Ogni Minuto. C. J. Burright

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Ogni Minuto - C. J. Burright

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a fare scorta di carboidrati, ragazza.” La urtò con la spalla, facendole fare un passo di lato. “Ne avrai bisogno”.

      Adara riacquistò l’equilibrio e si concentrò sugli abeti famigliari che costeggiavano il sentiero, segno che il parcheggio era vicino. Grazie a Dio. Per ragioni che andavano oltre la sua comprensione, Garret si rifiutava di essere ignorato. Le piacevano le altre persone, ma i legami più che casuali erano rari, e solo Joey l’aveva spinta ad abbandonare la sua solitudine. Con Garret, le sembrava di approdare accidentalmente sulla terraferma dopo aver fluttuato nel vento, e qualunque cosa significasse, non poteva tornare a essere parte di qualcun altro. Faceva troppo male quando il pezzo più importante veniva a mancare.

      Gli alberi si aprivano sul parcheggio vuoto. Il cielo incombeva basso, le nuvole si contorcevano in forme minacciose modellate dalla mano di un vento rastrellante e l’oscurità ombreggiava la neve, rubandone la luminosità. Era ora di tornare a casa, il più velocemente possibile, il più lontano possibile da Garret Ambrose.

      “Lunedì inizieremo a lavorare insieme.” Il tono di lui era ragionevole e logico. “Dovremmo prima conoscerci meglio.”

      “Ne so abbastanza di te.” Adara scivolò più velocemente nella neve. Aveva aspettato con lui più del necessario. Poteva tornare a casa da solo.

      Garret le rivolse uno sguardo da cucciolo indifeso, la sua zoppia sembrava migliorare. Un uomo insopportabile.

      Ma farla finita era meglio che dargli un altro motivo per tormentarla. “Bene. Cinque e quarantacinque. Cena. Solo questo.”

      “Per essere chiari, stasera cinque e quarantacinque. La cena. L’inizio...” Garret usò la stessa enfasi di Adara, con l’eccezione delle ultime due parole che proferì con un tono delicato e seducente.

      Adara sbuffò, il suo respiro si annebbiò nell’aria. “E tu dici che io sono difficile?”

      “Ostinata,” rispose lui senza problemi, cercando qualcosa nella tasca della sua giacca. “Completamente diverso.” Tirò fuori una penna e un pezzo di carta e scarabocchiò qualcosa.

      “Porti sempre della carta e una penna quando corri?” Strano.

      “Certamente. Quando arriva l’ispirazione, bisogna essere preparati.” Con dita agili, Garret piegò la carta in un origami a forma di barchetta e gliela mise in mano.

      “Non ho bisogno del tuo numero di telefono.”

      “Non è il mio numero di telefono.” Anche se Adara lo conosceva appena, riconosceva un sorriso subdolo quando ne vedeva uno.

      La giovane spiegò il biglietto. ‘GAA’ era impresso in basso in argento e piccoli numeri ordinati occupavano il centro. Quarantasette. Non aveva alcun senso. “Cos’è questo?”

      “Qualcosa che devi capire.” Garret continuò a camminare verso il marciapiede, con aria compiaciuta. “Ho sentito che ti piacciono i puzzle.”

      Adara strinse i denti. Odiava i puzzle, soprattutto perché non era capace a farli ed era troppo orgogliosa per ammetterlo. In qualche modo, si sarebbe vendicata con Gia per aver rivelato dettagli personali non autorizzati. Le buone intenzioni non significavano nulla.

      “Non preoccuparti, Adara. Se ti blocchi, ti darò un suggerimento.” Garret si voltò per affrontarla, indietreggiando all’indietro di qualche passo, abbastanza a lungo da muovere le sopracciglia. “Anche se potrebbe costarti.”

      Adara stropicciò il numero in mano e lo mise in tasca. Si mise a correre e lasciò lui e le sue risate alle spalle. Se solo lui l’avesse sfidata a una gara. Così non sarebbe dovuta uscire con lui quella sera. Sollevò il viso verso le scaglie di ghiaccio che cadevano dal cielo scuro. D’altra parte, convincerlo a puntare altrove durante la cena sarebbe stata una sfida più soddisfacente.

      E quella era una sfida che non avrebbe perso.

      Capitolo Sette

      Dopo un’estenuante giornata di calcoli, Adara si guardò allo specchio del bagno, gli occhi iniettati di sangue per aver fissato i conti, un prezzo che avrebbe pagato di nuovo per i progressi che aveva fatto. Non era l’ideale, ma aveva un piano per salvare il suo lavoro se il bilancio fosse fallito.

      Ora doveva superare la cena con Garret Ambrose -violinista ostinato, gongolante e il corridore più lento di sempre.

      Sorrise davanti al suo riflesso. Aveva in mente un piano anche per quell’ostacolo. I suoi migliori jeans logori e una vecchia felpa universitaria, l’impertinenza e l’ironia. Nessun uomo sarebbe durato a lungo, non sarebbe importato quanto lui avrebbe sorriso e si sarebbe lasciato scivolare le cose addosso. Sarebbe rientrata a casa per le otto e non avrebbe più dovuto preoccuparsi di lui, se non in classe. Tre mesi e lui se ne sarebbe andato anche da lì.

      Nonostante il fastidio persistente per il tentativo d’intervento, Adara si era costretta a mandare un messaggio a Gia, per scoprire quali informazioni aveva fatto trapelare. A quanto sembrava, non abbastanza da serbare rancore. La morte di Joey era di dominio pubblico, così come la sua occupazione. Gia giurava che il resto della sua discussione con Garret aveva ruotato intorno a lui che le aveva assicurato che le sue intenzioni erano onorevoli.

      Puah! Era amico di Ian. Ed era abbastanza.

      E quando Gia le aveva di nuovo suggerito che saltare addosso a Garret Ambrose avrebbe messo fine alla sua depressione, Adara aveva interrotto la conversazione con alcune frasi su teorie assurde, sulla gioia della solitudine e su come prepararsi al meglio per un trattamento silenzioso di durata indeterminabile. Gli amici erano sopravvalutati.

      Arricciò il naso, esercitandosi nel suo sguardo disgustato. La perfezione. Aveva ancora pochi minuti per prepararsi all’Operazione Shutdown. Garret, purtroppo, aveva ricevuto un elenco del personale e, cosa molto fastidiosa, aveva trovato il suo numero e il suo indirizzo. Le aveva mandato un messaggio non molto tempo dopo il loro sfortunato incontro sui suoi sacri sentieri di corsa, incontro che Adara stava ancora cercando di dimenticare, e lei aveva accettato di farsi venire a prendere da lui. In questo modo, sarebbe stata costretta a trattare con lui e a metterlo in riga. Aveva la sensazione che quello fosse l’unico modo in cui Garret Ambrose avrebbe capito che non lei era materiale per una relazione e nemmeno per una sola notte.

      Chinandosi sul lavandino, guardò il suo riflesso più da vicino, la prima volta che si studiava davvero da mesi. Non c’era da stupirsi che la gente mormorasse. Le occhiaie aggiungevano cinque anni ai suoi venticinque. La sua pelle pallida poteva rivaleggiare con quella di qualsiasi vampiro e con i suoi lisci capelli neri si sarebbe adattata perfettamente alla famiglia Addams. La sua bocca era contornata da rughe che non c’erano prima della morte di Joey.

      Contrasse le labbra in un leggero sorriso, ammorbidendo quelle rughe. Joey l’aveva sempre presa in giro per la sua bocca alla Steve Tyler, l’unica cosa che salvava la sua faccia dall’essere severa. Un dolore le trafisse il cuore. Probabilmente adesso non l’avrebbe detto. Si passò per l’ultima volta un pettine tra i capelli già perfetti. Fare un’apparizione pubblica in abiti volutamente trasandati non era un problema. I suoi capelli erano una storia diversa.

      Il suono della Quinta di Beethoven vibrò attraverso le pareti, impossibile da non notare. Una delle prime implementazioni di Joey dopo l’acquisto della casa era stata di personalizzare il campanello. Garret era arrivato. È l’ora dello spettacolo.

      Spense la luce del

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