credevo fosse all'una.” Remi guardò il calendario.

      “È stata spostata un po' perché il signor Johnson ha avuto alcuni problemi.” Sara Jo gli lanciò uno sguardo consapevole, dicendogli senza bisogno di parole che era stato lui stesso a dare l'okay per il cambio d'orario.

      “Va bene, immagino di avere più di un minuto libero per Elros Carter, allora. Fallo entrare.” Remi le fece cenno di andare.

      Sara Jo annuì e aprì completamente la porta, facendo entrare un ragazzo alto con i capelli neri e gli occhi più scuri che Remi avesse mai visto. Doveva essere almeno un metro e ottanta e il suo corpo era snello e ben fatto. Il tipo di uomo che avrebbe puntato subito in un locale.

      Merda.

      Solo in quel momento collegò il suo nome al suo volto. Doveva essere davvero stanco. Sapeva bene chi era Elros. Remi aveva dieci addetti specializzati nel settore siderurgico e conosceva tutti i loro nomi. Quando Elros era stato assunto, Remi si era assicurato di non lavorare a stretto contatto con lui per tenersi fuori dai guai.

      Non usciva con i dipendenti. E il motivo aveva un nome ben preciso. Si chiamava causa civile, e Remi non voleva avere niente a che fare con una di quelle. Tuttavia, un piano iniziò a prendere vita nella sua mente. Sapeva che era una cattiva idea ma avrebbe potuto togliergli di dosso suo padre. E, inoltre, non avrebbe infranto la regola di non uscire con i dipendenti, non se tutto fosse rimasto una mera invenzione.

      Un finto fidanzato?

      Quello poteva trovarselo.

      Capitolo Due

      El rimase in piedi davanti alla scrivania del signor Marlow finché non gli venne detto di sedersi. Giocherellò con i polsini della camicia e lisciò il tessuto dei pantaloni per cercare di calmarsi. Non funzionò. Il suo cuore batteva troppo forte e riusciva a sentire le goccioline di sudore scendergli lungo la schiena. El aveva una cotta per il “grande capo”… non che quell'infatuazione potesse evolversi in altro. Era solo un dipendente dell'azienda, mentre Remington Marlow era un miliardario che poteva avere qualsiasi uomo volesse. Inoltre, El era lì per parlare di lavoro, non per fare il punto sulla propria vita sentimentale. Doveva iniziare a parlare e chiedergli di poter fare delle ore extra. Doveva fare in fretta per poter tornare a casa e controllare la salute di sua madre. Non aveva tempo di pensare a qualcosa che ovviamente non sarebbe mai accaduto. Doveva concentrarsi sulle cose pratiche. Le fantasie e i sogni non facevano più parte della sua vita da un bel po' di tempo.

      Poi, Remington Marlow fece la cosa più sbagliata. Sorrise.

      Dio.

      Il cuore di El aveva forse smesso di battere? Perché non riusciva né a sentirlo né a riprendere fiato. Il suo cervello smise di funzionare e, per un breve attimo, non riuscì nemmeno a ricordare perché fosse lì. Merda. Doveva andarsene da quell'ufficio prima di rendersi completamente ridicolo. Si sarebbe ritrovato senza un lavoro nel giro di un battito di ciglia, se il “grande capo” si fosse accorto dei suoi pensieri.

      “Allora, come posso aiutarti?” chiese Remington, unendo le dita sopra la scrivania e fissandolo in modo penetrante.

      “Io…” El si schiarì la gola. “Vede, mi chiedevo se fosse possibile fare qualche altra ora di straordinario. Abbiamo alcuni nuovi progetti sui quali potrei lavorare fuori orario d'ufficio.”

      Ecco fatto. Era riuscito a dirlo senza troppi problemi. Sperava solo che la sua faccia non fosse diventata troppo rossa e che la voce non avesse tremato tanto quanto l'avevano percepita le sue stesse orecchie. Sarebbe stato imbarazzante. Era un dipendente specializzato, dannazione, doveva comportarsi come tale.

      “Ho capito. Fammi controllare un paio di cose.” Il signor Marlow si voltò verso il computer e premette alcuni tasti, poi si accigliò. “Mi dispiace. Sembra che tu abbia già raggiunto il numero massimo di ore lavorative settimanali.” Digitò qualcos'altro.

      El si coprì il viso con le mani e chiuse gli occhi. Avrebbe dovuto trovarsi un secondo lavoro e non poteva più permettersi di lasciare sua madre da sola, anche se a lei andava bene. El aveva bisogno di essere al suo fianco per aiutarla.

      Non avevano bisogno di nessun altro e, se avesse chiamato la casa di riposo, sarebbe stato come ammettere di aver perso. Uno dei vantaggi di quel lavoro era la possibilità di lavorare da casa. L'azienda offriva ai dipendenti dei computer per poter accedere al sistema in modo da continuare a lavorare ai progetti di cui si stava occupando, anche se non era più nell'ufficio. Aveva cercato di non abusare di quel privilegio ma, con sua madre sempre più malata, era stato costretto a fare di tutto pur di stare con lei. Le ore di straordinario potevano essere svolte a casa, ed era proprio quello che El aveva sperato di poter ottenere andando a parlare con il grande capo. Non poteva trovare un altro impiego, perché sicuramente avrebbe richiesto la sua presenza fisica sul posto di lavoro.

       Questa giornata può peggiorare ancora?

      Sospirò e si asciugò le mani sulle cosce, poi si alzò e tese la mano. “Mi scuso per il disturbo. Grazie per il suo tempo, signor Marlow.”

      “Non avere fretta.” L'uomo tamburellò con le dita sulla scrivania. “Siediti, per favore.”

      Il signor Marlow lo stava fissando così intensamente da metterlo un po' a disagio. El si voltò per andarsene. Doveva uscire. Subito. Se non lo avesse fatto avrebbe rischiato di fare qualcosa di cui si sarebbe senza alcun dubbio pentito. Quindi doveva uscire da quell'ufficio e cercare subito un secondo lavoro. “Ho davvero bisogno di fare la pausa pranzo. Io ho…”

      Il signor Marlow si alzò e gli si avvicinò. “E se avessi una proposta per te? Non voglio immischiarmi nella tua vita privata, ma quanto hai bisogno di lavorare?” Si avvicinò al bordo della scrivania e si sedette, le braccia incrociate sul petto.

      Quello lo sorprese. Cosa aveva intenzione di fare il suo datore di lavoro?

      “È personale.” El tornò verso la sedia. Qualcosa nel modo in cui il signor Marlow lo stava guardando lo metteva a disagio. Non riusciva però a capire cosa e non poteva permettersi di offendere il proprio datore di lavoro. Se fosse stato costretto a ricominciare da capo da qualche altra parte si sarebbe ritrovato ben più indebitato di quanto fosse in quel momento. Stava cercando di fare del suo meglio con quello che aveva e non aveva mai chiesto un congedo familiare o un giorno di permesso. Nessuno all'interno dell'azienda sapeva di sua madre, tranne Sara Jo, e El aveva intenzione di continuare

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