Ogni Minuto. C. J. Burright

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Ogni Minuto - C. J. Burright

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Il suo sorriso si smorzò e si diede una pacca sulla giacca, come se cercasse uno spuntino. “Mi dispiace, no!”

      Tanti saluti al suo piano di evitare la cena con lui. Adara s’infilò le mani in tasca e calmò il respiro. “Con la tua andatura probabilmente finirai il sentiero in un’ora o giù di lì. Sono sicura che ce la farai prima che arrivi la tempesta.” Come se anche il tempo tramasse contro di lei, una spolverata di neve scelse quel momento per scendere dal cielo. Lasciarlo diventare un ghiacciolo era troppo insensibile, persino per lei. Poteva almeno assicurarsi che lui uscisse dal parco. Se fosse crollato per strada, alla fine qualcuno l’avrebbe trovato. “Quando lunedì vedrò Tatum, le chiederò se sei arrivato a casa. Altrimenti, saprò dove inviare la squadra di ricerca.”

      “Mi vedrai prima di lunedì. Non si può sottrarre alla nostra scommessa, signorina Dumont.”

      “Non abbiamo fissato un giorno o un’ora particolare. Chi ci dice che non possa accadere tra un anno? O meglio ancora, tra dieci anni? Se tu avessi una barretta di muesli, potrebbe accadere anche adesso.”

      “Furbacchiona.” L’espressione di Garret lasciava trapelare un misto di accusa e approvazione. “Stavi cercando di evitare il nostro appuntamento?”

      “Non è un appuntamento. È una cena per gongolare per una vittoria molto fortunata.”

      Garret si mise una mano sul cuore. “Io non gongolo. Io festeggio.”

      “È una questione di semantica. Perché corri così presto stamattina? E proprio qui, tra tanti posti?” Adara avrebbe ucciso Gia per aver divulgato quali fossero le sue abitudini quando andava a correre.

      Il rapido cambio di argomento non sembrò averlo turbato. “Questo parco confina con il mio cortile, ero già sveglio e ho trascurato l’esercizio fisico. Non sono pronto per essere di nuovo paffuto.”

      Adara lo fissò dalla testa ai piedi, camminando, incapace di immaginarlo se non alto, magro e forte.

      “È vero,” continuò lui, senza che lei lo pungolasse. “Da anatroccolo grassottello a cigno sexy.” Garret ignorò la battuta esagerata di Adara. “La mia vita era violino, scuola e sonno. Esercitazioni di violino prima della scuola, violino a scuola, lezioni private dopo la scuola, violino, violino, violino. In più, amavo il cibo.” Le rivolse un sorriso. “Amo ancora il cibo.”

      Adara non voleva conoscere il passato di Garret, non voleva trascorrere altro tempo con lui, non voleva continuare a camminare accanto a lui come se fossero una coppia uscita per la solita corsa mattutina, perché sembrava così. Le sembrava che sarebbe stato semplice continuare al passo con lui e mantenere quel ritmo per giorni, mesi, anni. Adara aumentò il passo. “Così hai superato il tuo aspetto paffuto e le tue lezioni di violino hanno dato i loro frutti. Fine della storia.”

      “Sì e no.” Garret abbassò lo sguardo sul sentiero, accigliandosi leggermente. “A volte ho fantasticato di smettere per qualcosa di figo, come il football o il basket, ma il mio momento di chiarezza è arrivato quando ho chiesto alla ragazza che mi piaceva di andare al ballo della terza media. L’evento più importante della scuola media, giusto? Lei mi ha riso in faccia e mi ha detto che non sarebbe mai andata da nessuna parte con un grasso secchione della band.”

      “Che sfortuna.” Adara mantenne la sua voce senza tono. Non le importava, ma ahi. Fu dura.

      “Devastante.” Garret non sembrava particolarmente infastidito dal ricordo. “Decisi allora che non avrei mai permesso a nessun altro di emarginarmi. Ho fatto il punto su quello che mi piaceva e non mi piaceva di me stesso, su quello che potevo cambiare e su quello che non volevo. Il violino è una parte essenziale di ciò che sono, un fatto che ho capito già allora. Mi piace il cibo, e questo non sarebbe cambiato. La mia imbottitura extra, invece, era una fonte di dolore.”

      Adara nascose un altro sorriso. A malapena. “Una fonte di dolore?”

      Garret annuì, solenne. “Ho iniziato ad alzare presto il mio grosso sedere dal letto e mi sono allenato prima delle prove mattutine di violino. Ho eliminato le ciambelle, le patatine e le caramelle e ho imparato ad apprezzare le verdure, il che è stato più difficile che suonare Bach, tra l’altro. Ma non credo nella resa.”

      Non le importava quanto lui fosse determinato, nell’inseguirla, lui avrebbe smesso. Lei se ne sarebbe assicurata. “È questo che ti ha fatto desiderare di essere un pirata? Per sfuggire a tutte quelle ragazze meschine navigando per i sette mari e suonando il tuo violino mentre pulisci il ponte? Non posso credere che tu abbia lasciato gli stivali e gli anelli d’argento durante la tua fuga e nessun dente d’oro? Un fallimento totale”.

      Garret la fissò un momento poi gettò la testa indietro e rise, un suono che sembrò riempire il parco ed espandersi nel cielo.

      Per un secondo, il respiro di lei si bloccò e, per quanto lo volesse, non riuscì a voltarsi. Lui era la gioia personificata, pura e disinteressata, assolutamente accattivante.

      La risata di Garret svanì ma il suo sorriso no. Si sistemò il cappello e sospirò. “Ah, mi ricordi com’è tornare nel mondo reale!”

      Adara distolse lo sguardo. “Al contrario dell’Isola che non c’è?”

      “L’Isola che non c’è è la descrizione esatta dei miei ultimi tre anni. Le giornate erano tutte uguali finché non sono riuscito a ricordare l’ultima volta che avevo visto la mia famiglia. Ho composto la mia ultima canzone prima di andare in tour.” Garret abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, i suoi occhi si strinsero mentre il suo sorriso si affievoliva. “Nella sfilza di pubblico anonimo e feste vuote con gente ancora più vuota, ho avuto un momento di chiarezza. Se non fossi sceso dalla giostra, almeno per un po’, mi sarei bruciato. Stavo realizzando il mio sogno ma non vivevo veramente.” Garret sollevò la testa e incontrò lo sguardo di Adara. “A volte, devi allontanarti dalla folla e concentrarti sul singolo. Così sono tornato a casa ed eccomi qui.”

      Quella sensazione svolazzante nel suo cuore si agitò di nuovo debolmente e lei la contrastò rivolgendogli uno sguardo freddo. È questa la sessione di terapia che Gia voleva per me con il dottor Violinista? Non sta succedendo. “Qualunque cosa ti abbia detto Gia, io non sono il progetto di nessuno. Non ho bisogno di essere aggiustata.”

      “Non ti aggiusterei per niente al mondo,” disse lui dolcemente, senza più umorismo. “Sono le nostre rotture che ci rendono ciò che siamo. Senza i pezzi in frantumi, la nostra luce non filtrerebbe mai al resto del mondo.”

      Il battito nel petto di lei aumentò, fuori portata. Serrò i pugni, per ancorarsi alla terra cui apparteneva, dove era al sicuro.

      “Il che mi ricorda,” disse lui, “a che ora è il tramonto?”

      Strano cambio di argomento, ma se si allontanava dalle cose rotte e dalle storie di vita, ci stava. “Immagino alle sei meno un quarto.”

      Lui annuì. “Va bene le sei meno un quarto?”

      “Per un’altra corsa?” Adara guardò l’orologio, fingendo che lui non stesse parlando della loro scommessa. Si rifiutava di chiamarlo appuntamento. “Certo.”

      “Ti piace fare la difficile, vero?”

      “Fare la difficile mantiene il mio spazio personale libero, come piace a me.” Lei inarcò un sopracciglio vedendo il ghigno di lui. “Di solito.”

      “Deve richiedere molta energia, tenere la gente

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