Ogni Minuto. C. J. Burright

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Ogni Minuto - C. J. Burright

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sorrise. “Quasi?”

      “Confesso,” sussurrò lei. “Ne vale assolutamente la pena.”

      Il corpo di Garret s’irrigidì in punti scomodi. Avrebbe scambiato il suo violino per sentirla parlare di lui con quella voce sexy e senza fiato. “C’è anche del cibo.” Il giovane aveva voglia di prenderle la mano, di stabilire un qualche tipo di contatto fisico. Invece, s’infilò le mani in tasca. “Meglio dei corn dog freddi e stantii.”

      “Con questo scenario, non m’importa se si tratta di haggis e ostriche delle Montagne Rocciose.” La voce di Adara era ancora bassa, stupita.

      “Questo è semplicemente sbagliato.” Forse avrebbe dovuto conservare le stelle per dopo, quando lei sembrava ansiosa di andare, qualcosa per convincerla a restare. Così com’era, non era sicuro di come avrebbe rivolto la sua attenzione su di lui. “Mangiamo. Puoi guardare le stelle tutta la notte, se è quello che vuoi.”

      “Lo voglio.” Adara usò lo stesso tono affannato.

      Garret si contorse immaginando lei che gli si rivolgeva in quel modo, con quella voce. Lo voleva anche lui e le stelle non ne facevano parte. Anche se avrebbero potuto. Più avanti, durante la loro relazione, una notte nel planetario da solo con Adara sarebbe stata astronomica: le stelle sopra la testa, lei tra le sue braccia, pelle contro pelle. Si grattò la mascella. Dato che Adara doveva ancora guardarlo di nuovo, aveva del lavoro da fare prima che ciò accadesse.

      Delicatamente, le fece strada tenendole una mano sulla schiena esile. Le sue dita stese la abbracciarono per intero. Aveva bisogno di più cibo e meno corse. Le afferrò il gomito mentre lei inciampava in una delle sedie a sdraio per osservare le stelle sparse per il planetario. “Le stelle non vanno da nessuna parte, Adara. Se inciampi e ti fai male, dovrò portarti all’ospedale. Allora non ci saranno più stelle e ci sarò solo io per molto più tempo della cena.”

      “Ottima osservazione. Sarebbe terribile.” Il fatto che la sua voce fosse ancora avvolgente e affannata ammorbidì qualsiasi insulto intenzionale. Lei oltrepassò il divano, interrompendo il lieve contatto con la mano di lui.

      Raggiungendo il tavolo, Adara si girò improvvisamente e lo affrontò. A pochi centimetri di distanza, il profumo di lei scivolò lungo i suoi sensi, qualcosa di dolce e tropicale. Forse cocco. “Perché stai facendo questo? Non m’interessa avere una relazione e se dovessi uscire con qualcuno, non sceglierei mai un musicista.” Adara sollevò elegantemente un dito in aria, come se le fosse appena venuta in mente un’idea brillante. “Dovresti chiedere a Gia di uscire. Sareste perfetti insieme. Le piacciono i musicisti.”

      “Gia non è il mio tipo.” Anche se Gia poteva essere attratta dai musicisti, Garret sospettava che le sue preferenze si fossero spostate verso i vestiti, le cravatte e le aule di tribunale, non che avesse intenzione di tirare fuori quel particolare argomento. Voleva concentrarsi su Adara, non sulla collisione di Ian e Gia che si profilava all’orizzonte. “Non devi avere paura di me e scappare dalle tue paure non le risolverà. Credimi, lo so. La maggior parte delle persone non si rende conto che avevo il terrore del palcoscenico. Le mie mani tremavano così tanto che riuscivo a malapena a tenere in mano il violino, figuriamoci a suonare, finché la mia insegnante, una novantenne ebrea che parlava a malapena l’inglese, mi diede questo consiglio.” Abbassando la voce, le si avvicinò di più. “Dai un nome alla tua paura. Possiedila e lei non ti possiederà.” Le fece l’occhiolino. “Yutzi.

      Gli occhi di Adara scintillarono e la sua bocca si contorse. “Idiota. La tua insegnante sapeva di cosa stava parlando. Tu, invece, non ne hai la minima idea. Io ho paura di te?” Sollevò il mento. “Non credo.”

      “No?” Garret le scivolò più vicino, costringendola a inclinare il mento per reggere il suo sguardo. “Allora lasciami suonare il violino per te.”

      “Non mi piace molto la musica.” Disse la giovane in un modo troppo disinvolto per essere creduta.

      Garret inarcò un sopracciglio. “A tutti piace la musica di qualche tipo. In un modo o nell’altro riempie tutto il mondo. Gli uccelli, il vento tra gli alberi, il mare contro la riva, gli insetti, la pioggia... È ovunque, ineluttabile. Cercare di evitarlo è come cercare di impedire al tuo cuore di battere. Fa parte di te, anche quando lo neghi.”

      “Hai mai sentito un gallo cantare all’una di notte?” Adara agitò le dita, sprezzante, impaziente. “Non la chiamerei musica.”

      “Le galline potrebbero non essere d’accordo.” Garret si strofinò il labbro inferiore, il suo battito accelerò. La stava perdendo. Il cibo non l’avrebbe tentata e nemmeno le stelle l’avrebbero trattenuta lì se lui avesse fatto la mossa sbagliata. “E se promettessi di suonare solo canzoni che non hanno un significato personale? E se creassimo nuovi legami emotivi, tu, la musica ed io?” Schioccò le dita. “Indovina la canzone.

      Lei lo guardò come se avesse perso la testa. “Cosa?”

      “Ti sto sfidando a una partita di Indovina la canzone. Se riesci a nominare le venticinque canzoni che suono con il mio violino, ti porto a casa, scommessa compiuta. Tre strike e sei fuori. Più velocemente le nomini, meno dovrai sopportarmi.”

      “Hai portato il tuo violino?” La voce di Adara tremò sull’ultima parola, quel tanto affinché qualcuno che prestasse attenzione lo notasse.

      Lui annuì, pronto a rincorrerla se fosse scappata.

      “Hai fiducia in te stesso.” L’insieme teso delle sue spalle non si allentò.

      “Speranzoso.” Garret infilò le mani nelle tasche posteriori. “C’è una grande differenza.”

      Dopo un momento, gli occhi di lei s’illuminarono in segno di sfida e lui si rilassò. Che contraddizione, Adara. Se la solitudine era il suo obiettivo finale, non avrebbe rischiato accettando la scommessa di carnevale. Non l’avrebbe accompagnato mentre zoppicava lungo il sentiero di corsa. Non avrebbe risposto quando lui aveva suonato il campanello.

      Sembrava che le sfide avessero eclissato la solitudine nella playlist di Adara Dumont.

      “Controfferta.” Adara armeggiò con i bottoni del cappotto. “Dieci canzoni ma devono essere state rilasciate al pubblico e suonate alla radio, niente canzoni composte da te o da qualche altro artista obsoleto. Devono contenere parole... niente musica classica.”

      “Artista obsoleto? Mi hai ferito.” Garret nascose il suo sorriso trionfante dietro una maschera di tranquillità. Almeno per quella sera, lei era sua. Adara non lo sapeva ancora e lui non voleva rovinare tutto dicendoglielo, ma non era possibile che lei conoscesse più canzoni di lui. “Sono famoso in Belgio - cercami su Google se hai il coraggio - e accetto le tue condizioni ma dieci sono troppo poche. Venti.”

      “Undici.”

      Garret incrociò le braccia. “Sono sceso di cinque e tu ne aggiungi una? Che razza di negoziatrice sei?”.

      “Il tipo non disperato.”

      “Determinata, non è la stessa cosa di disperata. Diciannove.”

      Adara sollevò lo sguardo. “Bene. Quindici.”

      Quindici, venti, il numero non aveva molta importanza. Quella era una scommessa che non poteva perdere. Garret abbassò il mento e sorrise lentamente. “Aggiudicato.”

      Il

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